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Relazioni industriali, migliorarle per superare la crisi*

Il sistema delle relazioni industriali in Italia è percepito come eccessivamente conflittuale. Mentre invece il coinvolgimento delle parti sociali nelle decisioni più importanti può contribuire ad aumentare la consapevolezza di sfide e obiettivi comuni.

Perché la qualità è importante

Da quando, nel 2006, Olivier Blanchard e Thomas Philippon hanno cercato di stabilire un legame tra la qualità delle relazioni industriali e il livello di disoccupazione (trovando che quest’ultima sale al deteriorarsi della qualità dei rapporti), l’interesse sul tema è cresciuto. Lo stesso Blanchard con Florence Jaumotte e Prakash Loungani (2014), in una riflessione sulle politiche del Fondo monetario ha sostenuto che “la fiducia tra e nelle parti sociali sembra essere un fattore importante quanto le regole della negoziazione” per rendere il sistema capace di far fronte alle crisi. Il coordinamento tra le parti sociali, che sia l’Ocse (2012 e 2017) sia il Fondo monetario (2016) identificano come uno strumento chiave per aumentare la capacità del mercato del lavoro di far fronte a una crisi (la cosiddetta “resilienza”), richiede fiducia e relazioni industriali relativamente pacifiche e cooperative.

Misurare la qualità delle relazioni industriali non è quindi solo un esercizio accademico. Si tratta però di un elemento che non può essere misurato in maniera univoca e oggettiva, dunque è necessario ricorrere a vari indicatori, soggettivi e oggettivi.

Il numero di giorni persi per sciopero o serrate, seppur in discesa rispetto agli anni Novanta, rimane più alto in Italia che in altri paesi Ocse (figura 1). Un confronto adeguato usando questo indicatore è però limitato dalla scarsa comparabilità delle statistiche disponibili. Innanzitutto, il numero di giorni persi per sciopero dipende dal modo in cui le astensioni dal lavoro sono regolamentate a livello nazionale e quindi non riflettono il livello effettivo di conflitti sul posto di lavoro. Inoltre, le statistiche esistenti soffrono di notevoli differenze nella definizione e nella misurazione, che riducono notevolmente la comparabilità dei dati (per maggiori dettagli si veda l’allegato online all’Employment Outlook dell’Ocse che indica in dettaglio le fonti e il campo d’applicazione).

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Figura 1 – Numero di giorni persi per scioperi o serrate

Fonte: Vedere le note dettagliate della figura 4.8 nell’Employment Outlook 2017.

La figura 2 (pannello A) mostra il grado di collaborazione nelle relazioni industriali secondo l’opinione dei manager usando i dati del Global Competitiveness Index del World Economic Forum. Tra i paesi Ocse, l’Italia è quello in cui le relazioni industriali sono percepite come le più conflittuali, con un leggero peggioramento negli ultimi anni. La fiducia che i cittadini ripongono nei sindacati secondo Eurobarometro (figura 2, pannello B) è più alta, ma pur sempre sotto la media Ocse.

Figura 2 – Qualità delle relazioni industriali

A. Cooperazione nei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro secondo il senior management

B. Fiducia nei sindacati tra la popolazione totale

Fonte: Vedere le note dettagliate della figura 4.9 nell’Employment Outlook 2017.

Il livello di cooperazione e di fiducia tra e nelle parti sociali è il risultato di decenni di storia e cicli di negoziazioni. Nonostante la sua importanza per l’andamento dei mercati del lavoro nazionali non è qualcosa che possa essere riformato per legge. Tuttavia, il legislatore e le parti sociali hanno qualche strumento a disposizione per provare a migliorare il clima generale. L’evidenza accademica al riguardo è molto scarsa (si veda John Addison, 2016 per un riassunto), ma è probabile che alcune delle caratteristiche dei sistemi di contrattazione collettiva possano aiutare a promuovere relazioni più cooperative. Per esempio, parti sociali frammentate e poco rappresentative sono probabilmente meno inclusive e aumentano il livello di conflitto. Pertanto, promuovere la cooperazione tra le parti sociali (o perlomeno non incentivare la concorrenza eccessiva) potrebbe avere un effetto positivo sulla qualità delle relazioni lavorative. Così come garantire la rappresentatività delle parti sociali che possono negoziare un accordo valido per tutti. Incentivi per una rinegoziazione regolare dei contratti possono rafforzare la fiducia, a meno che non impongano la conclusione di un accordo quando in realtà non esiste la volontà condivisa per raggiungerlo. Meccanismi per assicurare l’attuazione effettiva dei termini degli accordi collettivi e la loro esigibilità sono poi fondamentali per responsabilizzare le parti sociali e quindi aumentare la fiducia reciproca. Più in generale, un coinvolgimento, ma non un diritto di veto, delle parti sociali nelle decisioni più importanti delle imprese, di un settore o del paese possono contribuire ad aumentare la consapevolezza delle sfide e degli obiettivi comuni e rafforzare la fiducia e la cooperazione. Infine, un organismo indipendente per mediare e risolvere i disaccordi, come previsto nei paesi scandinavi, potrebbe aiutare a migliorare le relazioni di lavoro e, in alcuni casi, alleggerire il lavoro dei tribunali.

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In conclusione dei tre articoli sulla contrattazione collettiva in Italia a partire dall’analisi dell’Employment Outlook 2017 dell’Ocse, possiamo concludere che pur con parti sociali ancora relativamente forti, almeno rispetto ad altri paesi, il sistema è percepito come eccessivamente conflittuale e la quota di lavoratori di fatto non coperti piuttosto elevata. Ridiscutere le regole della contrattazione non sembra più rinviabile, nell’interesse di imprese e lavoratori.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente all’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’Ocse o degli stati membri.

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Jobs act: incentivi finiti e giovani ancora precari

  1. Marcomassimo

    Più che migliorare le relazioni industriali dovrebbero semplicemente aumentare i salari della gente comune; altro che Quantitative Easing, la crisi passerebbe all’istante e la crescita schizzerebbe; è rimasto solo Draghi a fare il sindacalista e a dire che se i salari non crescono si resterà sempre al palo

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