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L’INVALSI È DEMOCRATICO

La raccolta sistematica di basi informative sulle competenze scolastiche non si configura come una forma di soffocamento della ricchezza culturale della scuola con ignobili quiz. Né come un tentativo di limitare la libertà di insegnamento. Al contrario, è uno strumento necessario per mettere a punto politiche scolastiche in grado di utilizzare nel modo migliore il denaro pubblico e garantire una maggiore efficacia dei processi di apprendimento, una più equa distribuzione delle risorse educative e una riduzione delle disuguaglianze sociali. Di scuola e università si parlerà a Trento nei giorni del Festival dell’economia.

 

Che questo Paese non ami confrontarsi con i dati di fatto e con gli strumenti capaci di stabilire in termini obiettivi se decisioni innovative o, all’opposto, comportamenti di routine producano esiti positivi o negativi sull’esistenza degli individui, è ben noto. Quella che alcuni quotidiani hanno chiamato la "rivolta" contro i test di competenza disciplinare messi a punto dall’Invalsi e – va riconosciuto – meritoriamente sostenuti dalla ministra Gelmini, non suscita quindi particolare stupore. Ma il "Boikot Invalsi" solleva forti preoccupazioni perché la manifestazione di atteggiamenti negativi nei confronti di indagini rigorose proviene da un mondo – quello della scuola e della cultura – che dovrebbe educare al confronto pacato tra opinioni informate.

A COSA SERVONO LE PROVE

La generalità delle giustificazioni addotte per rifiutare le prove Invalsi sono o infondate o basate su poco ragionevoli processi alle intenzioni circa i loro usi futuri. Le procedure messe in atto sono in realtà prove standardizzate che non limitano la libertà degli insegnanti, non alterano i lineamenti del processo formativo e non lo immiseriscono. Consentono, invece, di capire come funzionano le nostre istituzioni educative e permettono di cogliere le ragioni per cui alcune di esse raggiungono risultati migliori, o peggiori, di altre. Fornire un’immagine obiettiva della nostra scuola permette di ignorare il chiacchiericcio generato da narrazioni aneddotiche e consente la progettazione di interventi mirati, evitando sentenziosità arbitrarie. Del resto, ciò già avviene in molte società avanzate. Le prove Invalsi si configurano, dunque, come un’importante base informativa per mettere a punto politiche scolastiche in grado di garantire una maggiore efficacia dei processi di apprendimento, una più equa distribuzione delle risorse educative e una riduzione delle disuguaglianze sociali.

RISULTATI DAL TRENTINO

Possiamo fornire una prova della fondatezza di queste asserzioni riassumendo i risultati di uno studio, condotto da Irvapp sugli effetti del cosiddetto decreto Fioroni (Dm 80/07). Si tratta del provvedimento che ha reintrodotto nelle scuole superiori, a partire dall’anno scolastico 2007/08, l’obbligo di verificare il recupero dei debiti formativi, sotto pena di ripetenza dell’ultima classe frequentata. Determinare in modo rigoroso gli effetti del decreto 80/07 comporta il superamento di due problemi: uno di natura logica, e l’altro di misura. Il problema logico è generato dall’impossibilità di fondare l’identificazione della relazione causa-effetto sul vecchio criterio millsiano del post hoc ergo propter hoc. È, invece, necessario procedere al confronto tra apprendimenti osservati dopo l’entrata in vigore del decreto e apprendimenti che si sarebbero osservati qualora fosse rimasto in vigore l’istituto del debito formativo. Il problema di misura richiede la disponibilità di test standardizzati per l’accertamento obiettivo della qualità degli apprendimenti, nonché di indicatori socio-economici che permettano di studiare come questi apprendimenti siano distribuiti nella popolazione.
La soluzione al primo problema ha sfruttato il fatto che l’attuazione del decreto non è avvenuta uniformemente sul territorio. Nelle scuole della provincia di Trento, in virtù della sua autonomia in materia scolastica, il debito formativo – sia pure con alcune modificazioni – è rimasto in essere. Tale discontinuità geografica è stata utilizzata per stimare gli apprendimenti che si sarebbero osservati mantenendo il debito formativo. L’indagine condotta ha confrontato le competenze di studenti in scuole dei comuni della provincia di Trento con quelle di studenti in scuole situate in comuni limitrofi a quelli trentini, e a essi di fatto identici sotto il profilo socio-economico. I dati utilizzati per comparare i livelli di apprendimento provengono dalla somministrazione di un’apposita prova di competenza linguistica, matematica e scientifica costruita con l’Invalsi.
Dai risultati in tabella emerge che la reintroduzione degli esami di riparazione ha moderatamente accentuato le disuguaglianze cognitive già esistenti tra studenti liceali e degli istituti tecnici/professionali e, dunque, tra studenti di origine sociale diversa. È noto, infatti, che i liceali provengono per lo più da famiglie di ceto sociale superiore e che l’opposto vale per gli studenti degli istituti tecnici e professionali.
Da quanto precede dovrebbe apparire evidente che la raccolta sistematica di basi informative sulle competenze scolastiche non si configura come una forma di soffocamento della ricchezza culturale della scuola con "ignobili quiz", né come un tentativo di limitare la libertà di insegnamento. Al contrario, si configura come uno strumento necessario per modulare ex ante gli interventi pubblici e per utilizzare nel modo migliore il denaro pubblico così da dotare le scuole di risorse commisurate ai veri bisogni dei loro allievi e da ridurre il divario di competenze esistenti tra studenti con origini sociali differenti.

