Lavoce.info

Epatite C: se il farmaco costa troppo per essere usato

In Italia i malati epatite C sono circa un milione. La cura della patologia è stata rivoluzionata da un nuovo farmaco che garantisce alte probabilità di eliminazione del virus. Ma ha un prezzo elevato. E dunque in molti casi non viene utilizzato. Disuguaglianze di accesso e protezione brevettuale.

Il nuovo farmaco per l’epatite C

Sono circa 1 milione in Italia i malati di epatite C. Dopo decenni in cui l’unica terapia disponibile era quella basata sull’interferone, a novembre del 2014 l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato l’immissione in commercio di un nuovo farmaco per la cura della patologia. Sofosbuvir è il nome del principio attivo, Sovaldi quello del farmaco prodotto e commercializzato dalla multinazionale Gilead Sciences. Secondo i parametri dell’Aifa, è possibile accedere gratuitamente alla terapia solo se l’elasticità del fegato, misurata con il fibroscan epatico, è gravemente compromessa e il paziente è affetto da fibrosi (F3) o da cirrosi (F4). Per gli altri malati, le uniche alternative sono attendere un peggioramento della malattia o pagare di tasca propria il farmaco. Ma non tutti se lo possono permettere. Negli Stati Uniti, Sofosbuvir costa circa 1000 dollari a pillola e 84mila dollari per l’intero trattamento. In Italia il costo del trattamento è di 37mila euro, il più basso d’Europa, ma ancora troppo elevato perché sia accessibile a tutti. Il caro farmaco ha portato a prescrizioni bloccate in alcune regioni, mentre in altre, come l’Emilia Romagna, le raccomandazioni sono di distinguere i casi gravi di tipo F3 da quelli gravissimi di tipo F4. In occasione dei controlli programmati, i pazienti F3 iniziano la terapia solo se il trattamento è ritenuto strettamente necessario, rimandando la responsabilità della decisione all’epatologo.

Perché costa così tanto?

L’industria farmaceutica è divisa in imprese tradizionali (research-based companies) e imprese generiche (generics–based companies). Mentre le prime investono in ricerca e sviluppo, le seconde entrano nel mercato solo quando il brevetto scade. Gilead è un’impresa tradizionale e Sofosbuvir è ancora coperto da brevetto. Le fasi di ricerca e di sperimentazione del farmaco possono durare fino a dodici anni e le imprese tradizionali investono in media nella sperimentazione circa 2 miliardi di dollari. La protezione brevettuale consente dunque di recuperare i costi di ricerca e di ottenere profitti che incentivano lo sviluppo di nuovi prodotti. Tuttavia, ci sono delle situazioni, come quella di Sofosbuvir, per le quali l’utilità del brevetto dal punto di vista del benessere sociale è dubbia. Il farmaco anti epatite C è stato scoperto nel 1998 dalla Pharmasset, una piccola biotech americana, acquistata nel 2011 dalla Gilead per 11 miliardi di dollari, quasi quattro volte in più del suo valore di mercato di allora. Di fronte a queste cifre, è lecito chiedersi se il prezzo del farmaco sia effettivamente dovuto ai costi in ricerca, sviluppo, sperimentazioni e protezione brevettuale o se invece non sia in buona parte addebitabile al recupero dell’ingente prezzo pagato da Gilead per acquisire la Pharmasset. In secondo luogo, c’è la questione dell’uguaglianza all’accesso delle prestazioni sanitarie, che è un caposaldo di un sistema di assicurazione sanitaria universalistica come quello italiano. Il caro-farmaco ha indotto alcuni pazienti a intraprendere viaggi della speranza verso paesi a basso reddito, tra cui l’India, dove Gilead ha stipulato accordi di licenza con produttori che commercializzano versioni generiche del principio attivo a prezzi bassi: un caso noto alle cronache è quello di Mario Buffa, operaio forestale trentino, malato di epatite C, ma non abbastanza grave per rientrare nei parametri fissati da Aifa per garantire l’accesso alla terapia gratuita. Il prezzo alto del Sofosbuvir sta anche facendo emergere un commercio parallelo, spesso online, che offre prodotti a prezzi molto più bassi, ma con un elevato rischio di contraffazione. Di recente, l’Organizzazione mondiale della sanità, proprio a causa della diffusione di farmaci contraffatti per la cura dell’epatite C nel Sud-Est asiatico, ha chiesto a tutte le autorità nazionali la massima attenzione e sorveglianza su questi prodotti specifici. Dunque, se da un lato il brevetto garantisce incentivi in ricerca e sviluppo, dall’altro crea situazioni di monopolio che generano costi elevati per le cure e consentono alle imprese di discriminare i prezzi (come dimostrano le differenze di prezzo tra Usa e Italia). Nel lungo periodo, si dovrebbe perseguire un maggiore coinvolgimento pubblico, anche attraverso più ingenti finanziamenti alle università e istituti di ricerca attivi in campo farmaceutico. In caso di emergenze sanitarie, invece, in base agli accordi Trips, esiste la possibilità di derogare alla protezione brevettuale attraverso la licenza obbligatoria a cui ogni stato che aderisce alla Oms può ricorrere al fine di proteggere la salute pubblica. Ma forse quello dell’epatite C non si può ritenere un caso di emergenza sanitaria. Certamente, però, si è di fronte a un paradosso per il benessere sociale: si dà la possibilità di ottenere la protezione brevettuale per sviluppare farmaci in grado di salvare vite umane, ma i prezzi sono così alti da poterne salvare pochissime, al limite, quasi nessuna. Cui prodest?

