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Parlare di benessere in tempo di crisi *

Non basta il Pil per misurare il benessere. Così un recente rapporto dell’Ocse parte proprio da una definizione di benessere strutturata in undici dimensioni, che vanno dal reddito alle condizioni abitative o di salute, alle relazioni sociali. Nessun paese eccelle in tutte. Ma Australia, Canada e Nord Europa fanno meglio degli altri. Perché lì le diseguaglianze di qualsiasi tipo sono minori. E perché da tempo la qualità della vita è l’obiettivo primario delle politiche dei governi. Anche per superare la crisi, sostenibilità ed equità della crescita sono indispensabili, da subito.

Il 12 ottobre 2011 l’’Ocse ha pubblicato il primo rapporto sul benessere nella storia dell’’organizzazione, cominciata cinquant’’anni fa. Il rapporto, dal titolo How’’s Life? Measuring Well-Being, fornisce evidenze a analisi sulla qualità della vita e sulle condizioni di vita dei cittadini in 34 paesi Ocse e in 6 paesi emergenti: Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sud Africa. (1)

IL BENESSERE IN UNDICI DIMENSIONI

Misurare il benessere, ormai lo sanno anche i muri, vuol dire andare oltre il Pil. Andare oltre il prodotto interno lordo non significa dimenticarlo, ma completarlo con indicatori che considerino tutto ciò che il Pil non cattura. Il rapporto Ocse si focalizza su questi aspetti partendo da una definizione del benessere che è coerente con molti lavori e iniziative recenti e che è strutturata in undici dimensioni: reddito e ricchezza, quantità e qualità del lavoro, condizioni abitative, condizioni di salute, equilibrio tra vita professionale e privata, istruzione e competenze, relazioni sociali, partecipazione civica e istituzioni, qualità dell’’ambiente, sicurezza delle persone e benessere soggettivo. Per ognuna, il rapporto presenta indicatori selezionati in consultazione con gli uffici di statistica dei paesi membri dell’’organizzazione.
Il messaggio chiave del rapporto è semplice: non esistono paesi che eccellono in tutte le dimensioni. Ne consegue, che l’’idea di un indicatore unico, capace di rimpiazzare il Pil, è fuorviante e che l’’approccio più utile è quello di misurare questi fattori separatamente. Ci sono però dei paesi dove le cose, in media, vanno meglio che in altri; per esempio Australia e Canada, ma anche i paesi del Nord Europa. Questi paesi combinano non solo condizioni di vita materiale elevati, ma anche minore inquinamento, maggiore partecipazione alla vita collettiva, maggiore fiducia negli altri e nelle istituzioni, accesso a reti di supporto più solide in caso di bisogno, livelli d’’istruzione e di occupazione più elevati, migliore equilibrio tra vita lavorativa e familiare e migliori condizioni di salute.
Quali sono i fattori all’’origine di questo successo? Il rapporto dell’’Ocse sottolinea l’’importanza di due elementi. Il primo è la diseguaglianza: non solo quelle di reddito, che sono note e ben documentate, ma anche di salute, d’’istruzione, nei legami sociali, nella partecipazione alla vita cittadina e politica, nella qualità dei luoghi di vita e di lavoro. Queste disuguaglianze sono meno forti proprio nei paesi dove la qualità della vita è, in media, più alta.
Il secondo fattore riguarda le politiche, e il fatto che questi paesi, prima e più degli altri, hanno reso il benessere l’’obiettivo numero uno delle loro politiche. È significativo come la strategia politica di diversi governi e amministrazioni pubbliche (come il Tesoro) in questi paesi abbia adottato un framework integrato che ha come obiettivo principale quello di migliorare il benessere dei cittadini. Nel framework del Tesoro australiano, per esempio, figurano i concetti di opportunità, di equità e di sostenibilità. La Norvegia sta oggi rivedendo la sua strategia di sviluppo sostenibile, inaugurata nel 2005 e che è oggetto di un resoconto annuale parallelo alla manovra di bilancio. La strategia riflette gli elementi chiave del « modello nordico »: un’’organizzazione dell’’economia e della società basata su politiche di welfare che promuovano l’’autonomia individuale attraverso il lavoro, il rispetto dei diritti umani, le pari opportunità e principi di uguaglianza che si traducono in una redistribuzione delle risorse ampia e articolata.