Tabella: Stima degli effetti degli esami di riparazione sulle competenze scolastiche secondo la coorte e il tipo di scuola.

  Coorte  2006/07 Coorte  2007/08
Licei Effetto Std. Err. Effetto Std. Err.
Lettura 10.41 16.64 11.20 16.81
Matematica 7.08 17.17 13.64 16.16
Scienze 32.03 12.18 15.30 12.88
Istituiti tecnici, professionali
e licei delle scienze sociali
Effetto Std. Err. Effetto Std. Err.
Lettura -20.81 20.19 -29.80 19.78
Matematica -5.06 18.95 -3.90 27.10
Scienze -2.43 18.69 -25.40 23.45

Nota: Le differenze negli apprendimenti sono state calcolate confrontando studenti in scuole fuori dal Trentino con studenti simili (per caratteristiche individuali e familiari) nelle stesse scuole in Trentino. In questo modo sono state messe a confronto le performance di studenti tra loro "identici" che differiscono esclusivamente per l’istituto scolastico attuato (esame di riparazione vis-à-vis debito formativo). Differenze positive segnalano maggiori apprendimenti causati dal decreto Fioroni.

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35 commenti

  1. Davide Roccati

    Buongiorno, sono un ricercatore sociale, abituato quindi a misurare e valutare, e sono anche marito di una maestra di scuola elementare, più precisamente di una seconda (o, come vorrebbe la Gelmini, di una classe del primo anno del primo biennio..). Le classi seconde della scuola di mia moglie, così come le quinte, sono state oggetto delle prove Invalsi. Due considerazioni: ai bambini di seconda hanno chiesto di effettuare delle traslazioni di figure solide, cosa che ovviamente non è prevista dal programma ministeriale (i solidi in seconda elementare..?). Inoltre, sempre a questi bambini è stato sottoposto un testo da comprendere zeppo di nomi stranieri (nella fattispecie, africani), e le domande non erano solo sulla comprensione oggettiva dei contenuti, ma anche sull’interpretazione dei motivi e dei bisogni delle persone protagoniste. Allora, va bene misurare e comparare per comprendere e assegnare meriti e superare difficoltà, ma per fare ciò la coerenza interna è fondamentale! Grazie

  2. luca

    Purtroppo, come al solito, ancora una volta le forze sociali più conservatrici, si ergono a difesa dello status quo. la valutazione dei risultati ottenuti serve sopratutto a chi, in questo momento, si trova ai livelli più bassi, per poterli conseguentemente alzare. dovrebbero essere gli studenti stessi a pretenderli, per sapere qual’è il loro effettivo grado di apprendimento e di competenze. questo dovrebbe essere a maggiore ragione esteso alle università, ove viene ora premiato la quantità di prodotto (leggi numero di laureati) piuttosto che la loro qualità. Questo ovviamente premia chi ha più relazioni familiari e personali, piuttosto che chi risulta essere competente.

  3. pasquale morea

    Sono un insegnante di un istituto professionale turistico. Nessun pregiudizio alle verifiche dell’apprendimento, ma dobbiamo renderci conto che non si può più parlare di scuola ma "di scuole". Perciò anche i test devono essere ispirati a questa situazione. Che senso ha monitorare la matematica in un professionale dove il livello dell’utenza non ha le stesse caratteristiche di un liceo? E perchè non invece le lingue straniere, la geografia, o le materie tecniche più coerenti con le prospettive di inserimento professionale degli studenti? Il boicottaggio non nasce dal conservatorismo dei docenti, ma dal metodo e dalle (retro)finalità con cui sono impostati i test. Ma all’estero come vengono concepiti i test? Qualcuno ne è a conoscenza? Chi ne sa qualcosa ci aiuti…per favore.

  4. gmn

    Un commento riguarda la esistenza di piu "scuole" all’interno della "scuola" italiana. Resta il dubbio: se le misuriamo con strumenti diversi poi come le confrontiamo tra loro? Un altro commento riguarda la coerenza interna dei test e la loro non aderenza al programma ministeriale. Resta il dubbio: se misuriamo un certo programma su se stesso come possiamo comparare diversi programmi? Queste obiezioni le potremmo trovare in ogni campo di misurazione (sociale e non) in italia, perchè non siamo abituati a misurare o a comparare nulla se non sulla base della spannometrica soggettiva (come era? misurazione malthusiana? e poi c’era del latino…) ci vorrebbe un dibattito nazionale su questi strumenti