Leggi anche:  Ma i fondi per la sanità sono pochi o tanti?

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Pochi medici oggi, ma forse troppi domani

Precedente

Salto nel buio

Successivo

Sanzioni: alle imprese europee la multa arriva dagli Usa

11 commenti

  1. lodovico

    La questione delle disuguaglianze è una questone vecchia e fu affrontata nel vangelo di Matteo attraverso la parabola dei talenti, certamente non è questo il caso ma incolpare la ditta produttrice di pratiche scorrette per il prezzo troppo alto riservato al servizio nazionale italiano che si vorrebbe più basso per “utopistici” fini sociali ( vedi Costituzione Italiana) sembra ledere quel principio della proprietà che in America è diverso dal nostro. Il costo di un muro fatto dallo Stato Americano o Italiano o da un qualsiasi privato è uguale: servono un certo numero di mattoni, di calce, di mano d’opera e di progettazione……… speriamo che anche la nostra ricerca sia in grado di produrre un farmaco simile a un costo minore perchè la nostra ricerca è migliore. Cerchiamo anche noi di promuovere i ” nostri talenti”, potremo anche noi, come Gilead, contribuire alla riduzione di disuguaglianze di accesso in campo medico anche se per un numero di persone attualmente assai modesto rispetto alla domanda di questo farmaco che prima di Gilead non esisteva.

    • Luca

      Mah, la sua caro Ludovico mi sembra un’analisi semplicistica. Soprattutto mi sembra che non riesca a cogliere l’aspetto di novità del caso Sofosbuvir rispetto al passato, in cui le aziende farmaceutiche, pur facendosi pagare l’innovazione non avevamo mai proposto dei farmaci potenzialmente in grado di dissestare qualsiasi tipo di terzo pagatore, sia in Europa che negli Stati Uniti.
      Le critiche a Gilead non sono state mosse solo da quei “comunisti / utopisti” degli europei, ma anche negli USA si sono levate critiche diffuse estremamente aspre per questo comportamento: il fatto è che, piaccia o no, chiunque operi nel campo della salute ha anche dei vincoli di etici da rispettare che non riguardano solamente il modo di operare nel campo dell’innovazione ma coinvolgono in realtà molti altri aspetti. Come giustamente fatto osservare nell’articolo, la protezione brevettuale deve essere un punto di equilibrio tra due esigenze che (possono) trovarsi in contrapposizione: l’interesse di chi ha sviluppato e ha diritto a vedere ricompensato gli sforzi messi in ricerca e l’interesse pubblico di chi, in cambio di questa protezione, desidera la maggior diffusione possibile del prodotto dell’innovazione.
      Piaccia o no, questo equilibrio si è rotto, e toccherà ingegnarsi a trovare soluzioni che permettano di ricostruirlo, esattamente come successe per il caso dei farmaci per l’HIV. Solo che in quel caso USA ed Europa non erano toccati come ora dal problema.

    • arthemis

      L’alternativa è fare ricerca pubblica, ma come visto in altri settori (es. agronomia) non sembra che il nostro paese sia molto sensibile..

