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QUANDO LE PROCEDURE CANCELLANO IL MERITO

La selezione dei ricercatori e degli scienziati più capaci ed eccellenti rappresenta uno dei meccanismi più importanti per far progredire la ricerca scientifica. In Italia i concorsi universitari sono stati frequentemente oggetto di forti critiche sia per le modalità di selezione delle commissioni che per non aver scelto candidati eccellenti con  criteri di merito condivisi dalla comunità scientifica.
Esiste a nostro avviso un altro aspetto, sconosciuto a gran parte del pubblico, ma estremamente rilevante nel determinare se un concorso va a buon fine o meno: il  funzionamento delle “procedure concorsuali”.

REGOLE APPLICATE ALLA LETTERA

In ogni concorso una quota consistente, forse la più consistente, del tempo è dedicato alla verbalizzazione delle operazioni svolte. Tutti i commissari sono sempre assai preoccupati di non riuscire a rispettare in modo rigoroso le norme procedurali previste dal bando di concorso, temendo possibili ricorsi al TAR, oppure eccezioni di forma da parte del rettore che dovrà firmare gli atti. Il rispetto letterale, prima ancora che sostanziale, delle norme procedurali é la cruna dell’ago attraverso cui passa il filo della selezione, determinandone spesso gli esiti. In altri termini, il fatto di essere un procedimento amministrativo non di rado snatura il senso e i risultati di una gara in cui comunque dovrebbe prevalere il merito.
Un recente concorso di Economia applicata bandito dall’università di Catania nel 2010 illustra bene questo problema. Il concorso  ha avuto due vincitori – di affiliazione accademica non locale – che l’intera commissione (ad eccezione del membro interno, di nomina locale) ha ritenuto qualitativamente meritevoli, giudizio largamente condiviso dalla comunità scientifica.
Quando riscontra irregolarità formali, solitamente il rettore deve anzitutto restituire gli atti alla Commissione. Tuttavia a sorpresa il rettore di Catania, con decreto n.6314 del 12 ottobre 2010, ha rifiutato di approvare tutti gli atti e delibera lo scioglimento della commissione, una misura già applicata per altri due concorsi in altre discipline nello stesso ateneo. Dunque la decisione del rettore ha annullato non solo i risultati del concorso, ma azzerato tutto il processo di selezione dei commissari, imponendosi quindi al Miur. La motivazione su cui si regge l’intervento del rettore è puramente formale. Il bando del concorso prescriveva (art.6) ai commissari la seguente procedura: ”A seguito della valutazione delle pubblicazioni e dei titoli di ogni candidato, ciascun commissario esprimerà il proprio giudizio individuale e la commissione, quindi, esprimerà il giudizio collegiale”. La commissione ha interpretato la norma (e in particolare il significato della parola “quindi”) predisponendo dapprima tutti i giudizi individuali e poi, in una seduta successiva, quelli collegiali, comportandosi come avviene in moltissimi altri concorsi. Secondo il rettore invece la norma (e soprattutto la parola “quindi”) andava interpretata nel senso che per ogni candidato si dovevano dare prima i giudizi individuali e quelli collegiali e poi passare a un candidato successivo.
Altro vizio formale riscontrato dal rettore sarebbe il rifiuto da parte dei quattro commissari esterni di comparare i candidati in base all’età e ai metodi di ricerca utilizzati, come proposto dal membro interno, in base al ragionamento per cui “esiste una forte asimmetria fra [i candidati] più giovani che hanno ritenuto opportuno utilizzare metodi di ricerca caratterizzata da modelli formali fortemente astratti [e i] candidati [locali e più anziani, ndr] che hanno effettuato le loro ricerche con metodologie tradizionali, non inferiori come rigore scientifico e con molto maggiore realismo delle ipotesi di base”.
In seguito al ricorso dei vincitori del concorso e dopo più di un anno di attesa, il Tar della Sicilia, che ha una sede proprio a Catania, ha approvato a inizio 2012 la decisione del rettore con argomenti di natura esclusivamente formale (quali appunto il significato intrinseco della parola “quindi” e la necessità di “comparazione” quale che sia tra i candidati).

