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La nuova scuola targata Renzi

L’assunzione ope legis di 150mila precari è forse il prezzo che il Governo ha dovuto pagare per introdurre importanti novità nel mondo della scuola. Come gli aumenti retributivi legati al merito individuale dei docenti. Resta però da capire quale sarà la reale autonomia degli istituti.

SERVIVA ASSUMERE ALTRI INSEGNANTI?

Per il governo Renzi la riforma della scuola sembra essere in primo luogo un problema di politica del lavoro: ossia stabilizzare 150mila precari, tra i quali, sia chiaro, non ci sono solo persone che hanno vinto concorsi e selezioni competitive, ma anche altre il cui unico merito è di aver atteso per anni nelle graduatorie a esaurimento senza alcuna valutazione della loro reale capacità di insegnare bene. Gli interessi degli studenti vengono dopo, solo nei capitoli successivi della proposta.
Stando a quanto scrive l’Ocse (ed è un peccato che il documento governativo, per altro molto ben scritto e documentato, non dica nulla su queste stime), la scuola italiana non aveva bisogno di nuovi docenti, soprattutto se assunti senza guardare alla loro qualità. La tabella 1 mostra che nell’anno 1999-2000 il numero di studenti per insegnante in Italia era inferiore rispetto ad altri paesi comparabili e, anche dopo i tagli dei governi recenti, nel 2009-2010 continua a essere in linea con la media Ocse per la scuola materna e inferiore per la primaria e la secondaria. Rispetto alle medie Ocse, sono anche di più le ore di insegnamento obbligatorio per studente (vedi pannello inferiore della tabella 1).
Più in generale, la spesa in istruzione per studente è stata in Italia più alta che in altri paesi comparabili (vedi il pannello superiore di sinistra della tabella 2 e la figura 1a). Solo negli ultimi anni, a causa dei malaugurati tagli lineari del Governo Berlusconi, questa spesa è diminuita fino a essere in linea con gli standard internazionali (vedi il pannello superiore di destra della tabella 2 e la figura 1b). Ma anche se la spesa è in linea con quanto accade all’estero, la performance della scuola italiana misurata dagli indicatori di apprendimento degli studenti non è soddisfacente.
È vero, come molti lamentano, che la spesa in istruzione è bassa rispetto al prodotto interno lordo (vedi i pannelli inferiori della tabella 2). Il motivo della differenza rispetto alla spesa per studente, tuttavia, è essenzialmente demografico, come illustrato dalla comparazione tra i trend di fertilità nella tabella 3: nei paesi in cui nascono pochi bambini, anche se una frazione inferiore delle risorse è devoluta alla scuola, la spesa per studente può rimanere alta. D’altro canto, è proprio la spesa per studente (non la spesa in proporzione al Pil) l’indicatore rilevante per giudicare se stiamo spendendo abbastanza per la scuola. E i dati ci dicono che non spendiamo meno degli altri: il vero problema è che spendiamo male; e che gli insegnanti sono tanti, ma male assortiti, generando quindi l’impressione che siano pochi perché mancano dove servono e nessuno parla di quelli in eccesso dove non servono. (1)
La politica è l’arte del possibile, però, e forse le 150mila assunzioni (quasi il 15 per cento dello stock di insegnanti in Italia, che rischia di bloccare nuovi ingressi per molti anni a venire) sono il prezzo che Renzi ha dovuto pagare alle forze conservatrici nella scuola (tra l’altro un bagaglio significativo di voti: circa un milione) per introdurre alcune importanti novità che speriamo non rimangano solo annunci sulla carta.

GLI SCATTI PER MERITO

La prima novità è l’abolizione degli scatti di anzianità sostituiti da aumenti retributivi legati al merito individuale dei docenti. È una misura ancor più necessaria per neutralizzare le conseguenze della stabilizzazione ope legis dei precari non assunti per merito. Come la teoria economica insegna, quanto più efficace è la selezione in ingresso degli insegnanti, tanto meno necessaria è l’adozione di politiche retributive e carriere incentivanti, sempre complicate da disegnare soprattutto per lavoratori il cui prodotto e i cui compiti sono complessi e difficili da misurare. Il successo della riforma Renzi dipenderà in modo cruciale da come saranno concretamente definiti e misurati i crediti didattici, formativi e professionali su cui si baseranno gli scatti retributivi destinati ai due terzi migliori dei docenti in ogni scuola.
Stupisce a questo proposito che il documento governativo non faccia alcuna menzione della valutazione reputazionale dei docenti, definita come convergenza dei giudizi dati da colleghi, studenti e famiglie, così come ad esempio studiata nella sperimentazione ministeriale “Valorizza”. (2)
Quanto alla scelta di riservare i premi solo ai due terzi migliori dei docenti di una scuola, è una soluzione con vantaggi e svantaggi (come tutte le altre in questo campo), ma i primi probabilmente superano i secondi. Il rischio maggiore è di punire bravi insegnanti che però non rientrino nei migliori due terzi nelle scuole in cui la qualità media dei docenti sia molto alta, mentre sarebbero premiati insegnanti peggiori in scuole con qualità media inferiore. È interessante l’argomento secondo cui questo meccanismo potrebbe favorire una mobilità positiva tra scuole, inducendo insegnanti bravi ma non ottimi in una scuola, a spostarsi dove invece, data la peggiore qualità dei colleghi, potrebbero essere premiati. È comunque auspicabile che il meccanismo sia combinato con maggiori risorse alle scuole migliori, in modo che tutti i loro insegnanti, anche quelli non premiati internamente, possano goderne ed esserne incentivati.

