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Un aumento annunciato dell’Iva per spingere i consumi?

Per Italia e Grecia che faticano a uscire dalla recessione servono politiche macroeconomiche innovative. E le aspettative di inflazione fanno salire il consumo di beni durevoli. La soluzione nell’annuncio di un aumento dell’Iva controbilanciato da una pari riduzione della tassazione sul reddito.
Come si esce dalla recessione?
Con la grande recessione si è aperto un dibattito su quali politiche possano riportare l’economia al suo tasso di crescita naturale. Ridurre i tassi di interesse nominali è impossibile, perché sono già vicini a zero. Le politiche fiscali convenzionali possono causare un aumento vertiginoso del deficit ed è difficile verificarne l’efficacia. Si pensi, per esempio, al “bonus Renzi” di 80 euro: l’incertezza del quadro macroeconomico porta le famiglie ad aumentare i risparmi anziché i consumi e quindi rende poco chiaro il suo effetto sulla domanda aggregata.
La teoria macroeconomica suggerisce una misura possibile: aumentare le aspettative di inflazione per ridurre i tassi di interesse reali a tassi nominali fissi (equazione di Fisher) e quindi stimolare i consumi (equazione di Eulero). Finora non c’è evidenza che supporti questa intuizione.
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Nella figura 1 mostriamo evidenza in supporto del legame tra aspettative di inflazione e propensione al consumo con nuovi dati su famiglie tedesche del GfK Consumer Climate MAXX index. La propensione al consumo mensile media da gennaio 2000 a dicembre 2013 è sull’asse delle ordinate; le aspettative di inflazione su quello delle ascisse. La correlazione positiva tra le due variabili è evidente. Tenendo invariate una ricca serie di caratteristiche individuali, le famiglie che aspettano un’inflazione crescente sono l’8 per cento più propense ad acquistare beni durevoli. Troviamo inoltre che le famiglie più istruite, con redditi più alti e che vivono in agglomerati urbani rispondono di più alle aspettative di inflazione.
Un effetto causale?
Ma per trarre conclusioni di politica fiscale, dobbiamo dimostrare che l’effetto delle aspettative di inflazione sulla propensione al consumo è causale. A tale scopo, sfruttiamo uno shock alle aspettative delle famiglie tedesche: nel novembre 2005, la grosse koalition appena formata annunciò inaspettatamente un aumento dell’aliquota Iva massima di tre punti percentuali, con effetto dal gennaio 2007. L’aumento era teso a consolidare il bilancio federale. Allo stesso tempo, i tassi di interesse nominali erano fissi, perché stabiliti dalla Banca centrale europea, e quindi il tasso di interesse reale in Germania è sceso.
Usiamo famiglie di altri Paesi europei con caratteristiche simili a quelle tedesche come esempi controfattuali. Nella figura 2 diamo una semplice rappresentazione grafica di questo esperimento.
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Le aspettative di inflazione medie e la propensione al consumo evolvono parallelamente per le famiglie tedesche e straniere prima del novembre 2005. Costruiamo quindi una strategia di identificazione con il metodo della differenza-delle-differenze: per ogni coppia di famiglie simili, tedesca e straniera, confrontiamo gli effetti sulla famiglia tedesca e sulla famiglia straniera prima e dopo l’annuncio dell’aumento Iva in Germania.
Nel gennaio 2006, le famiglie tedesche erano 3,8 punti percentuali più propense ad acquistare beni durevoli rispetto a prima dell’annuncio e alle famiglie straniere. Nella figura 3 mostriamo che l’effetto è aumentato di mese in mese per tutto il 2006, con un picco di 34 punti percentuali in novembre. L’effetto è scomparso nel gennaio 2007, come previsto: non c’erano aumenti di inflazione programmati dopo gennaio 2007.
Misure non convenzionali a impatto zero sui conti pubblici
L’evidenza proposta in questo articolo suggerisce politiche fiscali non convenzionali per paesi che devono uscire da una recessione, come l’Italia e la Grecia. Una serie di annunci di aumenti Iva, anche di modesta entità, con una simultanea riduzione delle imposte sul reddito producono una crescita delle aspettative di inflazione nelle famiglie senza cambiare l’incertezza del quadro macroeconomico e quindi possono aumentare i consumi nell’immediato. Queste misure lasciano il deficit invariato.
Ecco quindi un suggerimento per far spendere i famosi 80 euro alle famiglie italiane senza costi aggiuntivi per il bilancio pubblico.
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10 commenti

  1. Alberto Isoardo

    Proposta interessante se non fosse per il fatto si tratterebbe di un aggravio per gli incipienti e per il precariato che si troverebbe a subire un aumento di prezzi non bilanciato da un’effettiva riduzione del l’imposizione diretta.

  2. EzioP1

    L’economia ha cercato fino ad ora di rimediare alla situazione di rallentamento con l’immissione nel sistema di una maggiore liquidità. L’operazione è servita parzialmente in quanto ha ridato sì un po’ di fiato alle imprese in cerca di finanziamenti ma che le banche rilasciavano solo a condizioni di basso rischio. Ciò non è servito a molto per la ripresa poiché molte imprese hanno chiuso i battenti o ridotto la loro attività aumentando così la schiera dei disoccupati o dei cassintegrati. Il fenomeno scoraggiante per la società è che questa ha ridotto i consumi e aumentato i risparmi per poter fronteggiare tempi peggiori. Infatti le società, quella USA, giapponese ed europea hanno subito una contrazione dei consumi e un insufficiente miglioramento occupazionale in USA e Giappone e un calo occupazionale nell’UE. Viene da chiedersi se l’obiettivo del 2% di inflazione non suona come assurdo visto il perdurare di questa situazione dove chi ne fa le spese sono consumi ed occupazione.

