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SCELTE POCO STRATEGICHE

L’iscrizione a una facoltà universitaria avviene spesso senza guardare avanti, al futuro lavoro che si andrà a svolgere. Ed è per questo che molti italiani rimpiangono le decisioni prese passato, perché le loro mansioni lavorative non corrispondono alle competenze acquisite negli studi. È possibile evitare o comunque ridurre il rischio di una scelta universitaria deludente e i successivi pentimenti? Forse, le famiglie dovrebbero iniziare a discuterne presto, al momento di decidere quale scuola  superiore far frequentare ai propri figli.

In tanti abbiamo scelto la facoltà universitaria un po’ “a casaccio”. Stendiamo un velo sugli autori, e parliamo degli amici. Guido, un amico di Nicola, si era iscritto alla Bocconi perché vicina a casa. E suo fratello minore lo aveva poi seguito perché, insomma, facevano tutto assieme. Daniela, un’amica di Pamela, le ha recentemente raccontato di aver deciso per la facoltà di Sociologia aprendo a caso il libretto di guida alle facoltà universitarie, ma riservandosi un secondo tentativo se fosse uscita Giurisprudenza o Medicina.

RIMPIANTI TRA UNIVERSITÀ E LAVORO

Sospettiamo che questi aneddoti, magari in forme meno estreme, non siano rari. E che un certo disorientamento al momento di decidere la facoltà universitaria sia piuttosto comune. Ciò può condurre a scelte più intuitive che ragionate. Alcuni poi per fortuna si ritrovano soddisfatti; altri purtroppo molto meno. Sebbene sia difficile fornire una stima precisa, una percentuale significativa di laureati dichiara di avere dei rimpianti. Ad esempio, una recente rilevazione rivela che il 23 per cento degli italiani è pentito della facoltà universitaria seguita, e un ulteriore 7 per cento frequenterebbe di nuovo la stessa facoltà, ma in una università diversa. (1)
Le conseguenze di “facoltà scelte male” si vedono sul mercato del lavoro. Oltre il 20 per cento dei lavoratori italiani dichiarano di trovarsi in un cattivo match lavorativo: le loro mansioni lavorative non corrispondono alle competenze acquisite negli studi. (2) È quindi lecito chiedersi se, e con quale frequenza, la scelta dell’università sia fatta guardando avanti, al mercato del lavoro. Forse non così spesso. Il sospetto sorge anche perché sappiamo da altre fonti che, in aggregato, la scelta della facoltà universitaria in Italia è poco allineata con le esigenze del mercato del lavoro. (3)
Attenzione: non vogliamo necessariamente dire che si debba o possa cambiare il modo in cui i giovani scelgono la facoltà universitaria. È possibile, e in parte condivisibile, che la scelta venga fatta seguendo i propri gusti e le proprie passioni più che pensando al lavoro futuro.  È anche vero, però, che non pochi laureati dichiarano di avere rimpianti e che un numero significativo è sottooccupato o disoccupato. E allora, ci chiediamo: c’è spazio per evitare o comunque ridurre il rischio di una scelta universitaria deludente, e i successivi rimpianti? Ciò non vuol dire scegliere pensando solo al portafoglio, ma significa pensare anche a quello, assieme ad altre considerazioni. E, soprattutto, significa fare una scelta ragionata.

UN PROCESSO POCO RAGIONATO

È difficile sapere quanto, in media, sia ragionato il processo che porta alla scelta della facoltà universitaria. Semplificando, ci sono almeno un paio di fattori che possono determinarla. Partiamo da lontano. Il tipo di istruzione secondaria influisce considerevolmente sulla scelta della facoltà universitaria. Per fare un esempio su tanti, chi studia ragioneria alle superiori poi tende a iscriversi alla facoltà di economia e commercio. (4) Ma come si decide, allora, la scuola superiore? Una recente ricerca mostra che sono i giovani stessi spesso a guidare il processo di scelta. (5) E la maggior parte dei quattordicenni non sembra proprio conoscere l’ordine di grandezza di un salario corrispondente a un diploma e a una laurea. I genitori stessi faticano a rispondere alla domanda. Inoltre, questa prima decisione sembra presa senza guardare troppo avanti, alle successive scelte della facoltà universitaria o del tipo di lavoro. (6)
Se quindi i ragazzi intraprendono l’istruzione secondaria in maniera poco strategica, che cosa si sa della scelta universitaria? Non molto, in realtà. La nostra sensazione, necessariamente aneddotica, è che, in molti casi, non sia fatta sempre con grande attenzione al mercato del lavoro. E i dati riportati sopra sembrano offrire qualche supporto a questa sensazione.
In conclusione: non pochi italiani rimpiangono la scelta della facoltà universitaria. Ci sembra plausibile che molti rimpianti riflettano l’essersi trovati spiazzati sul mercato del lavoro, in parte per la poca “rivendibilità” di certe lauree, scelte magari senza grande pianificazione strategica. Focalizzandoci su questo aspetto, ci chiediamo: si può pianificare meglio il tipo di “capitale umano” che si acquisisce fra i 14 e i 25 anni? A chi crede di sì, suggeriamo di avvicinarsi a questa scelta in maniera ragionata, già a partire dalla selezione della scuola superiore. Spingendoci oltre il nostro seminato (siamo solo economisti, dopo tutto) ci permettiamo di suggerire a quelle famiglie che si vogliono porre il problema del mercato del lavoro per i propri figli, di mettere la questione sul tavolo. E, per quanto possibile, di discutere esplicitamente, strategicamente, e in maniera informata l’acquisizione di capitale umano dei figli. In fondo, questa è una delle scelte più importanti nella vita di una persona.