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DISCREZIONALITA E MERITO

Per il sistema universitario italiano, questo caso pone almeno due problemi di natura più generale. Il primo è quello del rapporto centro-periferia. Nel passato il Miur ha delegato ampi poteri alle sedi locali in tema di concorsi, nell’ipotesi che ciò sortisse esiti favorevoli per i candidati meritevoli. Così non è avvenuto: spesso i poteri locali risultano tanto forti da azzerare procedure previste dal centro proprio per tutelare i risultati. Il sistema concorsuale previsto dalla nuova legge universitaria opportunamente separa la fase di “certificazione di qualità”, che è centralizzata, da quella di “gara per un posto”, lasciata alle singole università. Ma se nella prima fase di certificazione di qualità l’asticella del merito non è posta sufficientemente in alto per preservare l’eccellenza, le università locali possono optare o per la “qualità prima di tutto” o per i “clientes certificati”, con una scelta che indubbiamente potrebbe avere conseguenze nefaste sul livello qualitativo delle università stesse. Alla fine del processo di certificazione di idoneità, tutti i selezionati sono selezionabili nella stessa misura (così come i titoli che fino ad adesso le università rilasciano): ha questo un senso ?
Il secondo problema è quello della compatibilità tra l’obiettivo amministrativo di ridurre al minimo la discrezionalità delle decisioni pubbliche per tutelare il decisore, assai più del cittadino, e l’obiettivo sostanziale di far sì che nella gara prevalga il migliore, rispettando la discrezionalità di un decisore scelto (a cui si dà fiducia). È in ballo una questione democratica importante: è preferibile che ogni scelta avente un risvolto pubblico sottostia a rigide regole amministrative che applicate letteralmente possono portare a risultati pessimi, oppure è sufficiente che la scelta trovi una conferma in un consenso collettivo opportunamente qualificato (nel caso dell’università, della comunità scientifica di rifermento)? Fino ad oggi ha prevalso il primo criterio, ma gli esiti non sono affatto favorevoli né rassicuranti.

Nota: Gli atti del concorso in questione e tutta la documentazione legale successiva sono disponibili al seguente indirizzo: http://www.scribd.com/full/83341681?access_key=key-dqmeflcry14p35iv8r0

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I PRESTITI DELLA BCE E LA STRETTA SUL CREDITO

29 commenti

  1. Andrea

    immagino che i vincitori del concorso ora siano in qualche università straniera schifati dall’assoluta mancanza di meritocrazia in Italia. Altri cervelli che scappano mentre da noi rimangono solo gli sfigati alla martone e i raccomandati interni al limite non c’è mai peggio…

  2. Riccardo Scarpa

    L’imposizione di aderire alla forma ha da tempo minato la sostanza del sistema accademico italiano assieme ad altri settori del pubblico. Guardando avanti, senza una riforma che favorisca seriamente il merito, sara` difficile rifar guadagnare celermente competitivita` al Paese. I mali del sistema accademico, incluso quello concorsuale, sono ben discussi nel libro “L’universita` truccata” del prof. Perotti ove si propone una serie di strategie di riforma che dovrebbero essere attentamente considerate. I dubbi su come tale riforma sia realizzabile in un sistema politico in cui i partiti di governo e di opposizione continuano a focalizzare sul breve periodo e ricorrere ai veti incrociati anche su proposte a chiaro vantaggio del Paese rimangono pressanti.

  3. Francesco Lissoni

    Per Andrea che si chiede se i vincitori sono all’estero: io sono uno dei due vincitori del concorso di cui parla l’articolo ed in effetti da settembre ho accettato l’invito di una università straniera (Bordeaux 4). A breve formalizzero’ la mia richiesta di uscire dal ruolo e diventero’ un prof francese a tutti gli effetti a partire dal prossimo 1 settembre. Avevo preso questa decisione in via cautelativa, ora che le mie speranze di diventare prof di I fascia sono finite penso di aver fatto la cosa giusta. La cosa che mi sorprende e’ che sto ricevendo parecchie offerte da tutta Europa (non sono cosi’ bravo da attirarne dagli USA) e tutte prevedono che l’eventuale procedura di assunzione si concluda in 5-6 mesi max. Per il concorso in questione sono stato in ballo 4 anni interi!