  3. DDPP

    Gli autori si rendono conto che oggi l’imposta sui consumi si ruba già 1/4 del valore dei beni e servizi? Vogliono portare la rapina a un terzo, alla metà, all’intero vaore dei beni?

  4. Pif

    La proposta è interessante con qualche valenza empirica ma, viste le 4 gambe del PIL ne aumentiamo solo una (consumi) a rischio di diminuirne un altra ( saldo export meno import) , senza toccare le altre due ( Investimenti privati e spesa pubblica) quindi rimane una proposta parziale come quella del QE di Draghi

  5. Alice

    Gli autori sdi rendono conto che l’aspettativa ha una durata Limitata.
    E’ come quando si avvisano i clienti che il mese prossimo il listino aumenterà, quindi il mese in corso si vende di più e il successivo a momenti si dimezza il fatturato. Nel caso dell’Iva però poi te la ieni sempre, quindi al solito oltre a ricavarci un misero aumento di vendite alla lunga contrarrà sempre più i consumi. Mi chiedo perché i commercianti non aumentano il listino tutti i mesi, se le aspettative creano più vendite. Mai che si parli di realizzare netto e l’utile più alti. Abbiamo bisogno della deflazione salariale per essere competitivi.

  6. Al9000

    Osservando quando accaduto in Italia con i recenti amenti dell’IVA (21% e 22%) non riesco proprio a cogliere questi benefici. Anzi, questi ritocchi hanno generato un gettito addirittura inferiore, causa calo consumi dovuti a politiche “ammazza reddito” e a sofferenze delle imprese per il rincaro dei costi produttivi peggioramento della competitività dei prezzi. Se vogliamo mettere una bella pietra tombale sui consumi, in attesa del default della nostra economia, d’accordo, aumentiamo sta benedetta IVA!

  7. Luca

    Anche se questa proposta funzionasse, quale sarebbe l’effetto? Quello di aumentare i consumi? Se il problema fosse la mancanza di consumi, per quale ragione fino ad oggi il governo ha fatto di tutto per scongiurare la ripresa? Non devo certo farvi l’elenco delle misure che hanno distrutto la domanda interna a partire dal 2011.
    Se ora la sosteniamo, questa domanda, come la mettiamo con il saldo delle partite correnti che è stato riequilibrato tramite l’austerità?

  8. Mario Rossi

    Tutti i discorsi che si sentono sono tutti belli frutto di ragionamenti e calcoli da premio nobel solo che c’è un punto: non si può andare avanti quando su due persone una lavora e produce sempre di più, l’altra sempre di meno anzi produce solo inciampi per quella che la porta sulle spalle. Lo so che tutto fa parte del sistema di mantenere il potere che viene dalla notte dei tempi addirittura dal film di Totò vota Antonio, ma dobbiamo pur capire che il mondo sta andando avanti e ci taglierà fuori, in fondo l’italia manco si vede dal satellite!!

  9. Raffè

    Secondo me le somme a copertura degli 80 euro del decreto Renzi dovrebbero essere utilizzati per coprire la riduzione, e non l’aumento, dell’aliquota iva del 22%.
    Sino ad ora il dl Renzi ha creato molto dibattito sui reali effetti nell’economia (non ha spinto il Pil o probabilmente non lo ha fatto arretrare, difficile da valutare in maniera precisa) mentre una riduzione dell’iva al 21 o meglio il 22% spingerebbe i consumi sicuramente.
    Un effetto questo maggiore degli 80 euro? Probabilmente si perché sarebbe rivolto ad una platea maggiore di beneficiari ed inoltre semplificherebbe l’attività delle aziende e renderebbe più competitivo l’e.commerce non solo nazionale ma sopratutto quello esteri vs i privati.
    Il problema è la riduzione della spesa pubblica attraverso l’attuazione della spending review che ancora non si vede all’orizzonte, anzi si torna a parlare di prepensionamenti!!

  10. Luca S.

    L’indagine sui bilanci delle famiglie condotta dalla Banca d’Italia sul 2014 indica che il bonus fiscale per i redditi medio-bassi sarebbe stato consumato per circa il 90 per cento.
    Tutto da dimostrare è l’impatto zero sui conti pubblici, giacché la propensione al consumo delle famiglie non è tale da trasformare l’intero maggior reddito disponibile in maggior consumo, con la conseguenza che il gettito IVA risulterebbe inferiore del gettito da imposte sul reddito. Ciò senza considerare il fatto che l’IVA è un’imposta regressiva ad effetti distorsivi. Per finanziare la riduzione delle tasse sarebbe preferibile una seria politica di riduzione della spesa pubblica a cominciare dalle società partecipate da Regioni ed Enti locali ed una decisa semplificazione e riduzione degli oneri burocratici, questi sì ad impatto zero sui conti pubblici.

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