(1) Tavola 56 in Kenny Peterson “Graduates from Higher Education in Europe,” Statistics Sweden, 2007. Disponibile online a http://www.fdewb.unimaas.nl/roa/reflex/documents%20public/publications/REFLEX_Sweden.pdf
(2) Figura 5.3 da Wasmer, E., P. Fredriksson, A. Lamo, J. Messina, and G. Peri. 2007. “The macroeconomics of education”. In Education and training in Europe, ed. G. Brunello, P. Garibaldi, and E. Wasmer, 1– 140. Oxford: Oxford University Press.
(3) Si veda https://www.lavoce.info/articoli/pagina1002930-351.html
(4) Si veda Bratti, M. e S. Staffolani (2001), ‘Performance accademica e scelta della facoltà universitaria: Aspetti teorici e evidenza empirica’, Rivista di Politica Economica, SIPI, Vol. 91(7-8), pp. 203-244.
(5) Giustinelli, P. (2011), “Group Decision Making with Uncertain Outcomes: Unpacking Child-Parent Choice of the High School Tracks,” Human Capital and Economic Opportunity Working Paper, 2011-030. Disponibile online a http://humcap.uchicago.edu/RePEc/hka/wpaper/Giustinelli_2011_group-decision-making.pdf I dati di questa ricerca sono limitati ad un campione di scuole del comune di Verona, e non sono quindi rappresentativi a livello nazionale.
(6) Questa evidenza è supportata anche da Bratti, M. (2001), “Oltre la scuola dell’obbligo. Un’analisi empirica della decisione di proseguire nell’istruzione post-obbligatoria in Italia”, Moneta e Credito, n. 214, pp. 175-203, per un campione rappresentativo a livello nazionale.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

21 commenti

  1. SAVINO

    Bisognerà boicottare le Università italiane fino a quando non saranno capaci di introdurre uno straccio di meritocrazia. Del resto, le statistiche che indicano il calo di iscrizioni vanno in quella direzione. L’Università non può avere licenza di illudere i figli della povera gente che hanno tante aspettative, per ridursi ad un manipolo di oligarchi in conflitto d’interessi.

  2. HK

    Gli autori giustamente evidenziano la necessità di discutere con anticipo le scelte sulla scuola superiore e l’università. Va tuttavia osservato che molte di queste scelte sono di fatte precluse già a partire dalle scuole medie o addirittura elementari. La scarsa preparazione in matematica preclude tutte le facoltà tecnico-scientifiche e la scarsa preparazione generale rende accessibili alla maggioranza solo le facoltà “facili”, ma anche per questo meno richieste. Insomma, se vogliamo che i nostri figli possano avere successo in facoltà che danno la speranza di un brillante futuro lavorativo dobbiamo impegnarci per rimuovere le anomalie, prima di tutto, della scuola di base.

  3. Alberto

    Ipotizzare che la scelta della facoltà universitaria sia fatta aprendo a caso la guida dello studente o esplorando i dintorni a caccia della sede universitaria più vicina significa non avere la minima idea del problema e della sua complessità. Che il 20% faccia un lavoro diverso da quello per cui ha studiato può stupire solo chi pensa che i percorsi di vita delle persone reali assomiglino alle scelte razionali del bizzarro homo oeconomicus delle loro elucubrazioni economicistiche… L’orientamento è un processo complesso e continuo che non può essere ridotto ad una macchietta da bar universitario!