  2. Daniele

    Art. 141 del Codice della Proprietà Industriale: “Con esclusione dei diritti sui marchi, i diritti di proprietà industriale, ancorché in corso di registrazione o di brevettazione, possono essere espropriati dallo Stato nell’interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità”

    Trattandosi di ragioni di pubblica utilità (direi di vita o di morte di circa 1 mln di persone), lo Stato potrebbe con decreto (Decreto del Presidente della Repubblica, Art. 142) espropriare il brevetto e procedere autonomamente alla produzione del farmaco.
    Si tratta di volontà politica e di coraggio

    • amadeus

      Lei non è molto lungimirante ovvero non si pone il problema delle conseguenze indirette delle ricette che prescrive: in ogni caso non vedo come lo stato possa espropriare una società straniera se non per le scorte di prodotto che detiene in Italia. Conseguenze: finite le scorte gli italiani non avrebbero più accesso al farmaco e gli Stati Uniti adotterebbe misure ritorsive nei confronti dell’Italia per non parlare di eventuali violazioni di trattati internazionali che, nella gerarchia delle fonti legislative, stanno sopra al CPI. Si tratta di intelligenza e ragionamento.

      • Massimo Matteoli

        Ha ragione Daniele.
        Ricordo, poi che l’esproprio colpirebbe i diritti di privativa industriale, cioè consentirebbe dietro pagamento di una giusta indennità, la produzione a prezzi più accessibili.
        Alla fine, aumentando i consumi ci sta perfino che questa sia maggiore degli utili del monopolista che strozza il mercato.
        Mi stupisce, comunque, che una simile eventualità non sia nemmeno presa in considerazione nell’articolo.

  3. Mi sembra che in Italia la cura costi 20 mila euro a paziente.
    Mi sembra che 20 mila moltiplicato 1 milione faccia 20 miliardi.
    Mi sembra che 11 più 2 faccia 13.
    Mi sembra che la sola Italia renda oltre 7 miliardi di margine!!!

  4. Mauro

    Ci sono due aspetti che a mio avviso vanno tenuti presenti. Il primo è che la giustificazione per cui i ricavi delle imprese farmaceutiche servono come compensazione delle spese di ricerca è sempre meno vera. Come ha riportato l’economista Mazzucato nei suoi lavori, tre quarti delle nuove molecole usate nei farmaci vengono sviluppate ormai negli Stati Uniti con finanziamenti pubblici.
    Come si legge in Wikipedia, Pharmasset fu fondata da due ricercatori della Emory University un Istituzione privata ma “funded primarily by federal government agencies, namely the National Institutes of Health”. Probabile che gran parte del costo per lo sviluppo del Sofosvubir sia stato sostenuto da soldi pubblici.
    La seconda è che i profitti, ricavati dalla vendita di farmaci protetti da brevetto, sono stati utilizzati dalla case farmaceutiche più per ricomprarsi le proprie azioni, che non per finanziare la ricerca, creando un enorme beneficio degli azionisti, a spese della collettività.
    La Pharmasset stessa aveva stimato un prezzo di mercato per la cura con Sofosvubir in 36.000 $, lievitato poi a 84.000 $ dopo l’acquisizione da parte della Gilead. Come si giustifica questo ?

  5. Andrea

    Aziende private che mirano al profitto si accollano costi mostruosi per lo sviluppo del farmaco (andate oltre al singolo farmaco, innumerevoli sono le molecole brevettate che successivamente non trovano applicazione) e questi costi vengono ripagati negli anni di durata del brevetto, con l’aggiunta di un certo margine, ovvio. Questo sistema ha garantito gran parte dell’innovazione in ambito farmacologico. L’etica del mercato c’è ed è diversa da quella dell’individuo (come direbbe Macchiavelli dell’etica politica): sono i soldi. Distorcere ciò porta a inefficienze. Ricerca farmacologica in ambito pubblico? Ben venga per quei farmaci “orfani” per cui non ci sarebbe mercato, inutile per quei farmaci che un mercato lo hanno (logiche legate al profitto rendono queste imprese più efficienti della ricerca pubblica). “Espropriare” il brevetto (posto che sia tecnicamente fattibile)? Darebbe un segnale negativo al mercato con il solo risultato di far contrarre gli investimenti futuri delle aziende farmaceutiche. La politica si occupi piuttosto di eliminare le ingerenze delle aziende farmaceutiche nella prescrizione dei farmaci e di togliere i limiti imposti alla prescrizione di questi al di fuori delle indicazioni approvate (utilizzo “off label”, vedere recente caso Novartis).
    Cordiali saluti.

    • Marco Grasso

      L’azienda che ha inventato il vaccino contro l’epatite”C” è stata acquistata da un’azienda speculatrice che la ha pagata uno sproposito solo perché sapeva che avrebbe stra guadagnato solo con una operazione finanziaria; con un particolare, facendo esplodere il prezzo e il numero dei morti. Questa è solo una devastante speculazione che una civiltà moderna non dovrebbe permettere caro Andrea!

  6. william

    in altri paiese la cura ce e fonzina ad un costo molto passo ,tanti sono guariti.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén