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L’Europa e l’Italia dopo Ventotene

Con i postumi della Brexit ancora da smaltire, il triumvirato europeo si è riunito a Ventotene per tracciare il futuro di un’Unione assediata dall’euroscetticismo. Ripartire da sicurezza comune ed economia. Spazio alla flessibilità, ma nel rispetto delle regole europee. I tre casi possibili.

L’Europa non finisce con la Brexit ma…

Ha detto bene il premier Matteo Renzi: l’Europa non finisce con la Brexit. Ma c’è poco da fare: il messaggio politico di continuità che i tre leader di Francia, Germania e Italia hanno provato ad offrire al vertice di Ventotene fatica a tradursi in un progetto europeo capace di mettere insieme – sempre per usare le espressioni del premier italiano – concretezza e sogno.
La Brexit – per così dire – libera l’Europa da un partner propenso a firmare trattati à la carte (come avvenne ad esempio con la clausola di opting out garantita al Regno Unito con la nascita dell’euro). Secondo alcuni, la Brexit potrà accrescere le probabilità dell’adozione di una politica di difesa comune. Dopotutto, nel 2003 il britannico Blair si schierò con Bush per la guerra in Iraq mentre tedeschi e francesi vi si opponevano (qualche americano più patriottico di altri allora pensò addirittura di punire il pacifismo francese mettendo al bando le patatine, le French fries). Ma una politica di difesa comune – di per sé oggi un obiettivo desiderabile ma lontano per i ventisette paesi rimanenti nella Ue – non basta. Il crescente consenso degli euroscettici impone alla Ue del futuro di imparare a rispondere in fretta e in modo tangibile a poche e chiare esigenze dei cittadini europei, la prima delle quali è oggi la sicurezza interna ed esterna di fronte al terrorismo. E per garantirla non servono i documenti ufficiali nel politichese di Bruxelles mentre diventa urgente predisporre strumenti comuni di intelligence, approntare una guardia costiera europea e – in prospettiva – un diritto di asilo che valga per tutti i membri dell’Unione. Per costruire, come ha detto Renzi, “una comunità europea della sicurezza”. Sicurezza che i singoli stati nazionali da soli non possono più garantire, neanche quelli che vogliono alzare muri e chiudersi come fortezze.

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La flessibilità possibile senza scardinare le regole comuni

Fissati gli obiettivi comuni, gli interessi nazionali però resistono, in particolare quando si parla di economia. Sempre a Ventotene, mentre depositava un mazzo di fiori sulla tomba di Altiero Spinelli, il presidente francese Hollande ha avvertito che, contro l’euroscetticismo dilagante, Bruxelles deve tutelare le economie nazionali. Al che, la signora Merkel ha ricordato al presidente francese e soprattutto al premier italiano che il patto di stabilità contiene ampi margini di flessibilità. Come dire che l’applicazione di regole europee comuni non può essere minata dalla sistematica applicazione di eccezioni creative. E che quindi – come noto – la flessibilità, a differenza dei diamanti, non è per sempre. E così d’improvviso, intorno alla tomba di Spinelli, sono scomparsi i padri costituenti dell’Europa del futuro. Sono rimasti invece i leader politici dei due grandi paesi europei che nel secondo trimestre 2016 hanno fatto registrare una crescita zero con deficit e debiti pubblici non in linea con le regole europee. E che ora si trovano alle prese con la cancelliera di un paese che cresce da anni senza infrangere il dogma auto-imposto di un persistente equilibrio nei conti pubblici e che, a sua volta, non vuole barattare il rispetto delle regole comuni con accordi separati, sia pure con gli altri due paesi più importanti dell’Europa.
In definitiva, la flessibilità consentita dalle regole europee per l’Italia implica che l’obiettivo dell’1,8 per cento per il deficit 2017 (concordato con la Commissione europea nello scorso maggio) potrà subire uno sforamento – come già avvenuto con gli obiettivi fissati per il 2014 e il 2015 – in tre casi. Il primo è quello di cui hanno parlato a cena Renzi, Hollande e la signora Merkel: il possibile scorporo di voci di spesa e investimenti pubblici dal computo del deficit. Un’estensione del finora impalpabile piano Juncker a nuove aree di applicazione (all’Italia preme la cultura, alla Francia l’Erasmus esteso agli apprendisti; a tutti – pare – la digitalizzazione). La seconda ragione di flessibilità è quella che potrebbe derivare da un ulteriore peggioramento della congiuntura nella seconda metà dell’anno. Infine (certo non in ordine di importanza) come terza ragione ci sarebbe poi quella voce che non può mancare nel mantra della politica europea: la prosecuzione – qualsiasi sia l’esito del referendum costituzionale del prossimo autunno – nell’attuazione delle riforme. L’Italia di Renzi può schierare riforme fatte (quella costituzionale, il Jobs Act e la cosiddetta “Buona scuola”), da completare (quelle su pubblica amministrazione e sulla giustizia civile) e ancora da fare (quella sulla tassazione dei redditi familiari e sul riordino del sistema delle detrazioni e deduzioni). Tutti provvedimenti potenzialmente buoni per l’Europa e volti a modernizzare un’economia ingessata da troppo tempo. Quelli attuati hanno però finora fallito l’obiettivo ultimo: quello di ravvivare l’eternamente anemica crescita dell’economia italiana.

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L’Italia rischia una crescita giapponese? Magari

  1. Michele

    A fronte di crescita sostanzialmente nulla, proseguire in una politica di incremento del debito non può che portare a risultati catastrofici. Le riforme strutturali di cui ha bisogno l’Italia sono ben diverse da quelle di Renzi, fatte di bonus estemporanei. Occorrerebbe avere minore precarietà del lavoro, maggiore concorrenza in tanti settori protetti dalla concorrenza internazionale, rimodulazione delle aliquote irpef, revisione della spesa pubblica, lotta alla evasione e alla corruzione etc etc

  2. Alessandro Pagliara

    Non una parola su una fiscalità europea di redistribuzione…l’assenza della Spagna e degli altri…la solita europa dei pochi!
    Non una parola sul surplus commerciale tedesco… e mi sento un renziano…ma siamo passati dalle risate alla serietà senza che cambiasse nulla…la Germania continua a dettare l’agenda agli altri… Mi sembra come quando i leghisti parlano della della Calabria: “dovete avere meno ospedali” e non una parola su perchè non si finiscono quelli iniziati o perchè non si organizzi la sanità su un modello vincente…. dietro dietro c’e’ sempre la tutela dei vantaggi acquisiti nel tempo….Quando non pagano i calabresi per curarsi in Lombardia???

  3. giovane arrabbiato

    ”Basta all’Europa dell’alta finanza”.
    -Passiamo il TTIP con l’ISDS il prima possibile.
    -assolutamente niente contro i paradisi fiscali.
    -Juncker creatore del paradiso fiscale Lussemburghese è Presidente della Commissione.

    Parole contro fatti. Ed è per questo che a Novembre Renzi andrà a casa e l’Unione anti-Europea perde consensi.

  4. Michele

    Perchè non usiamo le parole per il loro significato proprio? In questo caso flessibilità vuole dire solo maggior debito. Però questo modo di usare le parole sa di manipolazione dell’opinione pubblica. Si abbia il coraggio delle proprie azioni. Si vuole poter indebitare di più il paese per evitare scelte difficili su quali spese inutili\clientelari tagliare? Bene. Basta dirlo con chiarezza e trasparenza.

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