  4. Alfonso Fumagalli

    La scelta di seguire i propri gusti e le proprie passioni più che pensando al lavoro futuro rientra nella categoria di godiamoci la vita. Potrebbe andare bene se si accettasse poi di vivere a pane ed acqua cosa che non è. Lo Stato dovrebbe programmare gli indirizzi di studio sulle richieste di lavoro e non sulle esigenze dei docenti e su “come si vorrebbe che il mondo fosse”.

  5. giorgio mascitelli

    Circa 6 anni fa fu avviata una grossa campagna mediatica perchè pochi studenti si iscrivevano a matematica. Il ministro prese varie iniziative per incentivare, tra le quali riduzioni delle tasse d’iscrizione ecc.. Intanto nel pieno dell’entusiasmo molti non si accorsero delle dichiarazioni di una preside di facoltà che diceva che gli iscritti erano pochi, ma più che sufficienti per quella che è la domanda di matematici in Italia. Oggi medicina è considerata una facoltà sicura, mentre negli anni 70 sembrava essere una fucina di disoccupati. La differenza è che oggi c’è il numero chiuso. Quello che m’insegnano questi due esempi è che la scuola deve cercare di rispondere alle domande della società, ma non può sostituirsi a un’economia che non c’è. Se oggi abbiamo un’economia basata sulla speculazione anzichè sulla produzione dobbiamo cambiare l’economia e non la scuola ( che va cambiata, ma per motivi diversi da quelli a cui pensano gli economisti)

  6. Stefania Sidoli

    Certo spesso la scelta della facoltà universitaria, e spesso anche quella della scuola superiore sono assai sovente frutto da un lato delle predisposizioni che si palesano at ermine del ciclo dell’obbligo e dall’altro delle condizioni economiche della famiglia in quel momento ( fattore non secondario, da sempre e non solo ora). Per il passato dobbiamo aggiungerci – quantomeno per le scelte di un liceo,classico o scientifico poco importa – del significato di ” riscatto” che assumeva per i genitori che venivano da un passato in cui la scelta scolastica era fortemente connotata come scelta ” di classe”. E non v’è dubbio che, a partire dallo stesso ciclo superiore, un’analisi di prospettiva sarebbe utile, quando non necessaria. Mi chiedo tuttavia se è davvero possibile ipotizzare come possibile l’analisi da oggi dei bisogni del mercato del lavoro tra 5/10 anni.O se non va ripensato il ruolo formativo ( della persona in primo luogo) della scuola prima e ell’università poi,essenziale, qualsiasi cosa si faccia nella vita. Poi ragioniamo di scelte: ma dopo!

  7. Alessandro Figà Talamanca

    Le scelte “sbagliate” del corso di laurea hanno anche un peso sui succesivi ritardi negli studi e sugli abbandoni. D’altra parte, specialmente nel caso, ormai frequente, di figli di genitori non laureati è difficile pensare a scelte meditate e sicure da parte di diciannovenni, senza esperienze, nemmeno famigliari, di studi universitari. A mio parere, invece, gli ordinamenti didattici del primo anno dovrebbero consentire di cambiare corso di laurea senza troppe penalizzazioni, come avviene ad esempio negli Stati Uniti, dove la scelta definitiva del “major” è posposta al terzo anno.

  8. Lucio

    Penso che la scelta dell’istituto superiore debba essere fatta sulla base delle attitudini e delle materie verso cui il ragazzo è portato; anche perchè trovo che sia oggettivamente difficile fare delle previsioni sul mercato del lavoro dai 14 anni in cui si sceglie l’istituto superiore ai 25/26 in cui presumibilmente una persona si laurea. Quello che manca è l’interazione tra istituti superiori e università con il mondo del lavoro; per esempio stage formativi in azienda, spesso proposti gratuitamente a laureati.

  9. Roberto

    In Italia pochissime persone, rispetto alla media UE, si laureano. Noi stiamo affossando quei pochi per molti motivi. Tre di questi sono: – Alzare l’eta in cui si va in pensione in un mercato del lavoro saturo come quello italiano impedisce un sano ricambio generazionale in tutte le professioni. – il fatto che molti pensionati continuino a lavorare invece di godersi il meritato riposo non aiuta. – forse non è la scelta che è sbagliata, ma l’offerta tra cui scegliere che non è all’altezza. A questo proposito, credo che un modo per ridurre il problema della scelta sia avere un modello universitario come quello inglese o americano, con un major e un minor. Questo darebbe la possibilità di studiare quello per cui si è veramente portati o quello che piace di più, e allo stesso tempo studiare qualcos’altro, che magari sia più richiesto dal mondo del lavoro. Nel nord Italia la soluzione che le famiglie hanno trovato a questo dilemma è evitare di mandare i figli all’università. Anche se non penso sia un segno di lungimiranza a lungo termine, è sicuramente una risposta rispettabile ad un mondo che non vuole rinnovarsi.

  10. contessina

    ho già passato la quarantina, ma ricordo ancora bene le discussioni con mio padre circa le scelte scolastiche. avrei voluto iscrivermi a filosofia e invece seguii i suoi consigli (veramente non è che avessi molte alternative…) e scelsi economia, dove mi laureai a 24 anni. sono convinta di aver fatto la scelta giusta, e ringrazio sempre mio padre per la sua lungimiranza. mi sono iscritta a filosofia qualche anno fa, per puro piacere personale. il senso pratico ha la sua importanza, ma mai abbandonare i sogni.

  11. Giuseppe Iannaccone

    Anche negli Stati Uniti c’è un gran dibattito in questo periodo sulla relazione tra tipo di laurea e reddito. Un commento ai dati 2010 degli stati uniti (redditi medi per tipo di laurea) e alla situazione italiana si può trovare qui. Devo dire che sono molto d’accordo con il commento di Figà Talamanca, come facevo notare anche nel post: per rendere meno irreversibili le scelte sarebbe auspicabile disaccoppiare il più possibile il primo titolo di studio dalla professione, come spesso succede negli US e in UK. Si può fare benissimo una Medical School dopo una prima laurea in Biologia, o una Law School dopo una prima laurea in Lettere.

  12. Mayo

    Io non ho fatto l’Università, ma osservo che il problema non è sempre di una scelta sbagliata nell’indirizzo professionale. Nelle aziende italiane, o in molte di esse, i talenti e le professionalità, quando ci sono, vengono letteralmente sprecate. Io lavoro in una multinazionale che fornisce servizi di gestione energetica e tecnologica, e vi assicuro che viene da piangere a vedere fior di tecnici parcheggiati in mansioni che potrebbero essere svolte da apprendisti mentre tutto il lavoro vero viene dato in outsourcing.

  13. Giuseppe

    Ottima idea, le famiglie devono immaginare la scena di domani. Editore, stampatore , insomma Gutemberg cosa faccio ? Mio figlio cosa farà ? Emblematico di cosa succede in dieci anni. Nulla, le materie sono sempre quelle e magari meglio studiare il cinese che il greco antico. Vero? Si, no bisognerà aspettare e poi si vedrà. Fondamentali e poi la rivoluzione sarà nelle mani dei nostri figli. Auguri.

  14. Dario Quintavalle (Twitter @darioq )

    Come tanti ho scelto la mia facoltà per esclusione: giurisprudenza, l’ approdo classico di chi non ha ancora le idee chiare, e si vuole tenere aperte molte porte. Col senno di poi, una modo di gestire una scelta fondamentale davvero incosciente, ed è brutto appendere che nulla è cambiato per le nuove generazioni. Colpa delle famiglie, certo. Ma anche di un sistema scolastico che ci abitua all’idea che una cosa è lo studio, altra la vita. E così ci da studiare cose tanto belle quanto del tutto inutili. Prova ne sia che studiano ancora il Greco mentre la realtà suggerisce che piuttosto dovremmo sapere l’ inglese.

  15. bob

    Non si può fare una analisi di una problematica senza analizzare le fondamenta dalla quale la problematica deriva. Un Paese che ha ancora una % di analfabeti intorno al 15%,addirittura una % di persone che non capiscono un articolo o uno scritto al 47%, dove si leggono pochi giornali e meno libri. Per non parlare di Internet strumento quasi sconosciuto nel mondo del lavoro. Io credo che prima ancora di scegliere la scuola, bisogna scegliere di creare cultura. Attenzione cultura che non è necessariamente sinonimo di laurea o diploma. Ritengo alle superiori che il liceo classico ( o scientifico) è la scelta che ti permette qualsiasi orientamento successivo anche tecnico. Oggi per le mie conoscenze di perito chimico non servono 5 anni basta un corso di un anno. Ma poi i “professori” cosa farebbero e come sarebbero impiegati? Tutto il sistema Paese è marcio ma soprattutto vecchio, pensate solo alla follia del regionalismo che ha portato l’apertura di inutili sedi universitarie, dove come dice qualcuno ” vado all’università perchè è vicino casa”. La cosa che fa paura che il “germe del becero familismo” ha pervaso soprattutto la mediocre “classe politica” che dovrebbero dare esempio.