  4. Agostino Nuzzolo

    Condivido che il punto cruciale delle nuove procedure è la selettività della selezione nazionale ed è da questa che dipenderà il futuro della Università italiana. In generale ritengo che a livello locale ci debba essere un vantaggio per il concorrente della sede per le seguenti ragioni: – il posto a concorso di solito è il risultato di un lungo lavoro del gruppo locale e del candidato locale, e mi sembra giusto che non diventi facile bottino di gruppi esterni; – di solito il candicato locale meglio si inserisce nel filone di ricerca della sede – di solito il candidato locale dà più garanzie di inserimento anche caratteriale nella squadra della sede. Per quanto riguarda la vicenda concorsuale descritta, è evidente che c’è stato un macroscopico errore procedurale della commissione, che ha operato contravvenendo lo spirito della norma non solo nella forma, ma anche nella sostanza. La immediata compilazione dei giudizi collegiali è proprio una delle garanzie di maggiore oggettività.

  5. Cinzia Cirillo

    In tutti i paesi dove ho lavorato in ricerca da quando sono scappata dall’Italia, diventare ordinari non dipende dall’età né dai metodi adottati per portare avanti la propria ricerca. Si diventa professori ordinari, in base al numero di pubblicazioni su riviste internazionali, in base all’impatto della propria ricerca e in base al riconoscimento che i propri pari attribuiscono ai risultati ottenuti. Cosi si puo diventare ordinari a 30 anni a MIT o ordinari a 35 all’Universita di Sydney; per citare solo alcuni casi che conosco direttamente. La comunità scientifica si dovrebbe indignare quando casi come questi accadono. Purtroppo situazioni come questa non sono un’eccezione ma piuttosto la regola e quelli che sono nel sistema hanno troppo timore di ritorsioni o peggio sono convinti che le cose debbano andare cosi.

  6. Marco M

    Di cittadinanza americana, ho studiato all’università di Bologna qualche tempo fa. Visto dagli Stati Uniti, dove lavoro con alcune Università, questa storia è patetica. Non avrei mai pensato che l’università italiana fosse cosi arretrata. In questi tempi di concorrenza feroce fra paesi per essere competitivi, prendere il rischio di perdere « the best minds » perché il merito non è riconosciuto mi pare suicidiale per l’Italia. Che una candidata interna, con più di 60 anni, che ho avuto modo di verificare su diversi siti, non ultimo Publish or Perish, ha un H index di 2, sia presente tra i partecipanti e non vinca, e poi il concorso “salta” fa pensare e riflettere. Catania è così KEEN nel perpetuare adverse selection?

  7. Cinzia Cirillo

    Non vorrei entrare nel merito della procedura seguita, forse c’è un errore procedurale o forse no. Ma vorrei sottolineare che proprio considerazioni come le sue dovrebbero essere bandite dai criteri di selezione (tra l’altro i suoi criteri non sono in nessun bando di concorso). Capisco che ottenere un posto nel proprio gruppo sia molto faticoso (lo e’ anche qui negli USA dove lavoro io), ma il gruppo dovrebbe essere contento di portare dentro il miglior candidato e di fare spazio a profili emergenti e a idee innovative. “Il bottino di gruppi esterni” è sfortunatamente una visione molto limitata del problema; i gruppi forti sono quelli che formano i candidati migliori che sono anche quelli piu competitivi sul mercato. La lotta dovrebbe essere quella di formare i migliori allievi non quella di difendere i propri candidati. Con considerazioni come la sua l’Universita italiana e l’Italia non andranno molto lontano. PS Agostino Nuzzolo è il presidente della Societa Italiana Docenti Trasporto.

  8. Ricercatore in estinzione

    Un classico esempio di non progressione di carriera di persone serie e in gamba, non al servizio del potere. E’ evidente che il semplice merito non paga e presentarsi in sedi dove le cose vengono decise non da commissioni, ma da chi bandisce o fa bandire un posto, risulta molto scomodo. Ma perché tutto questo succede? Per premiare la moglie, il figlio o l’amante di qualche potente? O perché a qualcuno deve essere riconosciuto il servilismo di anni senza che vi sia alcun merito scientifico? E, ancora, perché i bravi paradossalmente devono far intervenire la magistratura per farsi riconoscere i meriti scientifici? Perché l’accademia è baronale, non motiva i bravi ad andare avanti e ai desiderosi di crescere. L’accademia italiana è supportata e supporta il potere finalizzato alla distribuzione di quattro soldi per la ricerca e posti per parenti, affini e “fedeli”. E’ bene allora andare lì dove le qualità di un docente serio e le sue qualità vengono apprezzate per quelle che sono realmente. Questo posto di certo non è l’Italia. E’ evidente che nel nostro Paese la meritocrazia non ha spazio visto l’epilogo che ha avuto anche questo caso.

  9. Quirino Paris

    Dove non c’è intenzione di fare il proprio dovere (cioè selezionare i migliori candidati secondo il mandato dell’articolo 97 della Costituzione); dove si continua a darsi e a dare la zappa sui piedi della ricerca; dove il tornaconto personale è l’unico criterio di decisione, anche le regole non servono alla costruzione di una società civile perché si trova sempre una verbalizzazione di comodo. I prof universitari italiani e i loro rettori, devono aver imparato dal giudice di cassazione, il giudice ammazza-sentenze, che ha liberato un numero imponente di mafiosi trovando sempre vizi di forma nelle sentenze di merito. E poi c’è il Miur, che non rispetta e non esegue quasi mai le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato. In questa situazione di inciviltà, è illusorio immaginare che una riforma qualsiasi del reclutamento universitario porterà i benefici scientifici di sviluppo che altre culture hanno adottato da lungo tempo.

  10. Lorenzo C.

    C’è un aspetto di questa vicenda che dovrebbe lasciare, per chi ha avuto la pazienza di leggere gli atti, molto perplessi sul “disconnect” che c’è oggi nel paese tra un predicare per la compeittivtà e la meritocrazia e la difesa di steccati e consorterie. Questa vicenda sembra uscita da un brutto libro di aneddotti di un’Italia che non vorremmo più che esistesse. Se non fosse tragicomicamente vera. Invito ad una lettura degli atti perché la cosa che sembra aggiungere il danno alla beffa è il riconoscimento da parte di qualcuno della regola non scritta che mira a favorire i candidati locali, indipendentemente dalla loro qualità, e che è in violazione di qualsiasi forma di concorrenza accademica. Ben fatto averla portata alla luce. Meriterebbe però ancor più risonanza. L’altra impressione che se ne trae è che l’accademia italiana dovrebbe assumere una posizione collettiva sulla trasparenza delle procedure. Lasciare ai singoli la difesa suona un pò giustificatorio (di mancata trasparenza) e ipocrita. Auguro ai ricorrenti in appello di trovare un giudice disposto a leggere e a capire la sostanza andando oltre la forma; che sarebbe già una piccola rivoluzione per l’Italia dei cortili.

  11. Riccardo Cappellin

    a) Un po di mobilità farebbe bene a tutti i nostri docenti che si sono laureati in una università, sono diventati ricercatori e poi associati nella stessa ed infine pretendono di diventare ordinari. Obbligo di cambiare sede ad ogni passaggio di carriera o almeno da associato ad ordinario per evitare i conflitti di interesse e le collusioni fortissime sia in università piccole che anche in quelle grandi e centrali. b) i concorsi a cattedra non sono una gara di bellezza in cui vince il più bello. Nessuno ha “diritto” ad avere un “posto da ordinario” in una università. Un’organizzazione come una università è libera di scegliere secondo i suoi criteri e le sue strategie, ma il mercato o il Ministero devono punire le università che non raggiungono determinati livelli minimi. La ricerca non la si fa da soli ma in gruppi anche interdisciplinari e ogni gruppo di ricerca può scegliere le persone che sono compatibili con il gruppo, se hanno superato dei livelli accertati a livello nazionale. Ma lo deve fare “pescando” non dai candidati locali ma da un pool nazionale. Infine, i candidati locali escano dalla loro Alma Mater e facciano un po di “purgatorio” fuori casa.