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L’AUTONOMIA DELLE SCUOLE

La seconda importante novità è contenuta nell’affermazione del principio rivoluzionario per cui “ogni scuola deve poter schierare la miglior squadra possibile”. È un bene che di questo si inizi a parlare apertamente, perché i dati dicono che le buone scuole le fanno i buoni insegnanti, molto più che le architetture istituzionali. Il documento governativo riconosce che i dirigenti scolastici sono come comandanti di una nave che non abbiano la possibilità di governare il timone, di regolare le vele e soprattutto di scegliersi l’equipaggio. E questa scelta assume un’importanza ancora maggiore data la necessità di neutralizzare gli effetti negativi della stabilizzazione indiscriminata dei precari.
Pone, però, dei problemi di coerenza interna alla proposta governativa. Supponiamo ad esempio che tra gli 80mila precari destinati alla scuola materna ed elementare non ce ne siano a sufficienza (ed è molto probabile) per potenziare l’insegnamento delle scienze, della matematica e delle lingue straniere come i dirigenti scolastici migliori vorranno fare. Come faranno a scegliersi la loro squadra preferita? E cosa accadrà degli stabilizzati che nessuna scuola vuole? Il male minore è che continuino a percepire il loro stipendio base, quasi come un sussidio di disoccupazione, ma sarebbe grave se venissero imposti ai dirigenti facendo danno agli studenti (anche solo come membri del corpo di pronto intervento che dovrà risolvere il problema delle supplenze). Il diritto dei precari che, secondo il Governo, “aspirano legittimamente a insegnare”, non deve dominare il diritto degli studenti (soprattutto quelli provenienti da famiglie svantaggiate) a ricevere una ottima istruzione impartita dai migliori docenti.
Qui sta la debolezza maggiore della proposta governativa: dice troppo poco su quanto profonda e completa sarà l’autonomia di cui le scuole potranno godere e di cui avranno assoluta necessità per operare bene. Come illustrato nell’ultimo quaderno di Treellle, in molti paesi comparabili al nostro, le scuole (pubbliche) godono di una autonomia profonda che si estende (con successo) non solo alla gestione del personale (selezione e meccanismi retributivi e di carriera) ma anche ai programmi educativi e alla gestione delle strutture. (3) Se davvero Renzi vuole non solo che tutto il paese “parli di quel che si impara a scuola”, ma anche che da questo parlare conseguano nuovi progetti educativi al passo con i tempi e capaci davvero di generare un efficace collegamento tra scuola e mercato del lavoro, deve consentire alle scuole un’autonomia molto più profonda di quella che il documento governativo lascia trasparire in termini di proposte concrete.
Ad esempio, come intende rispondere ai genitori e agli studenti che, nell’annunciata consultazione autunnale, chiederanno un maggiore investimento in materie scientifiche più che in musica e storia dell’arte? La realtà è che sarebbe sbagliato se Renzi o chicchessia scegliesse l’una o l’altra soluzione per l’intero paese, mentre le singole scuole devono poter avere l’autonomia per disegnare l’offerta formativa richiesta dal loro bacino di utenza, assumendo gli insegnanti necessari con la flessibilità e la rapidità che i concorsi nazionali non hanno mai consentito né mai potranno consentire.
I nostri studenti non devono essere costretti a scegliere tra pacchetti di materie (classico, scientifico e così via) come in un ristorante a menù fisso. Devono poter costruire gradualmente, á la carte, itinerari formativi diversificati a seconda delle loro doti e delle prospettive lavorative a cui aspirano, necessità queste che il pachiderma ministeriale non può cogliere e regolare con la flessibilità e la rapidità che il processo richiede.
Quel che il ministero invece deve fare è valutare in modo standardizzato e comparabile gli apprendimenti cosicché questa valutazione, separatamente materia per materia, sia la porta di ingresso al sistema universitario per coloro che vogliono proseguire gli studi, senza bisogno di ulteriori test di ingresso alle facoltà.

LA TRASPARENZA

Ben vengano la trasparenza totale dei dati sulle scuole (che includa però anche informazioni sul successo dei loro studenti nei percorsi successivi, un dato non menzionato dal documento governativo, ma essenziale perché le scuole si impegnino nell’orientamento dei loro studenti in uscita) e il registro pubblico degli insegnanti (se Renzi ci riesce sarebbe un successo davvero enorme). E ben venga l’affermazione che non servono classifiche preconfezionate tra le scuole. Quello che serve è che le famiglie ricevano, in modo trasparente appunto, le informazioni elementari che servono per fare la loro classifica personalizzata delle scuole preferite in cui mandare i propri figli e per questa via convogliare i finanziamenti pubblici alle scuole. La trasparenza, però, deve combinarsi con un ampio spazio di manovra che consenta alle scuole e ai loro dirigenti di offrire l’istruzione e i buoni insegnanti che meglio servono alle famiglie e al paese. (4)

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(1) Per ulteriori dettagli su questi dati vedi: A. Ichino e G. Tabellini, “Freeing the Italian school system” Labour Economics 2014; una precedente versione in italiano è stata pubblicata nell’e-book del Corriere della Sera “Liberiamo la scuola”
(2) Vedi: http://www.andreaichino.it/other_articles/rdr_valorizza_fxs_3l_dic_2011_testo.pdf
(3) Vedi: http://www.treellle.org/convegno-di-presentazione-del-quaderno-10
(4) Per una proposta dettagliata che va in questa direzione, vedi ancora A. Ichino e G. Tabellini, “Freeing the Italian school system” Labour Economics 2014, pubblicato anche in italiano nell’e-book del Corriere della Sera “Liberiamo la scuola”.

Tabella 1 – Numero degli insegnanti e ore di lezione

Cattura

Fonte: Oecd Education at a Glance (2012).
Nota: The number of teachers reported by our source (OECD, Education at a Glance) excludes special teachers for disabled students while it includes the ones teaching Catholic Religion (see footnote 19). Teaching ours in 2000 refer to public institutions only. “m” stands for missing value.

