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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Non è possibile, per ragioni di spazio, rispondere individualmente alle numerose osservazioni. Raggruppo perciò per temi; per le medesime ragioni di spazio, sono costretto ad affermazioni argomentate molto sinteticamente e un po’ secche, ma spero chiare.
Desidero fare una premessa alle risposte specifiche. Capisco i sentimenti di molti degli interlocutori, che hanno insegnato, immagino con impegno, e si sentono ingiustamente accusati o comunque poco apprezzati. Ma io non ho accusato loro, bensì -basta rileggere il mio testo- un insieme di responsabilità politico-amministrative del passato che hanno determinato la situazione di cui essi stessi sono vittime; e ho sollevato il problema perché la proposta del Miur da me criticata costituisce non una soluzione, bensì la perpetuazione dei disastri nonché, per loro, la donazione di una etichetta che proprio questa scelta renderebbe pressoché inutile.

Vengo ora al merito.
Con l’eccezione di uno, quegli interventi che rivendicano la partecipazione alla procedura abilitativa senza vincoli numerici e perciò senza prove di accesso non rispondono alla mia obiezione di fondo: poiché il numero programmato corrisponde alle prospettive di futuro reclutamento, aumentare indiscriminatamente gli abilitati crea illusioni pericolose. L’intervento che fa eccezione afferma che va bene così, si faccia una marea di abilitati e poi le singole scuole sceglieranno chi piace loro; è proprio ciò che rischia di accadere, e non credo vi sia da esserne soddisfatti.
Sui riferimenti alla Direttiva europea non mi pronuncio; è un tema giuridicamente complicatissimo e controverso. Osservo solo che se essa fosse applicabile nei termini ora proposti si tratterebbe di interventi non “una tantum” ma permanenti; sostituiremmo per sempre a un sistema di formazione e scelta concorsuale le assunzioni occasionali ripetute. Non è compatibile con l’articolo della Costituzione che stabilisce che ai pubblici uffici si accede per concorso.
Alcuni contributi introducono questioni diverse da quelle che ho sollevate.

Con riferimento a queste, condivido alcune opinioni:

–          Nella scuola non deve esservi lassismo, ed è importante che anche dopo l’assunzione il docente venga stimolato all’aggiornamento e valutato.
–          Nelle attività delle SSIS vi sono state, accanto a meriti, carenze; in particolare, alcuni docenti hanno riprodotto proprie lezioni su contenuti disciplinari anziché discutere le strategie didattiche. Non sempre vi è stato inoltre rigore nelle valutazioni.
Ritengo deplorevole, invece, la proposta di cancellare l’idea stessa di una formazione all’insegnamento. Considerare sufficiente la laurea disciplinare, dopo la quale si dovrebbe andare direttamente in classe, significa che la didattica dovrebbe essere acquisita sulla pelle degli studenti (previo concorso, o anche senza); è la situazione italiana pre-1999, dalla quale si è faticosamente usciti cercando di uniformarsi, con decenni di ritardo, alla realtà di tutti i Paesi evoluti. Nessuno di noi andrebbe da un medico che, dotato di ottime conoscenze biologiche, non avesse mai visto un malato, e diamo perciò per scontato che occorrono le Scuole di Specializzazione cliniche; negare che occorra quella per l’insegnamento significa negare il valore stesso della scuola.
Quanto ai contributi, non pochi, che vanno nella stessa direzione del mio intervento, alcuni forniscono utili motivazioni aggiuntive. Spesso, però, mostrano un atteggiamento rassegnato, di chi deplora, magari con molta veemenza, quanto accade intorno a noi, ma poi dice che non c’è nulla da fare. Io spero invece, ostinatamente, che cambiare sia possibile, e nelle mie modeste possibilità cerco di contribuire un po’.

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  1. ivano

    Capisco che la questione dell’educazione e, più in generale, quella della formazione è un confine neppure tanto sfumato dove si concentrano interessi particolari e generali. La formazione non è una ricetta medica dove individuati quelli che si considerano “mali”, la giusta medicina è poi capace di curarne le cause. Del resto neppure l’insegnamento è una prescrizione medica. Si può fare altro. Come in tutte le cose del resto. La stonatura, naturalmente a parer mio, è il fatto che come una laurea in architettura non fa di un uomo un architetto, una in filosofia un filosofo o una in matematica un nuovo Abel, un corso post universitario difficilmente potrà fare di una persona un insegnante. Un cattivo insegnante per natura rimarrà tale a prescindere. Non ci sono né corsi né conoscenze che tengano. L’insegnamento rimane un fatto quasi personale, una specie di istinto difficile da spiegare e da introdurre in altri. Se però sono rischiesti ulteriori titoli per insegnare nelle scuole inferiori e superiori, non capisco il motivo per il quale non viene richiesto nulla di simile per insegnare nelle Università.

  2. Francesco Rocchi

    Nel resto del mondo ci si puo’ abilitare mentre si sta facendo un altro lavoro ma si vorrebbe entrare nella scuola, o quando ci si vuole creare un’alternativa (per esempio se non si riesce a rimanere nell’universita’). Se decido di abilitarmi per un insegnamento inflazionato, la responsabilita’ e la disoccupazione sono mie (ma magari sono un insegnante eccellente che merita di essere formato, anche se ci sono pochi posti, e faccio bene a fare una scommessa del genere). Il sistema attuale lega tra loro abilitazione e promessa d’assunzione, crea un enorme apparato e i risultati si vedono. Forse allo Stato costa troppo abilitare insegnanti che si temono inutili, ma se parliamo di docenti che gia’ lavorano, non e’ quello il caso. Se poi il problema della mia osservazione era l’idea delle assunzioni da parte delle scuole, si tratta di avviare un’altra discussione, ma prima di dire che sarebbe un male, bisognerebbe argomentare. Di certo, e’ difficile immaginare un luogo migliore di una scuola, per la valutazione di un docente.

  3. Bernardo GABRIELE

    Non si tratta solo di normativa europea: come scritto nella nota ministeriale che avevo indicato, è sta recepita anche dal nostro ordinamento. Questa norma deve essere e continuare ad essere rispettata, ma perché mai ciò dovrebbe significare l’abolizione di fatto della formazione all’insegnamento? Quando avremo docenti abilitati a sufficienza, non ci saranno più precari “in servizio permanente” per più anni, né la necessità di abilitarli ope legis. Si tratta inoltre di un’abilitazione che prevede una formazione. Stiamo infine parlando di abilitazione, non assunzione: non c’entrano la Costituzione e i concorsi obbligatori. Proporre oggi qualcosa di diverso da ciò che ha anticipato il MIUR, significa proporre un’epurazione illegale di migliaia di lavoratori che hanno consentito per anni il regolare funzionamento della scuola nonostante la carenza degli abilitati, come lo stesso MIUR ha scritto.

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