  12. Andrea Zhok

    Ciò che mi piacerebbe qualche volta emergesse dai resoconti giornalistici è un quadro un poco meno aneddotico relativo alle criticità dell’università italiana. Quello che informalmente so lavorando nell’università italiana, avendo lavorato in università estere, e leggendo sempre le notizie di interesse universitario è 1) che le università in cui queste schifezze succedono sono sempre le stesse, più o meno una dozzina sul territorio nazionale; 2) che nonostante l’esistenza di queste voragini e nonostante antiche carenze infrastrutturali, la formazione media dell’università italiana è tra le migliori del mondo; 3) che l’Italia ha insieme alla Germania la maggiore produttività scientifica  della ricerca per euro speso. – Tra parentesi, la riforma che è attualmente in fase di implementazione e che secondo alcuni dovrebbe avere virtù salvifiche sul sistema, attribuisce a rettori e professori di prima fascia la sostanziale totalità del potere accademico, più di quanto già fosse. Anche su questo punto sarebbe bello sentire qualche volta un commento da chi sa cosa questo significa nel contesto reale dell’università italiana, e non formulando comparazioni improbabili con Harvard o MIT..

  13. Davide C

    A me sembra che questa vicenda sia agghiacciante e dovrebbe provocare profonda indignazione in tutta la comunità scientifica (a partire dalle Società scientifiche). Anche ammesso (e, vedendo gli atti, direi non concesso) che ci fosse un vizio procedurale, il rettore, invece di rimandare gli atti alla commissione, come di solito accade in questi casi, decide di annullare tutto il procedimento. Si tratta di un atto sostanzialmente intimidatorio, che manda un chiaro messaggio alle commissioni di concorso: nella mia Universita’ vince chi dico io! Per certi versi, la fine dei concorsi locali e l’entrata in vigore dell’abilitazione nazionale prevista dalla legge Gelmini depotenzia molto questa minaccia per il futuro. Ma questa e’ una magra consolazione, perche’ due ricercatori eccellenti hanno subito una tremenda ingiustizia e questo comportera’ un allontamento dall’accademia italiana.

  14. ELENA MAGGI

    Conta la forma relativa alla procedura che scrive delle regole spesso in modo volutamente non chiaro, lasciando ampio spazio alla discrezionalità nell’interpretazione, regole che in questo caso devono essere seguite da una commissione o conta il contenuto della valutazione della commissione, dei criteri usati dalla stessa, delle pubblicazioni scritte dai candidati, del lavoro didattico e scientifico da essi svolto, della loro apertura internazionale, ecc.? Come si sceglie il candidato / i candidati capaci di far progredire la ricerca italiana?Con metodi – criteri discrezionali (perché fa comodo a tutti che lo siano) o guardando ai contenuti? La risposta che emerge con evidenza dalla lettura di questa notizia ci lascia tanta amarezza, che è ancora più grande perché in Italia notizie di questo genere si sentono ogni giorno e riguardano l’università, così come altre realtà pubbliche e private. Tanta amarezza perché è chiaro a tutti che andando avanti così, finché non si riuscirà a far trionfare un po’ di meritocrazia, ma continueranno a valere i localismi, le conoscenze, le logiche di partito, ecc., l’Italia e l’accademia italiana– oggi in crisi profonda – non riuscirà a riprendersi!

  15. Antonello Zanfei

    Sono uno dei componenti della commissione sciolta con il decreto rettorale che ne annullava gli atti. Posso dire in tutta onestà che le contestazioni riguardanti gli aspetti formali sollevate dal Rettore e accolte dal TAR seguono una logica che sta a metà fra Kafka e Orwell. Si basano infatti sull’interpretazione arbitraria di una congiunzione (il famoso “quindi”), il cui significato vero si assume stia solo nella testa di chi ha scritto il bando. Il Rettore (e il TAR non ha avuto nulla da ridire su questo) ha anche voluto esprimersi in modo vincolante su una questione che mi sembra decisamente al di fuori della sua competenza, cioè quale sia il metodo corretto di valutazione. Lo ha fatto prendendo apertamente posizione per una delle parti in gioco, la minoranza della commissione, senza tenere conto degli argomenti addotti dall’altra componente, quella maggioritaria. E la maggioranza si è espressa proprio nel senso di tenere conto di criteri di valutazione condivisi dall’accademia internazionale. Quindi, la decisione del Rettore e del TAR è forse corretta sul piano formale, ma ampiamente arbitraria, inaccettabile sul piano sostanziale e molto dannosa per l’Università italiana.

