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Dirigenza pubblica a rischio caos

La legge delega di riforma della pubblica amministrazione rischia di gettare nel caos la dirigenza pubblica. Senza correttivi, potrebbe dar luogo a una precarizzazione permanente dei dirigenti con conseguenze pericolose per l’imparzialità dell’azione amministrativa. La questione della valutazione.

Fine del diritto all’incarico

Nella legge delega n. 124 del 2015 di riforma della pubblica amministrazione approvata lo scorso agosto è centrale la questione del conferimento dell’incarico dirigenziale nel quadro del funzionamento del nuovo ruolo unico, ovvero quel contenitore in cui far confluire tutti i dirigenti pubblici, oggi confinati nei ruoli delle amministrazioni di appartenenza, così da realizzare un mercato competitivo e favorire la mobilità delle professionalità su basi meritocratiche, secondo il principio per il quale la persona giusta vada al posto giusto.
La concreta applicazione dei principi presenta, tuttavia, fortissime criticità. Occorre partire, infatti, da un elemento dirimente: la riforma cancella il diritto all’incarico per il dirigente, prima previsto dal contratto collettivo nazionale. Allo scadere del contratto individuale legato a una determinata funzione, quindi, il datore di lavoro pubblico non sarà più obbligato ad affidare un ufficio al dirigente. Anche oggi, alla normale scadenza dell’incarico, esperita la prevista procedura comparativa dei candidati, può non seguire l’assegnazione desiderata. Tuttavia, l’amministrazione ha il dovere di collocare il dirigente in una posizione disponibile. D’ora in poi, eliminato il diritto all’incarico, si potrà restare senza assegnazione e, automaticamente, si avvierà la procedura che potrà condurre al licenziamento.
Si tratta, in altre parole, di una sorta di gioco della sedia: al fischio finale chi resta in piedi rischia di venire eliminato. Occorre ricordare, peraltro, che nel concreto si dà vita a tre ruoli “unificati e coordinati” per i dirigenti dello Stato, delle regioni e degli enti locali, e che è prevista la “piena mobilità” fra i ruoli: ciò significa che, nel caso di disponibilità di una qualsiasi posizione, potrebbe pervenire un numero altissimo di domande dalle più svariate amministrazioni. Se a questo si aggiunge l’obbligatorietà della rotazione dei dirigenti voluta dalla legge anti-corruzione, ci si troverà di fronte a una sorta di girandola in cui non solo è illusoria ogni valutazione seria ai fini dell’affidamento, ma che rischia di dar vita a una gara permanente fra precari (seppur vincitori di concorso pubblico) in cui tutti cercano di accaparrarsi un posto. A qualsiasi costo, per evitare un possibile licenziamento.
E se non può che essere essenziale il tema della valutazione del dirigente ai fini della sua carriera, non si comprende il riferimento della legge alla decadenza dal ruolo a seguito di un periodo di collocamento in disponibilità “successivo a valutazione negativa”: quest’ultima è causa del mancato incarico e, quindi, del collocamento in disponibilità? E come si lega ai numerosi casi di responsabilità dirigenziale già previsti dalla legge? E, ancora, si tratta di valutazione una tantum, che potrebbe rappresentare una formidabile arma di pressione rispetto al dirigente, o di uno strumento articolato su una necessaria gradualità? Il quadro, da questo punto di vista, si presta a interpretazioni assai diverse, con profili di dubbia costituzionalità, su cui il prossimo decreto legislativo dovrà far chiarezza.
In un simile contesto, peraltro, desta perplessità la previsione della eventuale revisione delle percentuali per i dirigenti cooptati dalla politica “in modo sostenibile per le amministrazioni non statali”. Traduzione: l’innalzamento sino al 30 per cento, previsto dal decreto legge n. 90 del 2014, potrà essere ulteriormente rivisto al rialzo per gli enti locali. Avanti, c’è posto, si direbbe.

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Conseguenze della precarizzazione

Il rischio è quello di dar vita a un meccanismo a espulsione in base al quale per un dirigente di ruolo, vincitore di concorso pubblico, non ottenere un incarico porta all’uscita dal ruolo e al licenziamento. Senza gli indispensabili correttivi in sede di decreto delegato, ad esempio introducendo forme di contenimento alla permeabilità fra i ruoli e rafforzando le opportunità di conferimento dell’incarico legate a un meccanismo di valutazione articolato, il risultato sarà una pericolosa precarizzazione della dirigenza, ponendo fine a ogni velleità di costruzione di un esprit de corps amministrativo. Due le possibili, gravi conseguenze: la fidelizzazione del dirigente al nominante (politico o alto burocrate poco importa), così da assicurarsi un nuovo incarico; e un colpo mortale all’imparzialità dell’azione amministrativa, in cui ogni autonomia potrebbe essere subordinata alla conservazione della sedia.
La fondamentale caratteristica di ogni organizzazione pubblica è quella di saper tutelare gli interessi di tutti: se viene intaccato questo fondamentale principio, si apriranno scenari imprevedibili, a tutto danno dei cittadini.

 

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10 commenti

  1. Bruno Cipolla

    L’autore scrive: “Due le possibili, gravi conseguenze: la fidelizzazione del dirigente al nominante (politico o alto burocrate poco importa), così da assicurarsi un nuovo incarico; e un colpo mortale all’imparzialità dell’azione amministrativa, in cui ogni autonomia potrebbe essere subordinata alla conservazione della sedia.”
    E’ esattamente quello che serve ad un potere centrale politico/partitico forte, quello che sta costruendo lo “statista” bambino di Rignano.