Tabella 2 – Spesa in istruzione per studente e in percentuale sul Pil

Cattura

Fonte: Oecd, Education at a Glance 2003 and 2012.
Note: PPP means Purchase Power Parity, i.e. data are converted in order to take into account the difference in living costs across countries. “Countries comparable to Italy” are the 26 OCED members presenting a 2009’s GDP per capita figure within the range of Italy’s 2009 GDP per capita plus and minus one standard deviation (calculated with respect to all OECD countries). Data for GDP per head, PPP converted, are from the OCED Database. Unfortunately we do not have access to government expenditure per student in order to make the top and bottom panels of this table consistent. But in Italy private expenditure in primary and secondary education is only 2.2% in year 2000 and 3.4% in year 2010 of total expenditure for the same instruction levels and the number of students enrolled in public schools is approximately 90% of the total (see Table 3). Therefore, government expenditure per student cannot be too different than total expenditure per student.

Tabella 3 – Trend demografici della popolazione giovane
Cattura2

Fonte: OECD Factbook 2013: Economic, Environmental and Social Statistics; OECD Database and authors’ calculations.

Nota: The total fertility rate is the total number of children that would be born to each woman if she were to live to the end of her child-bearing years and give birth to children in agreement with the prevailing age-specific fertility rates. Share of young students in population is the ratio between the number of students enrolled in primary and secondary institutions (in full-time equivalents) over total population. Share of Young Students in Population for 2000 refers to 2002 data. Countries comparable to Italy are the 26 OCED members presenting a 2009’s GDP per capita figure within the range of Italy’s 2009 GDP per capita plus and minus one standard deviation (calculated with respect to all OECD countries). “m” stands for missing value.

 

Figura 1a – Spesa per istruzione per studente e apprendimenti. Confronto fra paesi per il 2003

Cattura3

Fonte : OECD 2004

 


Figura 1b – Spesa per istruzione per studente e apprendimenti. Confronto fra paesi per il 2012
Cattura4

Math performance in PISA 2012

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34 commenti

  1. paolo

    Vorrei far notare al prof. Ichino che il dato degli studenti per insegnante in Italia non tiene conto di un aspetto fondamentale: al contrario degli altri paesi in Italia vengono conteggiati gli insegnanti di Religione ( più di 25 mila, assunti dalla Chiesa e pagati dallo Stato ), e quelli di sostegno ( negli altri paesi sono di competenza dei ministeri del welfare o della sanità). Aggiungo che in Italia, come previsto dalla normativa sulla sicurezza, non potrebbero formarsi classi con più di 25 alunni, invece siamo pieni di “classi pollaio”. Naturalmente è più importante il merito…d’altronde insegnare in una classe con 35 alunni cosa volete che sia…

    • andrea ichino

      Come indica chiaramente la nota alla tabella, i dati ocse escludono gli insegnanti di sostegno dal numero totale di insegnanti . E’ vero che includono quelli di religione, ma escluderli non farebbe una grande differenza.

      Puo’ fornire delle statistiche precise sulla frequenza reale delle cosiddette classi pollaio con piu’ di 35 alunni?

      Tra l’altro, ammesso che siano davvero un fenomeno frequente, e non mi sembra, esse sarebbero comunque la conseguenza del fatto che, come dico nell’articolo, “… gli insegnanti sono tanti, ma male assortiti, generando quindi l’impressione che siano pochi perché mancano dove servono e nessuno parla di quelli in eccesso dove non servono. “

      • Sauro Partini

        Chiedo venia per non aver letto la nota alla tab 1 riguardante gli insegnanti di sostegno. Lei ha ragione a sostenere che i docenti sono male assortiti (in relazione a molti fattori), ma sarebbero tanti rispetto a cosa? Questa risposta resta inevasa. Nel mio secondo commento (che figura prima nell’elenco), che forse le è sfuggito, ho cercato di portare qualche argomento documentabile per la determinazione del numero degli insegnanti, riportando dinamiche del nord.europa. Ad essere rozzi, direi che da quelle parti, sulla scuola, “quello che ci va ci vuole”; è che da noi, a tutt’oggi, non sappiamo cosa vogliamo: la scuola non è una priorità, da altre parti sì. Mi scusi, in ultimo, ma le classi over 30 esistono aihmè (almeno in Toscana) e potrei fornire numeri e sedi. Sugli insegnanti di religione lei conviene almeno che la spesa incida troppo? Le forniture negli istituti alberghieri le pagano ormai le famiglie, l’ora facoltativa di religione lo Stato: boh!

        • andrea ichino

          Il numero di insegnanti, ma soprattutto la qualità, che dovrebbe essere usato come riferimento in un sistema normale, non dovrebbero essere decisi centralmente dal ministero, ma dovrebbero dipendere dalle libere scelte delle singole scuole autonomie su chi assumere e a quali condizioni.

          Nel mio libro con Guido Tabellini, “Liberiamo la scuola” trova una proposta dettagliata che va in questa direzione.

          Concordo riguardo agli insegnanti di religione nell’attuale situazione. Non in un contesto di scuole autonome in cui gli utenti esprimano il desiderio di ricevere questo tipo di istruzione, avendo ricevuto prima adeguate informazioni sui costi e i benefici di questa scelta, in termini di outcomes degli studenti.