  16. Daniele Archibugi

    Quanto ci raccontano Franco Malerba e Francesco Silva è una ulteriore brutta pagina della accademia italiana. Purtroppo, i TAR, come dice il nome stesso, sono Tribunali Amministrativi Regionali, e tendono quindi a schierarsi su quelli che percepiscono essere gli interessi della regione (senza rendersi conto che il vero interesse della Regione è reclutare sempre e comunque i più capaci), anche con interpretazioni strampalate del diritto. Ma nelle lungaggini amministrative italiane c’è, per fortuna, un contrappeso: il Consiglio di Stato, che in genere riesce a moderare le assurdità compiute dai TAR. Spero vivamente che i candidati dichiarati vincitori dalla Commissione si appellino al CdS, e mi offro volontario per partecipare alle spese legali. Spero anche che la Commissione esonerata si costituisca presso il CdS. Mi rendo conto che si tratta di ulteriore perdite di tempo, di ulteriore mortificazioni e capisco le ragioni di chi avendo una reputazione internazionale, come Lissoni, trovi conveniente sbattere la porta e andare in un altro paese. Non sarebbe certo il primo. Ma spero che, almeno per qualche mese ancora, fino al pronunciamento del CdS, decida di restare.

  17. VALERIO GATTA

    La mia prima reazione a questa notizia non è stata di stupore. Poi ho pensato che è proprio qui il problema: siamo ormai talmente abituati a questi atti di forza che tutto ci passa sopra e in qualche modo siamo complici di coloro che alla faccia del merito sistemano le cose a proprio piacimento. E’ evidente che nel caso specifico la norma concorsuale è stata interpretata al solo fine di invalidare il giudizio dei commissari che in modo chiaro e netto avevano evidenziato i vincitori quali migliori in termini di produzione scientifica. In senso più generale, credo sia necessario una completa revisione delle procedure concorsuali con possibilità di prevedere anche delle chiamate dirette sotto la responsabilità dei docenti con un sistema di bonus/malus a fronte di periodiche verifiche dei risultati ottenuti così da innescare un circolo virtuoso in cui il docente di riferimento è il primo interessato a chiamare le teste migliori. Faccio i miei migliori auguri ai vincitori morali e non del concorso di Catania.

  18. Angelo

    Ho fatto una verifica. Quasi tutti i professori della Bocconi si sono laureati in Bocconi. Meritocrazia but not in my backyard.

  19. Angela B.

    E’ desolante. Entrambi i “vincitori” hanno uno status scientifico internazionale e sono affermati ricercatori. Ognuno eccelle nel suo campo, come del resto i giudizi dei commissari evidenziano senza ombra di dubbio. Rammarica la scelta di uno degli idonei di spostarsi all’estero. Non deve essere questa la strada. L’Università in Italia può e deve sopravvivere. In questo periodo è mortificata e umiliata. Aiutiamoci a farla rinascere, voltando pagina, teniamo duro, impegnamoci perché il sistema rigeneri sé stesso. Intanto si faccia di tutto perché il successivo grado di giudizio possa rimediare a questa ingiustizia.

  20. Marcello Romagnoli

    La soluzione è facile: si aboliscano i concorsi che sono incapaci in se di valutare la complessa professionalità di un ricercatore/professore. Si istituisca la chiamata nominale e un robusto, chiaro e condiviso sistema di valutazione degli assunti. Si eliminino le categorie del ricercatore, prof.associato e ordinario a vantaggio di una unica. I più meritevoli secondo il suddetto sistema di valutazione prendano più soldi e abbiano più collaboratori finchè se lo meritano. Se cessano di lavorare bene prima si diminuisca lo stipendio e nei casi peggiori lo si licenzi. Importante è che il sistema di valutazione sia trasparente e il più possibile oggettivo! Prego problemi più complessi please.