  5. Calogero Massimo Cammalleri

    La capacità dei test Invalsi, uguali per tutti, di misurare non può essere revocata. La questione è che cosa misurano e quanto attendibile sia la misura. Sulla utilità di rilevare per distribuire risorse avrei delle riserve; a rigor di logica maggiori risorse dovrebbero andare là dove ci sono i risultati peggiori e non nelle eccellenze, che non hanno bisogno di rinforzi. Più o meno come si pratica in Svezia. Ma questo non è affatto chiaro. Sembrerebbe anzi la solita moda meritocratica. No, nessun atto di fede sui test; e nemmeno nessuna pregiudiziale. Sono genitore di un’alunna della della prima media inferiore, i test di matematica e di geometria non mi sono apparsi per nulla freddi e illogici, anche se hanno un limite enorme che dirò appresso. Drammatica mi pare invece la situazione per le materie letterarie: composizione ed esposizione dove sono finite? Complessivamente il test tendono la nozionismo supino. Il rischio è che per fare bella figura non si farà altro che esercitarsi nei test. Nessun atto di fede in uno "strumento unico". Mette in pericolo la libertà di insegnamento e l’insegnamento pluralistico.

  6. Carlo Salmaso - Comitato Genitori ed Insegnanti per la Scuola Pubblica di Padova

    Non per volere sempre polemizzare, ma visti i risultati che i due illustri studiosi hanno tratto dall’indagine, penso che se avessero posto la loro domanda a un qualsiasi insegnante che lavora nella scuola secondaria superiore avrebbero ottenuto la stessa risposta a costo zero (sia in euro che in tempo dedicato all’indagine…). Ma tanto gli insegnanti non hanno alcun peso in tutto ciò. Un saluto Carlo Salmaso

  7. Dante Petruccioli

    Leggo in alcuni commenti la critica ad Invalsi per il fatto che propone un test indifferenziato tra tipi di scuole. Questo è proprio il punto di forza dei test Invalsi (e di tutti gli altri test standardizzati), in quanto restituisce i livelli di apprendimenti medi nel paese e ci dice di quanto specifici sottogruppi di scuole o gruppi sociali si discostino da tali valori medi. Ricordiamoci che in Italia l’obbligo scolastico arriva ai 16 anni, e che un obiettivo di equità delle opportunità scolastiche implicherebbe che tutti gli studenti possano ottenere un’istruzione di base di pari qualità, indipendentemente dalle loro origini sociali e dal tipo di scuola frequentata. E’ vero che nei professionali si fanno programmi diversi che nei licei, ma Invalsi e altre indagini (es. Pisa) misurano apprendimenti generali e basilari per qualsiasi altro tipo di sapere, che anche gli studenti dei professionali dovrebbero ottenere. Inoltre, queste indagini mettono in luce che vi sono ampi divari tra gruppi sociali e tipi di scuola. E’ incomprensibile che le critiche a questi strumenti vengano proprio da certi ambienti sindacali, che una volta di più si dimostrano conservatori e basta.

  8. Giovanni

    Prima della "somministrazione" dei test ai ragazzi bisognerebbe sottoporre a verifica il lavoro fatto dall’Invalsi. Ho avuto modo, qualche anno fa, di prendere visione di alcuni test e li ho trovati in alcuni casi cervellotici e con soluzioni discutibili, idonei inoltre a misurare capacità logiche innate più che il lavoro fatto dalla scuola. Qualcuno poi saprebbe dirmi perché alll’Invalsi è stata assegnata una sede prestigiosa come villa Falconieri: non sarebbe bastato un anonimo palazzo da uffici?

  9. sergio marchetti

    Quando si discute della scuola, occorrerebbe evitare di confondere l’addestramento con la formazione del cittadino. Alla scuola primaria e secondaria, insieme alle famiglie e ai media di largo consumo, è demandato il compito di favorire la formazione di un cittadino multidimensionale, capace: di relazionarsi col mondo che lo circonda, di esprimersi in modo chiaro e sintetico, di capire e comprendere i processi storici e sociali di cui egli è il prodotto cosciente, di godere del bello e di tutta la produzione artistica che lo circonda, di comprendere lo sviluppo scientifico del proprio tempo e le gravi problematiche che da esso discendono, e così via. Tale sviluppo della persona non è immediatamente misurabile né con i test né con le tradizionali interrogazioni e compiti. Anche questi ultimi sono stati una grande perdita di tempo che misurava spesso il grado di simpatia che il docente nutriva per quello studente, ma sicuramente non il livello di crescita intellettuale di quest’ultimo. Già dall’inizio del ‘900 sappiamo che l’apprendimento di saperi complessi avviene per salti e, chiunque abbia esperienza nell’insegnamento di bambini, adolescenti e giovani, ha potuto costatarlo.