      • paolo

        La ringrazio per la risposta, ma tengo a precisarle: gli insegnanti di sostegno, in Italia sono dei docenti con abilitazioni nelle rispettive classi di concorso, successivamente, per poter lavorare fanno un corso abilitante, infatti l’Istat ( i dati OCSE si basano su quelli Istat ) non li distingue. Sul dato complessivo lei cita i “malaugurati tagli lineari del governo Berlusconi” ma nelle tabelle si ferma al 2009/10;gli effetti si sono visti negli anni successivi, ebbene dal 2009 al 2012 i docenti sono diminuiti di 102 mila unità (http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_DOCENTI). Per quelli di Religione parliamo di circa il 5% di insegnanti per una spesa complessiva di quasi 800 milioni l’anno, per me non è insignificante. In ultimo sulle “classi pollaio” mi dispiace che non sia informato sul principale problema relativo alla qualità dell’insegnamento ( è dovuta intervenire la Consulta con la sentenza n. 147 del 7 giugno 2012), il tutto trova origine nel blocco all’organico di diritto previsto dalla Legge n. 122/2102, che abbinato a quello sull’innalzamento del numero minimo di alunni per istituto (a ridosso di 1.000) con la Legge 111/2011, ha determinato sempre più classi con un numero di alunni oltre misura: più di 28 allievi in media per quelle iniziali, che non di rado diventano raggruppamenti di 30 e più alunni. istruzione.it

  2. Emiliano

    Qualche mese fa ero in una libreria davanti alla sezione “economia”‘ ed un ragazzo dietro me si è intrufolato estraendo un libro del fratello, Pietro Ichino. Non importava, non era quello che cercavo. Questa piccola azione è un po’in fondo la rappresentazione del mondo economico che opera in concomitanza all’uomo economico che lo crea e da cui è ricreato circolarmente. Un mondo in competizione. L’unica “critica” che mi verrebbe
    Ne da muovere a queste argomentazioni è che la società è ben o male composta da una maggioranza di persone che desiderano soltanto vivere decentemente ed in modo tranquillo – e che forse la scuola è qualcosa che ha a che fare anche con l’integrazione sociale e la formazione di una coscienza (probabilmente un qualcosa di non concepibile economicamente).

  3. Paolo Palazzi

    Mi sembra che ci sia un errore di fondo. Il confronto utilizzando il valore della spesa per studente sarebbe valido soltanto nell’ipotesi (sbagliata) che le spese per l’istruzione siano tutta spesa corrente variabile. È invece ovvio che non sia così, la quota di spesa fissa nell’istruzione è elevatissima e non è soltanto quella in conto capitale, ma anche molta della spesa per la gestione corrente delle scuole. Si può ipotizzare quindi che una più elevata spesa per studente sia dovuta al basso denominatore che, se aumentato, non porterebbe a un aumento del numeratore nella stessa proporzione (siamo nel caso di rendimenti crescenti).
    Per un effettivo confronto delle risorse utilizzate nel settore dell’istruzione qeste andrebbero “normalizzate” rispetto a caratteristiche strutturali quali il tasso di scolarizzazione, il numero di scuole, la dimensione media, la localizzazione, ecc. Tutti fattori che rendono rigido il livello di spesa indipendentemente dal numero degli studenti.

  4. Antonio Gasperi

    L’assunzione dei precari prevista fra un anno più che una concessione ai sindacati fa parte della politica degli annunci. Se ci si riferisce al rapporto Ocse-Talis, il crollo del numero di docenti che si aggiornano in carriera è causato dall’onerosità della formazione. il rapporto spesa per istruzione/studente è più elevato perché i curricoli della secondaria sono parcellizzati in molte materie, secondo un paradigma trasmissivo della conoscenza. Altri paesi, specie anglosassoni, hanno curricoli secondo un modello costruttivista, più adatto all’interdisciplinarità e quindi alla riduzione delle materie. L’ultima parola su quale sia il migliore non è ancora stata detta. Merito dei 2/3 (che aumenta della metà quello proposto a suo tempo da Berlinguer): si propone un curioso sistema di riconoscimento attraverso la mobilità inter-istituti. Osservo che la mobilità territoriale è adatta alle carriere dirigenziali e che i modesti aumenti sarebbero compensati dai maggiori costi di trasferta; la proposta è collegata al reclutamento direttamente affidato ai dirigenti scolastici, caldeggiato da sempre dai fautori del liberismo scolastico e dall’associazione citata dall’autore. Infatti Valorizza – pur con qualche aspetto positivo – schiaccia inevitabilmente la valutazione dell’insegnamento individuale sotto la valutazione d’istituto. Altri sono i canali che alimentano la reputazione di un docente e lontana la formazione della conoscenza dal modello dell’istruzione come merce.

  5. giulio fedele

    La spiegazione è molto più semplice: l’Italia è obbligata a stabilizzare i precari in forza del diritto comunitario, ‘ce lo chiede la UE’ (sì, anche questo, e non solo il taglio della spesa, la riforma del lavoro, ecc., solitamente richiamati da certi nostri strabici politici ed economisti), anche per effetto delle numerose denunce e ricorsi.
    Quanto poi all’opinione secondo cui, alla luce di strapazzati dati OCSE, l’Italia non avrebbe bisogno di nuovi docenti, dovrebbe precisarsi se in quei dati sono ricompresi –come in realtà sembrerebbe, trattandosi di dati aggregati che non distinguono tra docenti di ruolo e non- gli stessi docenti precari (che, come Ichino dovrebbe sapere, comprendono non solo i docenti chiamati per brevi supplenze, ma anche quelli con contratto annuale o fine al termine delle attività didattiche, ‘stabilmente’ -e illegittimamente- rinnovato di anno in anno e per decenni continuativamente).
    E comunque la domanda … sorge spontanea: pensa veramente qualcuno che la scuola italiana potrebbe funzionare senza il lavoro di questi 150.000 (o più) annualmente assunti? Allora, il punto è questo: se detti docenti sono –come lo sono, checché si dica sul loro cattivo ‘assortimento’- indispensabili e lo stato da decenni fa ricorso ad essi devono essere stabilizzati, … ‘ce lo chiede la UE’.
    Quanto infine alle cose di cui stupirsi, stupisce pure che Ichino non faccia alcuna menzione del fatto che gli stipendi dei docenti italiani siano tra i più bassi d’Europa.