  16. bob

    “Prova ne sia che studiano ancora il Greco mentre la realtà suggerisce che piuttosto dovremmo sapere l’ inglese”. Basta sentire frasi di questo tipo per capire a che livello siamo messi. In Finlandia patria dei telefonini Nokia si ha grande rispetto e si studia latino. La frase evidenzia in maniera chiara che cultura non vuole dire laurea! La cultura è un germe che è vorace di curiosità e fame di sapere! Il mondo futuro ha bisogno di colti non di laureati.

  17. eleonora

    Ciao, sono laureata da poco, e per quanto mi riguarda, essendo una persona da sempre avversa al rischio, ho scelto il corso di laurea sulla base di due variabili: la fattibilità e la sicurezza del lavoro. Ed ecco qua che sono finita a fare economia. Ho totalmente trascurato le mie passioni e attitudini, perchè altrimenti sarei finita a fare filosifia e probabilmente la portinaia, visto il mercato del lavoro italiano. Tuttavia mi rendo conto che la mia laurea non mi ha donato le necessarie competenze. Anche in questo caso troppo teoriche, per quello che ho iniziato a fare in ambito lavorativo. Concordo con quanto detto sopra, penso che il distacco tra triennale e specializzazione -all’Americana, come si direbbe nell’italia degli anni che furono- sarebbe molto utile per quanti si trovano sia incapaci di giungere a conclusioni, perchè privi di conoscenze adeguate, o quanti scelgono la razionalità all’istinto.
    (Quando ho scoperto che Marchionne ha un Bachelor in filosofia, assiene ad una specializzazione in commercio… ho avuto una stretta al cuore)

  18. Federico

    Sono uno studente di 20 anni iscritto all’università, e avendo passato con i miei amici da pochissimo questa fase di scelta voglio raccontare la mia. il problema è che arrivati alla fine del liceo la maggior parte degli studenti non sa cosa fare. circa un anno e mezzo fa io e una trentina di compagni di scuola ci siamo iscritti al test d’ammissione per medicina, chi per interesse, chi perchè non sapeva cosa fare altrimenti, chi spinto dalle innumerevoli serie tv, chi spinto da un sicuro (?) sbocco professionale.. ebbene solo 2 ragazzi sono riusciti a passare, ma la cosa strana è che poi la maggioranza assoluta di chi non è passato ha scelto facoltà che non c’entravano nulla con la medicina (giurisprudenza, economia, lingue, matematica), solo in pochi hanno continuato con una facoltà ‘simile’ (infermieristica, biotecnologie, ostetricia) e solo in 2 hanno riprovato l’anno successivo! un paio hanno addirittura iniziato a lavorare! possibile che solo pochissimi abbiano una vaga idea su quello che vogliono fare del PROPRIO futuro?

  19. Dario Quintavalle (Twitter: @darioq)

    Siamo abituati sin dall’infanzia a questa spocchiosa suddivisione, alla categorizzazione e gerarchizzazione del sapere, per cui alcune materie sono “cultura” e altre no, il sapere pratico è un minus rispetto al sapere astratto, e persino nelle facoltà professionalizzanti si privilegia la teoria rispetto alla pratica, talchè un laureato in giurisprudenza, per es., esce dalla facoltà senza saper fare nemmeno un semplice ricorso contro una multa. Una scelta razionale ed economica presuppone una consequenzialità tra mezzi e fini, che nel modo in cui sono impostati i cicli di studio manca del tutto.

  20. Francesco

    Sono un operatore dei servizi pubblici per l’impiego, e ho una discreta conoscenza del mercato del lavoro e dell’offerta universitaria. Credo che un servizio pubblico per l’orientamento universitario e professionale possa fare molto, ma e’ ancora poco valorizzato e sottoutilizzato.

  21. alessio fionda

    Occorre da subito una mobilitazione di chi studia le dinamiche economiche e sociali del mercato del lavoro; il dramma delle aspettative di chi pensava di fare l’avvocato, lo psicologo criminale, l’archeologo, lo scrittore, il giornalista ecc…. rischia di fare danni che ancora non si vedono, la mia proposta, già mandata a qualche parlamentare, è che almeno si preveda un accesso informato all’iscrizione all’università ossia si sottoscrive l’iscrizione ma anche una tabella di dati (che l’università hanno già tutte) con il tasso di abbandono dopo un anno, la percentuale di stage e tirocini, il numero di fuori corso, il tasso di occupazione a 5 anni… si può fare subito e non costa nulla.

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