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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Tra gli interessanti commenti dei lettori scegliamo di rispondere a quelli che ci permettono di fare un passo avanti nella nostra riflessione sui temi della politica economica europea e della gestione delle crisi in un’unione monetaria.
Rino scrive che “il lavoratore tedesco avrà pur il diritto di non volere pagare le tasse per gli altri”. Ecco, è proprio questo proclamato diritto uno dei motivi per cui gli interventi europei per il salvataggio della Grecia sono stati incerti, ritardati, insufficienti e assurdamente costosi sia per il “salvato” che per i “salvatori”. Senza dire poi che salvando la Grecia si salvano anche le banche tedesche e (soprattutto) francesi, i cui portafogli sono da anni ampiamente gravati da titoli del debito pubblico greco.
Ma c’è di più: l’egoismo fiscale nazionale è la principale mina per la stabilità dell’unione monetaria europea. Come ci ha ricordato da ultimo il premio Nobel Amartya Sen (Repubblica del 3 luglio 2011), gli stati che fanno parte di un’unione monetaria senza politica fiscale federale sono sempre sotto la spada di Damocle dei mercati. Anzi, lo sono molto di più di quanto lo siano paesi che abbiano la facoltà di manovrare il tasso di cambio e, quindi, di svalutare il proprio debito pubblico e il proprio debito estero (denominato in valuta nazionale), riducendo il costo del default: si veda come diversamente vanno le cose in Spagna e in Gran Bretagna, nonostante che il rapporto tra debito pubblico e Pil britannico (89%) sia più alto di quello spagnolo (72%) (De Grauwe, 2011). Solo una politica fiscale federale, in un’unione monetaria, può realisticamente correggere temporanei squilibri prima che si trasformino in crisi debitorie conclamate e difficilmente gestibili.
Ma una politica fiscale federale, ovviamente, richiede una vera Europa politica, perché giustamente vari lettori osservano che non è possibile affidare tutta la politica economica ad organismi tecnici, privi di rappresentanza e di responsabilità di fronte agli elettori. Crediamo però che gli elettori debbano essere quelli europei e non quelli nazionali (tedeschi, francesi, olandesi, italiani, ecc.). Una vera federazione Europea potrebbe prevedere una consistente cessione di sovranità dai singoli stati alla federazione e quindi permetterebbe la messa a punto di strumenti di monitoraggio e di punizione dei comportamenti devianti dei vari paesi molto più efficaci di quelli attuali, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità e crescita. In breve, la permanenza e la stabilità dell’unione monetaria richiede il definitivo superamento dell’ “Europa delle patrie”, tanto cara a Charles De Gaulle, e l’approdo agli Stati Uniti d’Europa di Altiero Spinelli.
La proposta di affidare la governance dell’Efsf e del futuro Esm a un organismo tecnico europeo, va nella direzione di costituire un embrione di politica fiscale federale, sottratta ai veti dei singoli stati. È chiaro che gli interventi di salvataggio non esauriscono la politica fiscale federale e, anzi, ne rappresentano solo il lato emergenziale, da ultima o penultima spiaggia. Ma oggi c’è solo questo e da qui si deve cominciare.
Il fatto che l’organismo di governance dell’Efsf e del futuro Esm non debba richiedere l’autorizzazione unanime degli stati per ogni singolo atto di intervento non significa, però, che non possa avere direttive politiche e che non debba rispondere a nessuno del suo operato. Ma le direttive dovrebbero venire dal Parlamento Europeo e a designare i componenti del board di questo organismo dovrebbe ancora essere il Parlamento Europeo e non gli stati membri (come suggerisce Giovanni nel suo commento). Per evitare che parlamentari di paesi non aderenti all’euro e non facenti parte dell’Efsf o dell’Esm contribuiscano a scelte che non li riguardano, si potrebbe prevedere che essi non possano partecipare alla valutazione su tali scelte. Naturalmente, questa è soltanto una delle possibili idee, per di più pensata da chi non ha competenze costituzionali adeguate. Altre idee sono benvenute, purché sia chiaro che l’obiettivo è avviare fin da subito la costruzione di una nuova sovranità europea, anche per salvare l’unione monetaria.

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De Grauwe P. (2011) «The governance of a fragile Eurozone», mimeo, University of Leuven

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  1. Paolo Manzini

    "….la qualità dell’università italiana e il reddito che essa garantisce ai suoi laureati sono così bassi che …." Sul secondo punto concordo pienamente, ma il primo è tipico delle persone che credono a false notizie generate da una campagna di stampa, divulgate persino dal ministro dell’Iur e forse involontariamente, avallate da Terlizzese. La ricerca italiana si colloca fra il sesto ed il settimo posto fra i paesi Ocse come produttività pro capite degli addetti. Se si tenesse conto delle risorse investite, si collocherebbe ancora meglio. Se fosse vero che l’università italiana è così scadente, come potrebbero i suoi “prodotti”, laureati e dottori di ricerca, trovare così facilmente all’estero le posizioni che da decenni una dissennata politica sull’istruzione superiore nega loro in Italia? Il problema del sistema universitario è l’assoluta mancanza di programmazione e controlli e la assurda pretesa che tutte le università siano pari fra loro (come i titoli che conferiscono) e che tutte debbano occuparsi di tutto: ricerca, applicazioni della ricerca, dottorati di ricerca, didattica sia specialistica che delle lauree triennali. Nel mondo civile non è così.

  2. Francesco Russo

    Non sono d’accordo con l’autore quando dice che il ragionamento secondo cui il prestito favorisce l’aumento delle tasse "trascura il fatto che lo studente che ha preso un prestito dovrà rimborsarlo, e quindi non sarà disposto a pagare delle tasse universitarie più elevate se non avrà motivo di credere che a esse corrisponde un’università migliore". Non è così. In Inghilterra il sistema dei prestiti ha portato un aumento generalizzato delle tasse praticamente ovunque, tanto la domanda è quasi inelastica. Il commento della ragazza che dice di apprezzare il sistema dei prestiti inglese è ingenuo, e confonde la causa con l’effetto. È proprio a causa delle tasse alte che la studentessa non aveva la possibilità di studiare e si è dovuta indebitare! Se le tasse fossero state basse, ce l’avrebbe fatta da sola senza prestito. Lo studente medio, infine, non ha la minima idea su quali saranno le opportunità di lavoro dopo 5 anni di formazione. Fare l’università non è come comprare un’auto. Se compro l’auto sbagliata, al massimo la rivendo, e alla prossima occasione cambio marca. Ma il tempo perso non si può recuperare.

  3. Ariadne Rossetti

    Essendo una studentessa universitaria sono completamente d’accordo all’iniziativa. Può veramente aiutare giovani a portare a compimento i propri obbiettivi. Ma, prima di tutto mi sorge spontanea la domanda “Da quando potrà essere utilizzata?” Certo ho letto che le banche associate hanno firmato il 19 maggio di questo anno, ma praticamente nessuna di queste sa ancora come mettere in atto la proposta avanzata. Sono ben tre settimane che le banche continuano a dirmi che non sanno ancora nulla. E’ una cosa possibile? Aspettare si… ma come tutti sappiamo le scadenze vanno rispettate e le università sono intransigenti riguardo i pagamenti delle rette. Non vorrei rischiare, come sta accadendo, di perdere un anno per una proposta ottima in parole ma molto scadente a fatti. Qualche informazione in più a questo punto sarebbe molto utile. prego di rispondere.

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