    • andrea ichino

      Come spiega Michele Pellizzari in un articolo successivo su lavoce.info, tra questi 150000 ci sono ad esrempio 916 iscritti nelle graduatorie per la classe di concorso steno-dattilografia. Le sembrano indispensabili? e gli esempi potrebbero essere molti altri

      Quanti agli stipendi, se assumessimo meno insegnanti inutili (se non additirittura dannosi), ci sarebbero piu’ risorse per remunerare bene quelli bravi e capaci. Ma la logica sindacale preferita in italia e sempre stata quella del “poco a tanti”.

  6. Nicolò Liparoti

    Gent. prof Ichino, sono un’insegnante di una scuola superiore e vorrei segnalare al almeno una criticità della proposta governativa di riforma degli scatti. La proposta del governo prevede la sostituzione degli scatti di anzianità con non meglio precisati scatti di competenza, il rischio è la corsa ai crediti di competenza scateni un proliferare di fantasiosi corsi di formazione e di progetti didattici, tanto onerosa quanto di dubbia efficacia, trascurando il lavoro quotidianamente svolto a contatto con i ragazzi.
    Desidero inoltre una piccola notazione personale e sindacale, io ho raggiunto il 28° anno di anzianità, in teoria dovrei percepire il penultimo scatto di anzianità che mi è però stato congelato/rinviato dai governi precedenti, il passaggio al nuovo sistema mi priverebbe del diritto allo scatto maturato ma non percepito senza riconoscermi il diritto a recuperare lo stesso come scatto di competenza.
    cordiali saluti
    Nicolò

    • andrea ichino

      Concordo con lei e penso che solo i crediti didattici dovrebbero essere rilevanti, ossia quelli che misurano la qualita’ del insegnante in quanto tale, nello svolgimento della sua normale attiivita’. E credo che la sperimentazione vaolorizza offra un metodo promettente, anche se ancora da sperimentare, per conseguire questo risultato.

      Credo molto poco nella formazione come titolo di merito, anche perche’ per me dovrebbe essere scontato che un docente continui ad aggiornarsi anche senza bisogno che qualcuno gli dica di farlo

  7. Antonio Scialà

    Non conosco bene i dati OECD sull’istruzione, per cui chiedo un chiarimento. Nel computo del rapporto studenti/insegnanti, sono inclusi o esclusi gli insegnanti precari che hanno insegnato nell’anno della rilevazione?

    • andrea ichino

      Sono inclusi gli insegnanti precari che hanno effettivamente insegnato (per la precisione il loro full time equivalent). Quindi quelli che coprono posti in organico. Ma come gia’ detto nella risposta a Paolo (e nella nota alla Tabella) sono esclusi gli insegnanti di sostegno.

      Tuttavia, non tutti i 150000 precari che saranno assunti insegnano attualmente nella scuola italiana (sempre in termini di full time equivalent) coprendo posti in organico. Molto difficile avere informazioni precise. E il documento governativo avrebbe dovuto essere molto piu’ chiaro su queste cifre per giustificare la decisione presa.

      Tuttavia,il ministro ha affermato che 90 mila di questi 150 mila sono in aggiunta all’organico ufficiale. Questi 90 mila possono quindi essere presi come stima dell’aumento effettivo del numero di insegnanti in Italia se la proposta governativa sarà confermata.

      Questi neo assunti (ad esempio gli steno-dattilografi menzionati da Pellizzari nel suo articolo) saranno migliori insegnanti dei giovani che entreranno nel mercato del lavoro negli anni a venire e che non potranno essere assunti per mancanza di spazio?

      Così dice la nota metodologica esplicative di education at a glance
      The ratio of students to teaching staff is obtained by dividing the number of full-time equivalent students
      at a given level of education by the number of full-time equivalent teachers at that level and in similar types
      of institution

  8. Sauro Partini

    Almeno 50 dei 150mila ricoprono (anche da 30 anni) posti vacanti, ed oltre allo stipendio ricevono TFR ogni anno, ASPI nei due mesi estivi, più comportano spese organizzative e, non ultimo, una probabile prossima sanzione dalla Corte di Giustizia Europea di circa 4mld. (farebbe parte del nostro spread occulto). Non costerebbe meno stabilazzarli?.Gli assunti risponderebbero a funzionalità d’organico scoperte, ed andrebbero poi esclusi coloro che, pur iscritti nelle GAE, fanno altro, come indica il punteggio. Nel computo insegnanti ,in benchmarking col resto d’Europa non si deve mai dimenticare che noi contiamo su oltre 20.000 docenti di religione (in aumento), pagati dallo Stato (tra tutto si arriva ad 1mld. annuo), e che i docenti di sostegno vengono negli altri paesi caricati sul bilancio del welfare e non su quello della scuola come in Italia. Poi abbiamo 8.000 comuni, anche in zone diffilcili da raggiungere; siamo convinti che se Germania e Finlandia avessero il nostro territorio risparmierebbero sui docenti? Posso assicurare il contrario. Le riflessioni sull’autonomia (progetto interamente della sinistra) sono interessanti, ma non sarà facile introdurre valutazioni in un paese che rifiuta sempre l’etica della responsabilità a tutti i livelli e dove il merito rischia di essere solo un concetto teologico; tuttavia si può fare molto, ricordandosi però che a Costituzione vigente la scuola può non essere pubblica, ma l’istruzione sì.