  21. Maurizio Caserta

    a) il meccanismo di reclutamento è inutilmente formale e dovrebbe essere modificato nel senso di una più forte responsabilizzazione dei soggetti che scelgono; ma non ci si può stupire se il mancato rispetto di alcune norme diventa oggetto di un contenzioso; non ci possono essere norme opportune e seguite ed altre ritenute inopportune e violate; b) nell’andamento dei concorsi si è passati dall’estremo per il quale si dava per scontato che il cosiddetto candidato interno fosse giudicato idoneo all’altro per il quale lo stesso non dovesse essere mai giudicato idoneo; una distorsione che segnala debolezza e approssimazione in entrambi i casi; c) in tutte le università del mondo nella selezione si guarda, attribuendovi pesi variabili, al contributo che i candidati danno alle tre funzioni dell’ università, ossia ricerca scientifica, didattica e sviluppo territoriale. È provincialismo pensare che il peso da dare alla ricerca sia sempre uno e zero alle altre; d)i difensori del merito sanno bene che non esiste il merito astratto ma solo il merito rispetto ad uno scopo: è compito di tutti noi predisporre misurazioni del merito espresse in termini di utilità sociale.

  22. Romeo Danielis

    Condivido l’analisi degli autori. Sicuramente i problemi da loro posti (rapporto centro-periferia e discrezionalità delle decisioni pubbliche) sono cruciali. Con altrettanta certezza credo si possa dire che l’assetto attuale non è soddisfacente e spero che l’attuale Ministro lo riconsideri, non necessariamente per stravolgerlo, ma per correggere disfunzioni come quella palese di Catania. Sottolineo solo un aspetto. Qual è il costo per l’erario dello Stato di pagare 5 professori ordinari per riunirsi per giorni ad esaminare le domande e scrivere un verbale, inutilmente lungo decine di pagine, per poi vederselo annullare da un Rettore per un vizio, per me solo formale, senza preoccuparsi di consultare la Commissione, a cui far seguire controlli amministrativi e ricorsi che durano anni? Possiamo ancora permettercelo? Direi proprio di no!

  23. Flavio Boscacci

    In democrazia, com’è naturale, le istituzioni godono di ampia autonomia. Nel tempo, tuttavia, l’autonomia necessita di essere onorata con il sacrosanto esercizio della responsabilità e dell’onore. All’Università di Catania due tra i migliori ricercatori italiani del loro settore disciplinare (SECS- P/06), apprezzati e ricercati a livello internazionale, sono impediti nel loro diritto di progredire in carriera da una capziosa azione di contrasto messa in campo dal Rettore per favorire il suo candidato interno che, al contrario, la comunità scientifica italiana fatica a conoscere. Veniamo poi a sapere che lo stesso Ateneo è preda di faide interne, che il Rettore viene qualificato sui media per una sua presunta appartenenza partitica, oltre che per essere elargitore di discutibili, imbarazzanti, Lauree HC. Mi si consenta di rivolgere al Signor Ministro dell’Università una domanda così ingenuamente formulata: l’Ateneo catanese merita davvero la sua Autonomia statutaria?

  24. Rosario La Rosa

    Trovo veramente singolare che la corretta applicazione di alcune norme che regolano l’espletamento di un concorso susciti tanto scalpore e faccia gridare allo scandalo. Esiste, peraltro, la sentenza di un tribunale, il TAR per l’appunto, che conferma la fondatezza degli errori commessi dalla commissione nel concorso di cui si discute. Forse che nel caso dei concorsi universitari l’esito debba dipendere veramente dall’appartenenza o meno a “gruppi forti” – come sembra di capire da alcune affermazioni, i quali formerebbero, a suo dire, i candidati migliori – piuttosto che da una valutazione complessiva, il più possibile obiettiva e trasparente, dei candidati e che dunque tenga conto di più variabili? Sarebbe forse ora di cambiare!

