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Se la valutazione si fa con i fichi secchi

Governo e fondazioni bancarie hanno costituito un “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”. L’accordo prevede la valutazione puntuale di andamento, risultati ed effetti delle attività intraprese. Una buona notizia. Peccato che per i valutatori non sia previsto alcun compenso.

Accordo tra governo e fondazioni bancarie

Lo scorso aprile il governo e le fondazioni cosiddette di origine bancaria (quelle istituite nel 1990 e regolamentate dal decreto legislativo 153/99), hanno firmato un protocollo di intesa per la costituzione del “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile” (articolo 1 comma 392 della legge 208/2015) destinato al “sostegno di interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori”. Finalmente, una grande attenzione è rivolta alla valutazione di impatto di progetti e politiche. Ma il trucco per svuotare questa attenzione c’è (e si vede subito).
Anche in Italia si va dunque diffondendo l’idea che le politiche vadano valutate per verificare se siano state in grado di incidere sulle situazioni collettive ritenute problematiche. Da qui l’importanza di stabilire i nessi causali tra le politiche e l’evolversi delle situazioni stesse. Occorre evitare, infatti, la fallace identificazione dell’‘effetto’ (o ‘impatto’) di una politica pubblica con il ‘cambiamento osservato’ nella situazione che intende modificare. La valutazione d’impatto si propone appunto di stabilire quale parte del cambiamento osservato sia riconducibile, in senso causale, alla politica pubblica in questione (e non, dunque, ad altri fattori che influenzano l’evolversi della situazione).
Il termine valutazione è però utilizzato anche per definire attività analitiche molto distanti dalla verifica rigorosa del successo di una politica. In molte situazioni la valutazione non serve all’apprendimento sui nessi causali, ma a un complesso processo di aggregazione delle realizzazioni al fine di rendere conto di come le risorse sono state utilizzate (accountability): l’esempio più noto di questa accezione di valutazione è quello adottato nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea.

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Le novità dell’iniziativa

La gestione del fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile è stato affidato a Con i bambini, un’impresa sociale partecipata al 100 per cento da Fondazione “Con il Sud”. I due bandi finora pubblicati (Prima infanzia 0-6 e Adolescenza 11-17) dedicano molto spazio alla valutazione di impatto. È previsto che «ciascun “soggetto proponente” si doti già in “prima fase” di una strategia di valutazione, indicando nel partenariato un soggetto con comprovata esperienza nel settore che si faccia carico di valutare l’andamento, i risultati conseguiti al termine delle attività e gli impatti raggiunti a due anni». Allegato ai due bandi, e quindi parte integrante degli stessi, si trova un vademecum che con rara lucidità illustra i principali metodi ‘controfattuali’ necessari per stimare l’impatto dei progetti, aderendo pienamente alla logica dell’inferenza causale. Anni-luce distante dall’accezione di valutazione prevalente nella pratica dei fondi strutturali.

Un passo avanti e due indietro

Finalmente un segno del diffondersi di un utilizzo serio della valutazione d’impatto, in linea con l’evoluzione in quasi tutti i paesi del mondo, dagli Stati Uniti ai paesi emergenti (ad esempio Messico e Brasile) o a quelli in via di sviluppo (come Kenya e Tanzania) con l’appoggio della Banca Mondiale? Purtroppo no, perché i due bandi contengono una clausola che vanifica le aperture appena fatte all’utilizzo della valutazione d’impatto. Con stupore leggiamo infatti che «ai gruppi di ricerca potranno essere riconosciuti unicamente rimborsi spesa documentati (viaggio, vitto e alloggio) fino ad un massimo del 2 per cento del contributo assegnato al progetto». Sarebbe corretto spiegare a quali buone pratiche a livello internazionale gli estensori del bando si siano ispirati per imporre un tetto trasversale del 2 per cento alla valutazione di impatto, a prescindere totalmente dalla dimensione del progetto e dal suo grado di complessità e di innovazione. E forse sarebbe altrettanto corretto spiegare come mai, dopo avere dopo invocato la necessità di comprovata esperienza, la professionalità di chi si occupa di valutazione viene sminuita riducendola a una sorta di hobby, praticato da persone che palesemente devono ‘fare un altro mestiere’, così da potersi permettere il lusso di chiedere solo un rimborso spese.
Viene poi da interrogarsi perché, scarseggiando in Italia soggetti con comprovata esperienza di valutazione di impatto, gli estensori del bando non abbiano ritenuto opportuno redigere i terms of reference in inglese e aprire la gara anche a gruppi di ricerca di altri paesi.
Ancora, il vademecum allegato ai bandi sottolinea la necessità di «impostare il disegno di un intervento anticipando i requisiti di informazione e le analisi che consentiranno di valutarlo». Gli estensori del bando avrebbero fatto meglio a soffermarsi su cosa implica disegnare un intervento anticipando di quali dati ci sarà bisogno per valutarne l’impatto, invece di affrettarsi a stabilire che i valutatori debbano, se proprio lo desiderano, lavorare senza compenso.
Un vecchio proverbio afferma che non si fanno i pranzi di nozze con i fichi secchi. Tantomeno si fa la valutazione di impatto delle politiche pubbliche.

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  1. VinceskoMVinceskij

    Ciascuno di noi è il prodotto di due fattori: i geni e l’educazione: il primo è una variabile non controllabile, un dato immodificabile, a meno che non si prenda in considerazione l’eugenetica; il secondo è invece una variabile controllabile, attraverso l’interazione con l’ambiente: familiare, scolastico, sociale. Possiamo chiamare questa interazione “educazione”.
    L’analisi del processo educativo dovrebbe svolgersi considerando, nell’ordine indicato, questi tre ambiti.
    L’educazione deve cominciare in famiglia già durante la gravidanza e nei primi 3 anni di vita del bambino, periodo in cui, soprattutto, si sviluppano i collegamenti tra i neuroni (sinapsi ed assoni), che però si “fissano” soltanto a condizione che essi vengano stimolati dall’ambiente, cioè dall’educazione, altrimenti si atrofizzano.
    Questo ha un duplice effetto positivo: sulla personalità e sul livello intellettivo/etico/culturale. Questo obiettivo può essere molto più facilmente perseguito e raggiunto con un progetto educativo che ha come protagonista la famiglia, cioè in primo luogo la madre (e il padre), nella fascia d’età critica del bambino, cioè dalla gravidanza a 3 anni.
    Va da sé che la premessa indispensabile è la volontà del potere politico pro tempore di avere, anziché braccia da sfruttare e menti da manipolare e dominare, cittadini intelligenti, istruiti e sicuri di sé.
    Dettagli in: “Educazione dei figli, in famiglia, dalla gravidanza a tre anni”.

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