    • andrea ichino

      Non risparmiamo sui docenti, ma scegliamoli con maggior cura, perché l’aspirazione ad insegnare di un precario incapace non può essere più tutelata del diritto di uno studente (soprattutto se proveniente da un contesto disagiato) ad avere un buon insegnante.

      Non è solo un problema di capacità. Prendiamo l’esempio degli insegnanti di francese, lingua oggi meno richiesta e oggettivamente meno utile ai futuri studenti. Pare che gli insegnanti di francese non siano pochi tra i precari che verranno assunti.
      Il diritto dell’insegnante di francese (magari bravissimo) ad insegnare, deve prevalere sul diritto di uno studente a imparare la lingua che preferisce (inglese o magari cinese) ?

      Con la proposta del governo molti studenti si troveranno a dover studiare il francese e non potranno essere assunti insegnanti di cinese.

  9. Giovanni Volpe

    Sono in disaccordo con l’articolo. A dire che in Italia servono più docenti è proprio l’ocse (www.orizzontescuola.it/news/troppi-alunni-classe-e-stipendi-bassi-dirlo-leuropa).
    Se ci sono troppi allievi in una classe non si può lavorare seriamente, anzi la classe rischia di diventare un parcheggio per i ragazzi.
    Gli insegnanti che sono assunti dalle Graduatorie a Esaurimento (GAE) sono valutati ogni anno in quanto lavorano nel collegio docenti, nei consigli di classe, nei rispettivi dipartimenti. Sicuramente ci saranno docenti che lavorano male, ma non sempre x colpa loro. A volte le scuole non hanno ne spazi ne strutture in cui operare. Mi spiego con un esempio se insegno esercitazioni di chimica e la scuola non ha i soldi per i reagenti non sono mica obbligato a comprarli coi miei soldi o fare una colletta con le famiglie (ahimè pure questo avviene).
    Il rapporto allievi/docenti in Italia appare più favorevole rispetto ad altri paesi in quanti i docenti di sostegno vengono conteggiati (in quanto sono pagati dal Miur), mentre all’estero docenti curriculari e di sostegno possono essere pagati da 2 enti diversi.

  10. Le questioni sollevate dalla proposta di Riforma sono molteplici.In primo luogo l’assunzione dei precari non fa pensare più ad una iniziativa volta a tacitare le contrarietà della categoria su quanto si farà su altri versanti e indurre i sindacati a essere più morbidi?Per quanto riguarda il merito individuale chi lo valuterà?Non credo ne siano competenti i dirigenti scolastici i quali seppure abbiano superato prove di accesso sulla base di una macchinosa articolazione procedurale volta a rilevare più la loro attitudine gestionale che non la capacità didattico-pedagogica di intervenire sui processi educativi, neppure il collegio dei docenti mi appare abilitato, essendo molto spesso diviso in base a considerazioni di carattere politico-ideologico e altro.Per semplificare:è più capace un insegnante curriculare che opera in classe con ragazzi “diversamente abili” o un insegnante che porta la maggioranza degli studenti a standard di conoscenza curriculare sufficiente? Un altro aspetto importante è misurare la continuità didattica nella scuola e le assenze del personale: che parametro assumeranno nel contesto della valutazione? le difficoltà ambientali (in alcune aree già considerate) saranno ancora elemento di discrimene? La misurazione del merito potrà prevedere anche la misurazione del “demerito”? Forse sarebbe sufficiente prevedere una carriera svolta per gradini a stipendio differenziato la cui salita sia resa possibile da esami per titoli e prove certe da fare valere su area comunale.

    • andrea ichino

      E’ la proposta del governo ad affidare ai dirigenti la possibilità di scegliere la squadra, anche se non e’ chiaro quanto ampia sarà in concreto questa possibilità. E concordo con lei che forse ci sarebbero dei problemi con gli attuali dirigenti delle scuole italiane, per altro essi stessi non valutati.

      Sono possibili pero’ altre soluzioni di governance: vedi ad esempio quelle che con Guido Tabellini abbiamo proposto nel nostro libro “Liberiamo la scuola”
      http://www.andreaichino.it/liberiamo_la_scuola.html

      • La Grammar School del Kent (900 alunni)che ho visitato funziona così:il capo istituto è scelto dalla Contea da una commissione didattico amministrativa sulla base di titoli culturali e professionali.Il concorso è pubblico ma territoriale anche a seguito di inserzione sui quotidiani.Il capo istituto dirige coordina la scuola e con lui collabora uno board scolastico (famiglie,docenti,istituzioni).Le discipline sono raggruppate per aree ciascuna con un responsabile didattico che insegna nella scuola ma che può essere scelto tra personale esterno.Le materie che vengono proposte devono essere in linea con i principi generali centrali (Londra) ma sono i principi che vengono definiti in ragione degli obiettivi della scuola e non le discipline singole (che possono variare anno per anno) sulle quali si esprime il board dell’istituto che quindi sceglie i docenti ritenuti più qualificati.I contratti quindi variano da scuola a scuola e da docente a docente all’interno dei parametri generali e centrali:nella GrammarSchool su otto o sei materie se si vuole andare a Oxford o Cambridge lo studente deve impegnarsi su tutte con il massimo della valutazione e l’accesso alla facoltà dopo selezione dei titoli può essere fatta in coerenza con le prove della maturità .La maturità è definita per Contea sulla base di programmi definiti da ispettori centrali e capi istituto territoriali in ragione delle discipline insegnate nel corso degli anni.Le prove di latino e lingue sono senza dizionario.

