La Giornata mondiale dell’acqua dà l’occasione per fare il punto della situazione sullo stato del settore idrico in Italia. Dal miglioramento della qualità delle reti all’aumento degli investimenti, il sistema di gestione dell’acqua si è messo in moto.
Lo stato del settore
La Giornata mondiale dell’acqua 2017 è stata celebrata il 22 marzo con meno fasti e meno enfasi del solito, almeno in Italia. I media ne hanno parlato a stento. Non è necessariamente un male: dopo la stagione delle grandi passioni, siamo riusciti a metterci finalmente al lavoro. Come ogni anno, l’Istat ha diffuso una brochure che presenta in modo sintetico alcuni dati estratti dal sistema statistico nazionale, dai quali emergono poche novità. L’Italia si conferma un paese ricco d’acqua, con un volume di risorse (deflussi annui) stabile, nonostante i primi allarmanti segni del cambiamento climatico, a cominciare dal ritiro dei ghiacciai. Anche grazie alla favorevole dotazione, il nostro paese è fra quelli che ne utilizzano di più, sia nell’ambito dei servizi civili che in quello degli usi agricoli. Lo stato di qualità delle nostre reti migliora, ma lentamente. Indicatori come le perdite di rete restano sostanzialmente stabili, così come la qualità percepita, misurata ad esempio dalle famiglie che denunciano disservizi e irregolarità, o da quelle che non si fidano a bere l’acqua del rubinetto. Le note più stonate arrivano, come sempre, dal settore della depurazione, benché i programmi di intervento abbiano affrontato buona parte delle criticità da cui si originano le ancora numerose procedure di infrazione comunitaria. Sul lato dei servizi idrici, seppur lentamente, qualcosa invece si muove. In febbraio è stata presentata la nuova edizione del “Bluebook”, che permette una capillare ricognizione delle grandezze tecniche ed economiche. Prosegue una tendenza alla concentrazione del settore: gli ambiti territoriali passano dai 93 del 2011 ai 64 attuali; il sistema di gestione è ormai costituito per l’82 per cento della popolazione. Il sistema è tuttavia ancora molto frammentato, con oltre duemila operatori censiti, anche se si tratta di un dato un po’ fuorviante, visto che la stragrande maggioranza operano in piccolissime realtà locali, magari sperdute tra le montagne, mentre il grosso del sistema si è ormai consolidato intorno ai gestori principali. Quasi metà del fatturato è infatti generato dal 5 per cento degli operatori.
Tariffe e investimenti
Esauriti i timidi tentativi di apertura al mercato, anche per effetto del referendum 2011, il sistema di gestione vede sempre più il dominio delle società cosiddette “in-house” (a totale controllo pubblico), le quali sono state protagoniste di qualche processo di consolidamento e fusione, integrando gradualmente le gestioni pubbliche all’interno dei vari territori. L’unico cambiamento di una certa rilevanza consiste nel passaggio al termine dell’affidamento della gestione di Reggio Emilia dalla quotata Irena una nuova società pubblica: annunciato e non ancora completato, per la verità, anche per le difficoltà incontrate nel passaggio di consegne. Emerge invece chiaramente il dualismo tra le realtà in grado di programmare e sostenere livelli di investimento adeguati e quelle che, vuoi per le ridotte dimensioni vuoi per l’incapacità di evolvere verso modelli industriali moderni, restano ancora sostanzialmente al palo. Cosicché, i valori medi risultano le classiche medie del pollo di trilussiana memoria. Le aziende facenti capo ai grandi gruppi delle multiutility quotate si dimostrano ancora quelle con la maggiore capacità di investimento, anche se la vera novità degli ultimi anni consiste nel fatto che molte gestioni in-house sono riuscite ad avviare piani di finanziamento strutturati e a lanciare finalmente i programmi di investimento per troppi anni rimasti al palo. In qualche caso si sono registrate novità interessanti sul piano dei modelli finanziari, anche attraverso l’utilizzo di strumenti innovativi come gli hydro-bond e i mini-bond. Certamente, a questi sviluppi non si sarebbe arrivati senza una politica tariffaria adeguata, della quale va dato merito all’Aeegsi (Autorità per l’energia, il gas e il sistema idrico). Tra l’altro, il Consiglio di Stato deve ancora pronunciare la sentenza definitiva in merito al ricorso che i sostenitori del referendum hanno intentato contro il metodo tariffario Aeegsi a partire dal 2012-2013: a questo punto una vittoria da parte dei ricorrenti appaia poco probabile, ma ciò costituisce un fattore di incertezza. In ogni caso, si investe sì un po’ più di prima, ma ancora troppo poco rispetto a quel che servirebbe. Nei piani dell’Aeegsi si vorrebbe arrivare ai 50 euro/anno per abitante – valore dal quale siamo ancora lontani, ma pian piano ci stiamo avvicinando – mentre nel resto d’Europa si investe il doppio. Ed è anche per questo che le nostre tariffe, pur essendo cresciute notevolmente negli ultimi anni e continuando a farlo, risultano ancora molto più basse. Gli italiani spendono in media circa 150 euro l’anno pro-capite, ma altrove i valori sono anche doppi o tripli. Insomma, pian piano, il sistema di gestione dell’acqua si mette in moto, non sempre e non dappertutto, ma i segnali positivi ci sono e autorizzano, se non ancora una generalizzata soddisfazione, almeno qualche speranza.
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Federico Leva
Interessanti i dati sulle aggregazioni.
Ricardo_D
Grazie Prof per far luce ( e ombre) sull’acqua in Italia. Le chiedo però qual è secondo lei la capacità di un settore così bisognoso di attrarre investimenti di farlo in pratica se neppure un rendimento sul capitale investito (e regolato) è considerato legittimo dai sostenitori della “acqua pubblica”, ch però ciecamente continuano a sostenere livelli di perdite nella diatribuzione da capogiro?? Sussidi incrociati? Trasferimenti dallo stato o enti locali? I mini/hydro bond mi sembrano ancora poca cosa. Ci indichi la strada!
Antonio Massarutto
In questo momento, con buona pace dei comitati referendari, la tariffa ammette non più la “remunerazione del capitale”, ma almeno il suo costo standard. E’ solo grazie a una politica tariffaria intelligente (come ho detto, teoricamente ancora esposta alla possibile bocciatura del Consiglio di Stato) che gli investimenti sono ripartiti, permettendo ai gestori di accedere al mercato. Strumenti finanziari come gli hydro-bond sottoscritti dalla BEI non sarebbero stati semplicemente possibili senza che la tariffa generi adeguati flussi di cassa. Il bond recentemente emesso da Metropolitana Milanese è un esempio: proprio grazie ad indicatori finanziari molto favorevoli (determinati dal piano tariffario), il bond è stato sottoscritto da BEI e può aspirare a godere della copertura del piano Juncker.
Giovanni
Non c’è contraddizione nel parlare di ombre riferendosi a “Gli italiani spendono in media circa 150 euro l’anno pro-capite, ma altrove i valori sono anche doppi o tripli” per poi dire che “Metropolitana Milanese è un esempio: proprio grazie ad indicatori finanziari molto favorevoli (determinati dal piano tariffario)”?
Dire che l’acqua ad un prezzo maggiore è cosa positiva non ha molto senso per la stragrande maggioranza degli italiani che la ricevono 24 ore su 24.
Non mi sembra poi che in un sistema privato l’utente in caso di disservizio o costi gonfiati dal proprio fornitore privato possa rivolgersi ad un inesistente concorrente!.