  25. R. Cellini

    Un’informazione di servizio su questa vicenda: chi vuole leggere la sentenza del TAR con le motivazioni, sappia che e’ gia’ stata depositata ed e’ pure facilmente scaricabile dal sito: basta (1) collegarsi alla home page di TAR Sicilia – Catania; (2) selezionare “Ricerca ricorsi”; (3) selezionare ANNO 2010, NUMERO 3409. Il file riscostruisce tutta la vicenda, ovviamente dal punto di vista della giustizia amministrativa. La sua lettura (oltre che doverosa, prima di intervenire) e’ davvero molto utile per farsi un’idea…

  26. E. Marcucci

    Cellini invita a leggere la sentenza del TAR prima di esprime un giudizio. Corretto. Per formarsi però un’idea ancor più ampia dell’accaduto, suggerisco anche di leggere un interessante articolo (http://noisefromamerika.org/articolo/vie-baronaggio-sono-infinite) dove la questione Catania è trattata ed analizzata nel dettaglio in modo comparato rispetto ad un altro caso della Federico II di Napoli. Buona lettura.

  27. Francesco Silva

    Carlo ha interpretato correttamente il senso del mio/nostro intervento relativo al concorso di Catania. Il problema é più generale del concorso in questione, ed ha a che fare con l’assunto che la P.A. debba essere il supremo garante dell’imparzialità e della correttezza, poiché i cittadini sono sempre scorretti, potenzialmente. Su questa base si costruiscono norme che pesantemente interferiscono nel libero gioco dei rapporti contrattuali e competitivi. Il vero costo della corruzione e dell’illegalità esistente non sono tanto i costi contabilizzati, ma le regole che si accumulano per prevenire gli abusi, e in tal modo favorirli, come mostra il caso di Catania. Ho sempre pensato che finché in Italia c’é il diritto amministrativo come strumento legale che regola i rapporti cittadino stato, vi é un’implicita dittatura della PA sui cittadini. Il diritto amministrativo é l’espressione di uno stato apparentemente garantista, ma di fatto paternalista,impiccione e prepotente. Il potere dei TAR e del Consiglio di stato é occulto e pervadente. Naturalmente non vi è alcuna possibilità che il diritto amministrativo venga soppresso e quindi teniamoci questo paese.

  28. Giancarlo Corò

    La vicenda di Catania fornisce il segnale di quanto in basso sia caduto in alcuni punti il nostro sistema di reclutamento universitario: il problema è che questi punti di caduta hanno esternalità rilevanti su tutta l’Università, che dunque paghiamo anche fuori Catania. I due colleghi coinvolti, studiosi stimati a livello internazionale, vedono così precluso il loro percorso di carriera a causa di un mix di protervia baronale e astruse norme procedurali. Un ottimo risultato per quanti vogliono indebolire onorabilità e autorevolezza dell’Università italiana.

  29. Davide Ticchi

    In tanti concorsi osserviamo che, di fronte a vizi di forma anche importanti, il Rettore rimanda gli atti alla commissione. In questo, un vizio di forma con poca o nessuna implicazione sostanziale, consente a un Rettore di annullare il concorso. Com’è mai possibile tanta discrezionalità? In un sistema giuridico evoluto il rispetto delle “formalità” nei concorsi ha lo scopo di garantire che a vincere siano i più meritevoli e non di impedirlo, come sembra invece essere avvenuto in questo caso. Il fatto che a breve cambieranno le procedure di reclutamento non eviterà che comportamenti simili si ripetano. Mi chiedo quindi se non sia opportuno che il Ministro Profumo metta mano alle norme sui concorsi evitando che in futuro una congiunzione in un bando porti a vicende tanto incomprensibili. Dal momento che singoli casi possono assumere una rilevanza generale, in quanto utili a rendere manifesta la distinzione tra comportamenti corretti e sbagliati, vi è da sperare che la Magistratura consenta la conclusione di questa vicenda in tempi rapidi oltre che nel modo più ragionevole. Se, nel frattempo, anche il Ministro volesse esprimere la sua opinione al riguardo, forse, male non farebbe.

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