  11. fabio federici

    Ho letto i commenti, tra l’altro molto interessanti, che mostrano una realtà ben più complessa e variegata rispetto a quella presentata dal prof. Ichino. vedi il numero di studenti per classe, le spese per gli insegnanti di religione pagati dal Ministero e l spese per gli insegnanti di sostegno. Per cui sarei curioso di conoscere le sue risposte. Inoltre quando si parla di scuola, si dovrebbe parlare anche di genitori e di educazione che questi studenti ricevono in casa e dagli strumenti che usano e che rendono difficile, se non impossibile una qualsivoglia trasmissione di conoscenza. Questo aspetto le statistiche non lo prendono in considerazione. Per cui con i confronti internazionali bisognerebbe andarci piano!!!

    • andrea ichino

      Mi perdoni ma solo ora ho pututo iniziare a rispondere

  12. giuseppe moncada

    Gent.mo prof Ichino, altre volte ho commentato i suoi scritti . Da ex Preside di Liceo, con esperienza di 26 anni e 18 di docente , son passato dalle note di qualifica , primi anni di insegnamento, ai meccanismi successivi.Sono stato presidente ai deprecati corsi abilitanti indetti da Berlinquer. Sacrosanto il primo, per sanare le situazioni di precariato a causa della non indizione dei concorsi, dannosi i successivi. Non mi risulta che i comitati di valutazione delle scuole abbiamo mai fermato qualche docente inadatto, compreso nella mia scuola. Mi risulta perfettamente la difficoltà a poter sanzionare qualche docente che meriterebbe di non insegnare, e di casi del genere negli ultimi anni della mia carriera ne ho avuti parecchi. Tutto ciò per dire che l’unico modo per avere docenti motivati e preparati è quello dei concorsi.
    Occorre stabilire regole chiare e non soggette ad interpretazioni di vario tipo per consentire di sanzionare quei docenti poco preparati e non motivati all’insegnamento. Non sono assolutamente d’accordo di dare la possibilità ai Dirigenti di scegliersi i docenti. Non ne abbiamo la cultura e la capacità. Ho conoscenza di Dirigenti il cui unico merito è quello di circondarsi di cortigiani. Non credo che le nuove regole possano modificare la suddetta situazione. Ed infine le chiedo, perchè non si è analizzato il ” QUADERNO BIANCO sulla SCUOLA ” Prodotto nel 2007 su indicazione del bravo Ministro Padoa SChioppa?
    Con cordialità giuseppe moncada

  13. Mi pare che nemmeno Ichino abbia accennato al fattore fondamentale di critica allo “school-act” renziano, che è semplicissimo… ovvero, è un atto massimamente statalista, burocratico e centralista, dove la prima cosa da fare era quella di dare la libertà effettiva di scelta educativa alla famiglie: il buono-scuola.

  14. Sauro Partini

    Mi scuso per il secondo commento, ma il rapporto docenti alunni richiama imprscindibili notazioni. Il suo squilibrio a favore dei primi nel sud, dipende ormai molto dall’incipiente abbandono scolastico, a fronte del quale la Regione Puglia, utilizzando fondi strutturali, ha messo a disposizione docenti senza cattedra e su più materie, ottenedo una riduzione dell’8% del fenomeno. Meritano stabilizzazione questi insegnanti? Discutiamone. La Finlandia, del resto, per i ragazzi difficili, assegna 7-8 alunni per docente – e almeno concettualmente il paragone si può fare – . Ichino converrà che la perdita di un’istruzione adeguata ed il pervasivo grado di differenziazione sociale esistente, non permettono gli oltre 30 alunni che non di rado affollano le aule del centro nord.

  15. giulio fedele

    Alcune delle domande che i commenti qui pubblicati pongono (sollecitate in maniera anche esplicita) e alle quali Ichino non dà risposte, possono trovare riscontro nel rapporto Ocse 2014 sulla scuola italiana, proprio oggi pubblicato, e in altri studi internazionali, anch’essi di recentissima pubblicazione, dai quali si ricava una fotografia più obbiettiva ed attuale di quella che ne fa Ichino sulla base di dati vecchi, peraltro letti ed interpretati in maniera non corretta. In particolare, riguardo alla rilevata dimenticanza da parte di Ichino dell’aspetto retributivo (avevo notato come gli stipendi dei docenti italiani siano tra i bassi d’Europa), è da segnalare che il recentissimo studio su 30 paesi Ocse realizzato dalla London School of Economics e dall’Università di Malaga, ‘finalizzato a misurare qual è il sistema che produce un ritorno più elevato dal punto di vista educativo per ogni dollaro investito’, giunge a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle di Ichino, sostenendo che, per ottenere risultati soddisfacenti in campo scolastico-educativo, l’Italia ha due alternative: ridurre gli allievi per ciascun insegnante (da 10,8 a 8,2) oppure adeguare gli stipendi dalla media attuale di 31.460 dollari a quella di 34.760 dollari!

    • andrea ichino

      Contrariamente a quanto da lei affermanto l’ultimo rapporto OCSE (uscito dopo l’articolo da cui sono state tratte le tabelle del mio articolo), conferma il dato sull’alto numero di insegnanti in Italia, rispetto al numero di studenti!