  10. frank

    Alla fine però i test sono stati fatti e siamo sopravvissuti. Direi che ad un certo punto ci si deve fermare ed evitare di rispondere a critiche pretestuose che si stanno estinguendo da sole (pare a me). All’inizio si protesta per tutto, e poi ce se ne dimentica allegramente. Io piuttosto metterei in discussione l’intera valutazione scolastica: vaga, soggettiva, arbitraria, burocratica e opprimente. Non funziona e l’Invalsi ci ha messo 5 min. a dimostrarlo. Da insegnante avrei bisogno, da un lato, di una valutazione più oggettiva e analitica dei voti attuali. D’altra parte ho come l’impressione che il nostro sistema educativo, per una serie di ragioni, non tenga conto del fatto che l’apprendimento non è un fatto lineare, anzi, è piuttosto accidentato, e che agli studenti deve essere lasciato spazio per sperimentare, sbagliare, riprovare, creare e distruggere. Una prima sintesi potrebbe essere: meno valutazione ufficiale (magari solo a fine quadrimestre e fine anno), ma assai più strutturata, mirata e "responsabilizzante" di fronte agli studenti.

  11. giuseppe moncada

    Sono in pensione dal 2009. Avevamo partecipato ai primi test. Ho chiesto, ad un validissimo e impegnato nella sua professione di docente di liceo, cosa ne pensasse di tutta la faccenda. La risposta: "Caro preside, non saprei esattamente cosa pensare in particolare dell’articolo di Israel, visto che queste cose, detto senza ironia e senza amor proprio, gliele ripeto da quando ho avuto la fortuna di insegnare e di discutere di queste cose con lei sul campo. E’ l’unica cosa ovvia di cui c’è bisogno: contenuti solidi negli insegnanti, conoscenze disciplinari chiare come obiettivi che gli studenti devono raggiungere, criteri di accesso al ruolo (e quindi formazione) molto severi e incentrati sulla competenza scientifica nel proprio settore disciplinare; infine, un sistema di controlli serio, all’interno della scuola e a livello integrato (regionale, ministeriale o quello che sia), che verifichi la qualità e serità dell’insegnamento, la capacità di scandire il percorso in maniera coerente rispetto a alla classe in questione (prove, interrogazioni, compiti e così via). Tutto qua. Una cosa molto semplice, ma molto lontanta dalla direzione che la scuola italiana sta prendendo. Mi sono sempre rifiutato di usare lavagne elettroniche, computer, sistemi statistici di rivelazione con fini didattici, perché sono una grande menzogna scientifica, perché non ne condivido l’ideologia, e perché con la mia disciplina non c’entra nulla, ma, anzi, quegli strumenti svuoterebbero di significati ciò che io nel mio caso insegno (letteratura e quello che significa la pratica umana, forse troppo umana, dello scrivere e del pensare attraverso la scrittura, e di ricercare il senso delle cose, non solo la bellezza, attraverso il linguaggio). Quindi, non avrei nulla da dire, sono d’accordo da prima di leggere Israel." E’ possibile avere un commento dagli autori dell’articolo?

  12. loremaf

    Nell’intervento si sostiene la bontà dell’iniziativa ministeriale dimenticando però il clima in cui questa iniziativa si svolge: continui tagli alla scuola pubblica e invece finanziamenti ad altri tipi di scuole, blocco degli stipendi degli insegnanti per 4/5 anni, aumento del numero degli alunni per classi, continui attacchi al ruolo dei docenti delle scuole pubbliche da parte sia del ministro Gelmini che di quello della funzione pubblica Brunetta, continue imposizioni di ispezioni mirate più ad un controllo burocratico che ad un controllo di merito, significativi attachi del Presidente del Consiglio ai docenti e alla scuola pubblica. L’elenco potrebbe continuare, si veda al riguardo l’appello promosso da Laterza. In questo clima generale sicuramente imporre il questionario Invalsi non poteva che suscitare forti resistenze nel corpo docente, perchè, invece che coinvolgere, si ira a colpire ruolo e funzioni che in genere fanno la loro parte in condizioni difficili. Sicuramente la valutazione è, e deve essere, un obiettivo condiviso della scuola degli insegnati, delle famiglie e del Ministero, ma la strada da percorre è altra, e ben diversa.

  13. stefano delbene

    I miei figli vanno in una di quelle scuole (elementari) dove le prove Invalsi sono state sostanzialmente boicottate (sei in una quinta, su tre classi seconde e tre quinte). Aggiungo che tale scelte degli insegnanti, hanno trovato il mio personale appoggio, e spiego perchè. Credo che la scuola italiana sia in una situazione disastrosa: sempre per rimanere negli esempi personali, nella classe di mia figlia, la seconda, si sono alternati nel corso dell’anno tre persone a copertura della seconda cattedra (si tratta di un tempo pieno). La scuola, che non si trova in una periferia degradata, ma nel centro della città, con una composizione estremamente variegata, composta da bambini provenienti dal ceto intellettuale e bambini figli di immigrati stranieri (circa il 50%), svolge da anni un lavoro molto efficace legato all’interculturalità ed all’utilizzo di diversi linguaggi espressivi (come realizzare con i carcerati della casa circondariale uno spettacolo sulla libertà, come ha fatto la classe di mio figlio, una terza, lo scorso anno). Da quanto detto discendono alcune considerazioni: 1) che risultati può dare la prova effettuata in una classe che ha cambiato tre insegnanti nel corso dell’anno? 2) come dare conto della richezza delle proposte e delle esperienze tramite questi test? Invito a leggere anche questo articolo di Luca Ricolfi, persona sicuramente non sospetta di "atteggiamenti negativi nei confronti di indagini rigorose". Cordialmente

  14. enrico maranzana

    Le resistenze frapposte alle prove Invalsi hanno una precisa origine: l’imprecisione concettuale e l’incapacità gestionale. Si vedano in rete "Prove Invalsi: un’occasione per ristrutturare la scuola"; "Competenze: poche idee ben confuse"; "Un criterio per giudicare l’azione del governo".