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PER UNA CRESCITA EQUA E SOSTENIBILE

Ma, si chiedono in molti, ha senso parlare di benessere in tempi di crisi? Le risposte a questa domanda, che è stata ricorrente negli interventi alla conferenza del 12 ottobre, sono spesso contrastate. Da una parte ci sono gli scettici, che pensano che parlare di qualità della vita in presenza di una recessione sempre più severa e di rischi di bancarotta degli stati sovrani sia, nell’’ipotesi migliore, una distrazione e, in quella peggiore, un diversivo per fornire un alibi a quei governi che si sono rivelati incapaci di fornire una risposta adeguata alla questione della crescita. Dall’’altra parte, ci sono quanti ritengono che la qualità della vita e la sua sostenibilità siano questioni strutturali che non possono iscriversi nella tempistica dettata dai mercati finanziari perché ci interpellano sull’’evoluzione di lungo periodo della società, sul mondo che vorremmo lasciare in eredità ai nostri figli. In questa seconda prospettiva, che è propria di tutti gli interventi alla conferenza Ocse, la qualità della crescita conta quanto la sua quantità. Non è forse un caso che alcuni dei campioni della crescita economica di ieri siano anche tra i paesi maggiormente colpiti dalla crisi: gli Stati Uniti, la cui crescita è stata per anni trainata dall’’indebitamento delle famiglie, l’’Irlanda o l’’Islanda, campioni dell’’intermediazione finanziaria, la Spagna, la cui crescita ha riflesso una bolla del mercato immobiliare. Durante la conferenza, Joseph Stiglitz ha sottolineato con forza che una delle cause della crisi è stata l’’assenza di una visione ampia della politica economica, cosciente dei rischi di una crescita legata a un indebitamento insostenibile e basata su sempre maggiori diseguaglianze, dove il tenore di vita delle classi medie si riduceva anche negli anni in cui il Pil aumentava in modo sostenuto.
Questa seconda prospettiva suggerisce che parlare di qualità della vita in tempo di crisi è fondamentale per almeno due ragioni: primo, perché per superare la crisi gli interventi di consolidamento di bilancio devono tener conto degli effetti sulle persone nel breve e lungo periodo. Secondo, perché uscire dalla crisi richiede di ripensare oggi il modello di sviluppo che vogliamo realizzare. Sostenibilità ed equità della crescita sono indispensabili, e lo sono da subito.

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* Romina Boarini e Marco Mira D’’Ercole, Direzione delle statistiche dell’’Ocse, sono autori del rapporto How’’s Life?


(1)
Il rapporto è stato presentato durante la conferenza organizzata dall’’Ocse e dall’’ufficio statistico francese (Insee), in presenza del segretario generale dell’’Ocse, dei ministri francesi delle Finanze e dell’’Ecologia, di autorevoli economisti (tra i quali il premio Nobel per l’’economia Joe Stiglitz) e rappresentanti degli uffici nazionali di statistica, per celebrare i due anni dalla pubblicazione del rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi, preparato dalla Commissione per la misura della performance economica e del progresso sociale istituita dal presidente francese Nicolas Sarkozy nel 2008.

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  1. Paul

    Sono d’accordo che il nostro benessere lo si misuri in 10-11-x dimensioni e sul fatto che il termine “PIL” non significhi quasi nulla in termini di benessere. Esiste tuttavia una categoria, immagino anche numerosa, di individui molto abbienti che trova nella iniquità il proprio tornaconto. Il fatto di poter opprimere una controparte con il potere dei propri soldi permette di ottenere condizioni economiche migliori, in svariati ambiti, partendo da “il cliente ha sempre ragione” per arrivare a “l’acquirente ha sempre ragione”. Dall’esclusività del proprio stile di vita – cioè l’escludere la moltitudine meno abbiente dalla frequentazione di ristoranti, resorts, o dal possesso di beni di lusso – arriviamo al condizionamento del funzionamento della società: l’erezione di barriere più o meno evidenti (“glass ceilings”), di gruppi d’influenza su meccanismi politici ed industriali, etc. Quindi, a monte del meccanismo di misurazione del “benessere” deve starci una volontà indiscutibile – politica e trasversale – di voler definire e proteggere soprattutto i meccanismi che permettono all’equità di prosperare. Oggi mi pare difficile.

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