      • giulio fedele

        Anche a non voler considerare altri studi (ad es. cit. London School of Economics e Università di Malaga) che giungono ad opposte conclusioni (ridurre l’affollamento delle classi e aumentare le retribuzioni dei docenti): 1. lei non dice che quei 150.000 precari sono già compresi nei dati Ocse presi a riferimento (comprensivi di quelli della scuola privata, cosa anche questa che lei non dice), dunque l’immissione in ruolo dei 150.000 ‘precari’ non aumenterebbe affatto il numero dei docenti; 2. il nuovo rapporto Ocse 2014 rileva che il numero medio di docenti italiani per studenti ora è molto vicino alla media Ocse; 3. lo stesso rapporto rileva che l’Italia è l’unico paese che registra una riduzione della spesa pubblica per la scuola. Tanto precisato, poichè quando si parla di istruzione non si può ignorare -mi pare- quella universitaria, vorrei chiederle se ha mai studiato anche questa, rendendo pubblici i dati comparativi sull’efficienza delle nostre università, numero dei docenti, spesa (e retribuzioni), numero di ore (effettivo) di lavoro dei docenti, merito e valutazione reputazionale. Quanto a quest’ultimo aspetto in particolare, sarebbe interessante conoscere i dati riguardanti modalità (reali) di accesso e carriera dei docenti -magari approfondendo quella ricerca che evidenziava la ‘strana’ ricorrenza tra i prof. dei soliti cognomi- , fulgide carriere di politici e parenti di politici, leggine per immissioni in ruolo ad hoc, concorsi-farsa, ecc.

  16. Penso sia utile chiarire il fatto che sono iscritti alle GaE tre tipologie di persone.
    A) Docenti abilitati tramite SSIS, percorso biennale a numero chiuso e con esame di Stato conclusivo.
    B) Docenti dichiarati idonei ai concorsi del 1999, 1990 e precedenti.
    C) Docenti abilitati tramite percorsi abilitanti speciali.
    A causa del fenomeno delle abilitazioni plurime, la somma di A+B+C è certamente maggiore del numero di iscritti alle GaE e sarebbe utile, una volta per tutte, che il MIUR pubblicasse i dati: quanti di A, B, C, AandB, AndC, BandC, AandBandC.
    Considerato il fatto che i nove cicli SSIS sono stati banditi per circa 20.000 persone l’anno, a me pare sensato stimare che A rappresenti la maggioranza. Questa stragrande maggioranza non ha responsabilità alcuna di C (di cui c’è responsabilità politica) e non può esservi accomunata in termini così generici e delegittimanti.

  17. Caro Andrea,

    E’ buona cosa che si discuta su queste informazioni.
    Per prima cosa vorrei dire che l’OCSE ha un algoritmo complesso per calcolare il costo per studente e che tale algoritmo, messo a punto nel corso di vent’anni , va spiegato. Questa spiegazione conta in un paese come l’Italia dove ci sono alcune scuole paritarie che direi pseudo-private.
    In secondo luogo vorrei dire che la media di alunni per classi non vuole dire nulla. In ogni modo non può essere la stessa nell’insegnamento primario, nelle classi con disabili, nella scuola media oppure nell’insegnamento secondario di secondo grado. Ho insegnati tantissimi anni fa filosofia nell’insegnamento secondario superiore con classi di 150 studenti circa e non volava una mosca. Ovviamente non si può fare nell’insegnamento primario.
    In terzo luogo sarebbe bene sapere come viaggiano i dati italiani. Tanti anni fa erano “missing”. Adesso ci sono. Chi li produce, chi li controlla, chi li verifica. L’OCSE ha (ai lisi tempi aveva) una procedura per queste verifiche e si correggevano molti dati per renderli comparabili. Chi sono i responsabili in Italia che lavorano con l’OCSE su queste informazioni? Non sono più al corrente.
    Infine, non si presentano dati per categorie socio-professionali, informazione cruciale per conoscere l’equità o la giustizia di un sistema scolastico.
    D’accordissimo sui dirigenti.

  18. Paola

    Ma siamo sicuri che il numero di ore investite nelle attività collaterali fuori aula sia un buon indicatore del merito dei docenti? È una misura di input, non di output.

  19. Giovanni Rossi

    Il tema della qualità dei docenti in ingresso e di quelli in servizio è vecchio e non è stato mai affrontato seriamente ne dai precedenti ne da questo governo, visto che anche qui sulla formazione dei docenti non si fa cenno ne si intende spendere un becco di un quattrino; le precedenti riforme poi ( Gelmini – Tremonti ), hanno poi con i tagli lineari impoverito la qualità della docenza, accorpando classi di concorso ( materie ) non affini, solo per motivi economici assegnando discipline a docenti non competenti nel merito e mai formati. Le università Italiane non sono mai state coinvolte nella formazione permanente dei docenti, ed in mancanza di VERA AUTONOMIA, senza il becco di un soldo, le scuole non hanno i mezzi per promuovere la formazione dei docenti, ne la possibilità di ricevere formazione dalle aziende del territorio; l’ alternanza scuola – lavoro di Renzi ha messo in campo la ridicola somma di 6 milioni di Euro per gli istituti tecnici italiani ( 1778 ), che equivalgono a 3774 Euro per scuola; in questo contesto è difficile aspettarsi un miglioramento qualitativo della didattica e poi ci vogliono i fondi per le strutture scolastiche, assai fatiscenti; in questo contesto gli ” scatti ” aumentano solo la confusione perché non vengono indicati efficaci strumenti di valutazione del lavoro dei docenti.

  20. stefano fabbri

    Tra le due più importanti novità del documento “Renzi”, così come le rileva Ichino, c’è un’evidente contraddizione: è impossibile tenere insieme la mobilità positiva tra scuole e il principio che ogni scuola deve poter schierare la migliore squadra possibile. In questa scuola di eccellenza ci sarebbe un terzo di eccellenti insegnanti che sarebbero sottopagati. Il problema è così palese da screditare l’intera operazione del governo e l’intero commento di Ichino. L’unico intento del governo è risparmiare qualche spicciolo. Infine perché non si introduce un meccanismo di valutazione anche nel sistema universitario? Troppo forte la lobby?

  21. Virginio

    Che cosa sappia Ichino di scuola è difficle capirlo. Forse dovrebbe chiederelo a quanti ogni mattina entrano in classe. Per il momento la posizione di Ichino sembra una ricompensa che Renzi devolve ai voltagabbana

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