  15. Alessandro Balestrino

    Sia come economista, che come insegnante, che come genitore, ho apprezzato tanto l’articolo quanto i commenti. Un problema è che la cultura della valutazione non sembra essere troppo presente neppure fra chi gestisce i test Invalsi, perché tentano di attribuirvi almeno due ruoli, quello della raccolta di informazioni e quello di valutazione degli studenti (all’esame di terza media, il test riceve un voto e fa media). Il secondo ruolo falsa, credo, gli esiti del primo, perché studenti e professori si dedicano intensamente a studiare "per il test" e tentano di capirne più o meno meccanicamente la natura ("i complementi che appaiono nel test di grammatica sono sempre gli stessi, studiamo bene quelli!")

  16. Paolo Fasce

    La mia è una posizione scomoda. Mi ritrovo nell’universo mondo della protesta contro i tagli e la svalutazione del ruolo della scuola pubblica e, contemporaneamente, vedo il corto respiro della contestazione che raramente arriva ad elaborare proposte significative sul fronte del miglioramento dell’offerta formativa. Dieci anni di autonomia non sono ancora riusciti a costruire modalità di vaglio pedagogicamente orientato delle proposte di arricchimento delle attività formative finanziate dai fondi d’istituto. Le buone prassi non circolano, le reti di scuole lo sono solo sulla carta. Latitano anche i genitori, sempre più impegnati a procacciarsi il pane in epoca di crisi, e scarsamente rappresentativi anche quando eletti, in quanto a votare partecipano esigue minoranze, mai mobilitate da un dibattito su "la scuola che vogliamo". E, ancora, un insegnante su sei, con punte superiori al 20% in alcune zone del paese, è precario, ma iperspecializzato: SSIS, Master, Corsi di Perfezionamento e Dottorati. Ma sull’innovazione di cui potrebbero essere portatori, nessuno può farci conto, l’anno prossimo saranno altrove.

  17. Marino

    Vorrei commentare lo studio che l’articolo citava come esempio dell’utilità delle rilevazioni. Se ho capito bene, se si confrontano i dati tra il Veneto, dove hanno reintrodotto gli esami di riparazione seguendo la normativa nazionale, e la provincia di Trento che ha mantenuto il sistema del debito formativo, sembra in Veneto nell’istruzione tecnica e professionale gli esami di riparazione hanno avuto un effetto di scoraggiamento degli allievi meno preparati e/o motivati, che al pensiero di affrontare anche recupero ed esame "mollano tutto". Allora, è importante aver accertato questo fenomeno che è pure controintuitivo, ma poi le rilevazioni non danno indicazioni sulle strategie da adottare, (debito formativo come "social promotion"? ancora più rigore? modifiche dei curricoli o della didattica?) e probabilmente altrettanto avverrà con le rilevazioni Invalsi. Le reazioni negative vengono anche da questo, i rilevamenti Invalsi sono stati strombazzati non come una rilevazione statistica, ma come una "grande misura riformatrice per migliorare la scuola italiana…meritocrazia e bla bla bla", al posto di strategie per risolvere i problemi già evidenziati dagli studi Pisa.

  18. franco

    Ho recentemente letto e condiviso, perchè ho trovato un riscontro personale nell’esperienza di mia figlia in classe quinta, di quanto le prove INVALSI riescano a mandare nel panico gli insegnanti e , sostanzialmente, a distorcere il rapporto educativo ed alterare il procedere del normale programma didattico. Luca Ricolfi, sulla Stampa, ha messo in luce come, al di là delle buone intenzioni di dare un parametro valutativo alla scuola italiana, le modalità attuative e l’immediata ricaduta sulla valutazione degli insegnanti, facciano perdere al test qualsiasi valore effettivo. Infatti: la realizzazione dei test, per motivi di costo, è stata lasciata agli insegnanti dello stesso istituto la cosa piu’ paradossale è che gli insegnanti sono talmente, e giustamente, presi dalla preparazione dei test che utilizzano abbondantemente il tempo scuola per una preparazione specifica ai test lasciandoli indietro su tutto il resto da ultimo, come afferma Ricolfi e come io sottoscrivo, "I test, non solo in Italia ma in tutta Europa, tendono a valutare capacità diverse da quelle che una buona scuola dovrebbe fornire, e comunque non corrispondenti a ciò che gli insegnanti trasmettono".

  19. sorce rossella

    Il dirigente comunica al collegio che i risultati della nostra scuola sono confortanti poichè la nostra media è l’81% contro la media nazionale che è il 74%…dal verbale n12 collegio dei docenti. Mi chiedo, visti i risultati, perchè tanti ragazzi bocciati?

  20. marisa abbondanzieri

    Non ho mai affrontato i test Invalsi con pregiudizi, ma dopo alcuni anni appare evidente che i risultati sono inferiori alle aspettative, ovvero insufficienti e semplicistici. Mi chiedo dove stiano i pedagogisti, i professori che formano gli insegnanti, silenziosi come non mai, sembra che non sappiano che pesci prendere. Ormai nelle scuole si simulano i test invalsi, le famiglie acquistano i manuali, ci si allena un po’ per farla franca! Possibile che vi sfugga questo! La scuola è un’altra cosa, è creatività, tempi individualizzati, opportunità, si cresce, si migliora, si sperimenta, si prova, si cerca di dare e di prendere il meglio, facendo i conti con la quotidianità, i tagli, gli svantaggi socio-culturali, i numeri degli alunni per classe, le assenze, le presenze, le supplenze…ecc: se le competenze richieste sono quelle dell’invalsi, smetteremo di fare le operazioni in colonna, divisioni a 2, 3 cifre eccetera comprese, le equivalenze, esercizi vari e ci concentreremo sulla logica, le probabilità, il calcolo approssimativo… ma allora cambiate i libri di testo, le prove invalsi diveteranno uno strumento inutile per misurare la scuola, ma serviranno alla coscienza! sic.

    SE LE COMPETENZE RICHIESTE SONO QUELLE DELL’INVALSI, SMETTEREMO DI FARE LE OPERAZIONI IN COLONNA, DIVISIONI A 2, 3 CIFRE ECC COMPRESE, LE EQUIVALENZE, ESERCIZI VARI E CI CONCENTREMO SULLA LOGICA, LE PROBABILITA’, IL CALCOLO APPROSSIMATIVO, ma allora cambiate I LIBRI DI TESTO, LE PROVE INVALSI DIVENTERANNO UNO STRUMENTO INUTILE PER MISURARE LA SCUOLA, ma serviranno alla coscienza!!sic

  21. Bruno Tenore

    Dispiace che anche voi siate caduti nella trappola della "valutazione oggettiva". Si dimenticano alcune cose:
    1) si può valutare oggettivamente solo ciò che è stato formalizzato, e l’insegnamento non lo è, tanto è vero che l’Invalsi ha scelto solo la comprensione della lettura, perchè più facilmente quantificabile. Si dimentica che è solo uno dei 5 criteri dell’insegnamento dell’Italiano. E gli altri? E le altre discipline? Un test fornisce indicazioni sul suo oggetto, quindi è antiscientifico ricavarne informazioni più ampie.
    2) Qual è lo scopo di queste rilevazioni? Dovrebbe essere quello di mettere in grado le scuole con risultati peggiori di migliorare la propria didattica. Qualcuno sa cosa ha previsto il Ministero in tal senso? Infine, qual è il senso dell’inserimento della prova nella valutazione degli esami? Purtroppo mi sembra l’ennesima conferma che anche delle buone intenzioni si trasformano nel loro contrario, per superficialità, approssimazione, e perché vengono piegate a finalità ideologiche.
    La Scuola ha bisogno di ben altro.

  22. Graziano Poretti

    Terza media: insegnante di matematica che non fa il programma, molte assenze, parla di problemi personali con alunne; ragazzi con voti altissimi e scarsa preparazione; il problema sembra non porsi. Allora proponiamo in consiglio di istituto che si rediga un "compito in classe" fatto da diverse insegnanti della stessa materia e le insegnanti lo propongano ad una classe diversa dalla loro. Mischiamo le carte insomma. Il programma è ministeriale, tutti devono essere allo stesso livello con evidenti limiti di tolleranza. Proposta bocciata all’unanimità in consiglio. Non si possono fare questi paragoni… continuo a domandarmi perchè no a distanza di anni e le uniche risposte che trovo non mi piacciono molto.

  23. Emanuela De Simoni

    Come genitore, e mi scuso anzitempo per la mia ignoranza laddove vado a confrontarmi con insegnanti e docenti, credo che i test invalsi abbiano svelato un nervo scoperto molto semplice, ovvero la paura recondita, ma non troppo, di insegnanti e genitori di vedere i loro ‘pupilli’ smascherati nella loro scarsa preparazione, nel loro inconsistente amore per la cultura, nel loro impegno spesso latente. Di vedere, in proiezione futura, i loro ragazzi ‘nudi’ di fronte al mondo reale, un mondo che pretende e non perdona. Invece di istigare alla ribellione,insegnanti e genitori dovrebbero assumersi -seriamente, però – l’impegno e la responsabilità di aiutare i ragazzi a crescere, ad accettare un insuccesso, a lavorare con diniego e umiltà. A non temere il confronto, anzi ad accoglierlo come un momenti costruttivo. Forse genitori e insegnanti temono le valutazioni oggettive perché hanno la coda di paglia, ovvero sono consapevoli di avere mancato nella loro missione di traghettatori dei giovani dal mondo dorato (indorato?) dell’infanzia al mondo esterno che non fa sconti a nessuno? Facciamoci un esame di coscienza, mano sul cuore.

  24. ortophon

    Premesso che la valutazione obiettiva dell’insegnamento e quindi degli insegnanti è indispensabile se si intende seriamente riorganizzare e riprogrammare il sistema, faccio notare che probabilmente i tanti insegnanti che percepiscono i test come una minaccia si difenderanno impostando programmi e didattica in modo tale da far superare agevolmente i test, ed è ovvio che tali successi non rappresenteranno né la maturità degli allievi né la qualità dell’apprendimento.

  25. Valentina Soffritti

    Insegno in un centro di formazione professionali (le scuole di tre anni dove viene "insegnato un mestiere"), dove lo studente medio è quello che non ha voglia di studiare, non regge l’aula o ha difficoltà di apprendimento o enormi lacune. è assurdo somministrare la stessa prova in tutti gli ordini di scuole. Le difficoltà oggettive che vedo in alcuni studenti rende per loro complessa la comprensione del solo testo delle prove invalsi. Come si può pensare di confrontare i loro risultati con quelli di ragazzi del liceo? Per quanto possa essere bravo l’insegnante, non sempre si ottengono risultati dagli studenti

  26. MARIA TERESA BARNABEI

    Caro professor Boeri,come cittadina di sinistra ,nonna,ex insegnante per più di 40 anni prevalentemente nei licei con risultati,a detta di ex alunni molti dei quali dirigenti,docenti,magistrati,efficaci,La ringrazio e condivido quello che Lei ha scritto.Sono convinta che il declino innegabile della qualità della scuola pubblica (ne ho diretta cognizione tramite famigliari) sia imputabile alla miopia della politica ma anche all’assurdo rifiuto del controllo di qualità da parte di molti docentia partire dalla guerra santa contro la proposta berlinguer troppo presto abbandonata dal ministro.La scuola pubblica va difesa strenuamente migliorandone ricerca e qualità perchè l’approssimazione disciplinare e pedaogica non ha fatto altro che contribuire a devastare il patrimonio culturale nei giovani.La scuola è innanzitutto al servizio della collettività di questo bello e martoriato Paese.La saluto cordialmente Maria teresa Barnabei

  27. Salvatore Petrucci

    E’ l’occasione per far riflettere chiunque abbia a cuore i contribuenti
    italiani. La questione delle badanti dovrebbe essere di stimolo ad
    applicare una tassazione diversa alle famiglie ed i singoli: secondo me
    si dovrebbe far pagare alle famiglie le tasse su quanto gli resta in
    tasca dopo aver pagato l’occorrente per vivere; mi spiego meglio. Pagare
    le tasse sull’imponibile a cui sono state detratte TUTTE le spese (per
    intero e documentate) che il contribuente ha sostenuto per vivere.
    Questo favorirebbe l’emersione del nero e decentralizzerebbe i controlli
    fiscali in quanto chiunque avrebbe interesse nel portare in detrazione
    quanto spende per vivere.

    In ciò che serve per vivere ci metterei anche la scuola (non sono a
    favore delle scuole private cattoliche, in questa mia osservazione ci
    metto solo un po’ di buon senso), permetterei a chiunque di mandare il
    proprio figlio alla scuola che vuole (sempre pubblica, ma facendo la
    distinzione tra statale e privata) ed affiderei le valutazioni ad un
    ente terzo in modo da favorire una sana competizione.

    Ma credo che ciò in questo paese (ormai morente ed al collasso) sia
    pura utopia, infatti in questo modo verrebbero ad essere inutili tante
    strutture stataliste che non hanno senso di esistere.

    Cordialmente,
    Salvatore Petrucci

  28. Berto Luciana

    Sono docente di matematica di scuola secondaria di primo grado e ho sempre ritenuto importante che ci fossero delle prove standardizzate in base alle quali l’insegnante potesse valutare il percorso formativo dei propri alunni e indirettamente il proprio livello di insegnamento. Con ciò non s’intende svalutare tutto il resto che l’insegnante fa in classe (che va ben oltre le prove INVALSI!!) e neppure proporre un tipo di insegnamento atto a superare tali prove (sarebbe ben misero!) ma semplicemente avere delle informazioni oggettive. Mi permetto di sottolineare però che oltre hai test INVALSI il ministero dovrebbe attivarsi affinché i testi scolastici fossero più in sintonia con le indicazioni didattiche. Faccio solo un esempio: secondo le indicazioni ministeriali, che mi vedono pienamente d’accordo, è importante che i ragazzi sappiano stimare il risultato di un’operazione; ebbene, tra tutti i libri che ho consultato pochissimi (uno/due) portano qualche esercizio riguardo a tale importante competenza. Se dovessi basare il mio insegnamento sui testi scolastici, i miei alunni non otterrebbero di certo i buoni risultati che ottengono nei test INVALSI.