  2. Nicolo boggian

    Stesse regole e maggiore passaggio tra pubblico e privato sono a mio avviso le condizioni per rendere più accettata e aderente alla realtà la funzione della pubblica amministrazione. Una carriera solo nella Pa non è più sostenibile per il dirigente e per la società nel complesso

  3. Giuseppe

    Purtroppo le gravi conseguenze individuate dal Dott. Ferrante sono proprio gli obiettivi di questa “nuova” (?) classe politica.
    Una reazione organizzata, forte e bene argomenteta potrebbe sortire atti di resipiscenza? Ne dubito considerato il clima dominante di astio verso la burocrazia ed il populismo con cui è cavalcato. Ci si dimentica sempre che la “burocrazia” applica le leggi prodotte dai politici

  4. Salvatore

    Chissà perché ciò che è permesso nel privato non può essere applicato nel pubblico, il dirigente deve sapere che accettando la nomina non ha più la sicurezza del posto garantito, e quelli del privato lo sanno bene. Basta con questi privilegi, se non ve la sentire di fare i dirigenti rifiutate la nomina.

  5. Maurizio Fenati

    IL dirigente deve essere trasversale e se necessario licenziabile, altrimenti non è tale; vedasi il settore privato. Semmai devono esserci criteri nazionali e trasparenti di valutazione (in molte amministrazioni gli obiettivi fanno ridere e si premiano tutti) Sarà dura.
    L’unico serio limite, per la consueta mancanza di coraggio e coerenza, è il possibile aumento di dirigenti di nomina politica, in realtà si dovrebbe ridurre drasticamente il numero di dirigenti.

  6. Michele

    Anche considerata la diversa natura e i diversi obiettivi di una PA, trovo negativo che un dirigente pubblico debba essere più tutelato di uno nel privato. Tra l’altro i rischi evidenziati (“lecchinaggio” e conservazione della poltrona) esitono pure nel settore privato. Se da un certo punto di vista le conseguenze di questi comportamenti nel settore privato sono potenzialmente più limitate (se una cattiva dirigenza fa fallire un’azienda, ci rimettono i “pochi” dipendenti e non la “collettività” – solo se è piccola perà), non è che allora è meglio garantire le capre perché, se le capre non si sentono al sicuro, la collettività è a rischio. Ci teniamo perdite garantite (dalle capre) per paura di eventuali perdite più consistenti? Scusate, ma io punto alla crescita e faccio pagare chi sbaglia.
    Tra l’altro non trovo nemmeno giusto che il licenziamento di un dirigente sia una scelta esclusiva della politica: a mio avviso ci dovrebbe essere un referendum o comunque qualche meccanismo che subordini il licenziamento del dirigente alla riconferma elettorale del politico di turno. Se gli obiettivi politici sono irrealistici, deve perdere il posto il dirigente chiamato a realizzarli?

  7. Fabio

    Il mio parere è che non si possano ritenere sullo stesso livello pubblico e privato. Ciò non vuol dire che il pubblico non possa essere licenziato ma che il criterio deve essere differente.
    Il dirigente privato risponde agli interessi di una proprietà.
    Il dirigente pubblico dovrebbe rispondere agli interessi di una collettività.
    Se nel primo caso chi giudica coincide con chi beneficia dell’attività del dirigente, nel secondo è decisamente diverso. La posizione di dirigente pubblico che si oppone ad un interesse privato in contrasto con il bene pubblico da chi è giudicato.
    Questa è l’esasperazione della fallita riforma Bassanini che “contrariamente alle intenzioni”, ha mantenuto sotto lo stretto controllo politico l’attività amministrativa.

  8. Maurizio Daici

    Per coerenza il governo dovrebbe prevedere la responsabilità amministrativa per gli organi politici, per gli atti adottati, e introdurre forme davvero efficaci e tempestive di controllo di legittimità da parte di organi indipendenti.

  9. antonio orazi

    l’imparzialità della PA è come l’araba fenice

  10. Mi permetto di dissentire e di avanzare le mie riflessioni sinteticamente. La perdita del diritto all’assegnazione dell’incarico rafforza il ruolo della valutazione delle performance dirigenziali come forma di riconoscimento del merito oltre all’incentivo dell’ingraziarsi il politico. La PA deve apprendere a meglio utilizzare le proprie risorse umane. Nelle imprese il turnover dei manager è più frequente e non per questo non è garantita la continuità della gestione e del coordinamento. La rotazione dei dirigenti prevista dalla legge anticorruzione non è sempre possibile, quando specifiche competenze tecniche (in ASL o ARPA) non sono sostituibili all’interno dell’amministrazione. Il ruolo unico può innescare l’upgrading delle competenze manageriali che sono sovente più carenti negli Enti locali. La riserva di dirigenti disponibili permetterebbe una migliore selezione del personale rispetto alle esigenze dei vari contesti della PA. Anche in questo caso, la valutazione potrebbe essere utile ad orientare la scelta al fine di garantire maggiore indipendenza della dirigenza rispetto alla politica. La presunta imparzialità è il comportamento del dirigente avverso al rischio che non decide per non incorrere nella responsabilità penale. Quando un dirigente prende una decisione, questa diventa una scelta politica che può avvantaggiare alcuni gruppi sociali e svantaggiare altri. Cruciale è la capacità di assumersi la responsabilità delle scelte compiute nei confronti dei cittadini.

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