  29. Francesca

    Io sono una mamma di una bimba di scuola elementare e mi scuso se intervengo nella discussione, ma forse l’opinione di esterni che non si sentono "toccati" può essere utile a ragionare senza preconcetti. Secondo me i test invalsi di matematica sono utilissimi, aiutano i bambini a ragionare (ricordiamoci che spesso nel mondo del lavoro e all’università vengono somministrati test attitudinali e i ragazzi, nella maggioranza dei casi, ha risultati modesti). Anche i test di italiano sono utilissimi perchè gli insegnanti spesso non hanno la percezione di cosa capisce un bambino. Penso che oltre alla normale didattica gli insegnanti dovrebbero dedicare del tempo ad abituare i bambini a ragionare e a concentrarsi sui testi. Purtroppo invece si sentono giudicati e spesso suggeriscono le soluzionI ai bambini invalidando così le prove.

  30. alberto

    I test oggettivi andrebbero proposti come prassi. Per scoraggiare il puro azzardo il punteggio andrebbe calcolato con la formula probabilistica del "gioco equo". Le alternative andrebbero proposte in modo da essere equiprobabili, cioè prive di appigli per chi non conosca veramente la risposta corretta. Per evitare suggerimenti o copiature , non andrebbero numerati e consegnati su fogli formato A4 ma su fogli ridotti, un quesito per foglietto contrassegnato da un codice a barre.I foglietti dovrebbero essere mescolati come carte da gioco, per ridurre la probabilità che due prove abbiano lo stesso ordine. Utile usare software che proponga quesiti su schermo, che assegni i punteggi e contempli la perequazione statistica dei punteggi con metodi della decimologia.Ovviamente non restringere tutta la valutazione a quiz, ma utilizzare risposte aperte, lavori di ricerca e….colloquio orale.

  31. Tiziano Zacchi

    Salve, sono un docente di scuola media superiore, sto andando verso la fine della mia carriera, insegno economia aziendale. Per la mia esperienza personale, i test non sono attendibili perchè viziati da gravi carenze di oggettività, in quanto in molte scuole le risposte vengono suggerite dai docenti della scuola stessa. Problema grave che si manifesta anche in sede di esami di Stato. Quando si discute bisogna tenere sempre i piedi per terra, e conoscere la realtà. Saluti

  32. gianfranco giacoemlli

    Condivido pienamente gli articoli di Boeri. Insegno lingue straniere da 20 anni e vedo come sia importante uno strumento esterno (Pisa, certificazioni) per valutare (o misurare, che però è diverso) il livello di una scuola o di una classe. La scuola è un mondo autoreferenziale, dove gli insegnanti possono anche ripetere le stesse cose fino alla pensione, senza che nessuno intervenga e dove vi è una totale assenza di lavoro interdisciplinare. A farne le spese sono soprattutto gli alunni delle classi sociali più deboli. Detto questo, è logico che un liceo classico avrà migliori risultati di un professionale, ma questo è dovuto alla assoluta mancanza di una politica di formazione degli insegnanti stessi. La scuola italiana è fatta, ancora oggi, solo per chi studia in modo tradizionale, ripetendo ciò che viene detto dagli insegnanti. Altro che diverse intelligenze. Reputo i controlli uno strumento doveroso, però bisogna formare anche i controllori.

  33. Mirko Labbri

    Nella recente polemica sull’Invalsi, che personalmente ritengo un’assoluta perdita di tempo e denaro pubblico, oltre che una (marginale) frustrazione per docenti e studenti. Si tenta di far passare che dato che riprendono le metodiche di Pisa allora l’Invalsi è fatto bene. Ora, non so quanti si siano sobbarcati la lettura del pacco di documenti Pisa sulla teoria e le metodiche di applicazione dei test e sugli effettivi risultati, non dei test stessi, ma del processo di applicazione dei test. Sinceramente nutro serissime perplessità statistiche su tutta l’operazione.. Quindi, dal mio punto di vista, resta ancora da dimostrare che sono effettivamente validi sia il sistema Pisa che l’Invalsi. Lasciamo poi stare il fatto che, pur essendo piuttosto sviluppate le tecniche di analisi sociale, di questo non si faccia menzione: una scuola non è esattamente solo apprendimento di nozioni e abilità/competenze cognitive. Insomma, chi misura se la scuola forma persone o robot?

  34. massimiliano

    Ai test manca una domanda salvarisultato: se il candidato riesce ad indovinare il senso dei test, vince una bambolina. Bando all’ironia; i test non servono assolutamente a nulla. Sono nati in Inghilterra per reclutare rapidamentei soldati e "leggerne" velocemente il profilo psicologico, solo perché non c’era tempo per analisi migliori. Niente a che vedere con un giudizio sulle qualità delle persone.

  35. NEOSS

    Mia moglie è un assistente ai diversamente abili nelle scuole (parliamo di Napoli). Purtroppo ha assistito all’ennesima truffa nei confronti dello Stato. I test ai docenti sono stati fatti, per tutti, dai docenti più bravi (onde evitare brutte figure). Per quanto concerne gli alunni, ovviamente sono stati fatti dai docenti. Dunque mi dite voi il senso di questa prova se fatta in questo modo?

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