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Perché i salari non crescono*

I salari non hanno ancora recuperato i livelli pre-crisi. I motivi sono strutturali e la risposta è in una strategia incentrata su competenze e apprendimento durante tutta la vita lavorativa. Affiancata da politiche attive e di supporto al reddito.

I salari prima e dopo la crisi

Quasi dieci anni dopo il fallimento di Lehman Brothers, il mercato del lavoro dei paesi Ocse è finalmente tornato ai livelli pre-crisi. All’appello mancano solo i salari. Con disoccupazione in forte calo – e in alcuni paesi a livelli mai così bassi – dovremmo osservare un aumento della pressione salariale. Invece, anche al netto dell’inflazione più bassa, la crescita dei salari reali è molto lontana dalle tendenze pre-crisi: l’aumento medio annuo dei salari reali nell’area Ocse è passato dal 2,4 per cento del quarto trimestre 2007 all’1,5 per cento medio del quarto trimestre 2017 (media non ponderata dei 29 paesi Ocse per i quali esistono dati comparabili, figura 1).

Figura 1– Tasso di disoccupazione e crescita dei salari reali prima, durante e dopo la crisi

Fonte: Elaborazione Ocse sulla base dei conti nazionali trimestrali e Oecd Short-Term Labour Market Statistics Database.

Perché? L’Employment Outlook Ocse di quest’anno identifica tre fattori chiave che frenano la crescita dei salari.

Produttività stagnante e disallineamento tra produttività e salari

La crescita della produttività del lavoro (qui misurata come Pil per ora lavorata) è crollata durante la crisi, ma anche ora rimane intorno all’1 per cento, circa la metà di quella pre-crisi (figura 2). In Italia, in realtà, la stagnazione della produttività – cominciata oltre 15 anni fa – sembra continuare anche nella lenta fase di ripresa economica.

Figura 2– Produttività del lavoro oraria prima, durante e dopo la crisi

Fonte: Ocse (2018), Oecd Employment Outlook, Oecd Publishing, Parigi

Dietro questi numeri poco incoraggianti, ci sono però forti differenze tra imprese “leader” in termini di produttività (spesso all’avanguardia tecnologica) e le altre aziende “ritardatarie”, che non sono state in grado di tenere il passo (figura 3).

Nelle imprese “ritardatarie” la crescita della produttività del lavoro è stata estremamente lenta e ciò ha creato un freno maggiore alla loro capacità di aumentare le retribuzioni dei lavoratori. Nelle aziende leader, la crescita della produttività del lavoro è stata molto sostenuta, ma i salari dei loro lavoratori non ne hanno beneficiato appieno. Queste imprese sono a forte intensità di capitale e la riallocazione delle quote di mercato a loro vantaggio tende a comprimere la parte dei salari nel valore aggiunto a livello aggregato. In media, tra i paesi Ocse, se la crescita dei salari mediani reali avesse seguito da vicino quella della produttività nel periodo 1995-2013, i salari medi reali sarebbero stati superiori del 13 per cento.

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Figura 3– Produttività del lavoro in aziende leader nei paesi OCSE rispetto alle altre

Fonte: Ocse (2018), Oecd Employment Outlook, Oecd Publishing, Parigi.

Cambiamento della domanda di competenze

La crisi globale ha anche accelerato cambiamenti strutturali già in atto e legati alla globalizzazione e al cambiamento tecnologico. Questi cambiamenti tendono ad aumentare la domanda di lavoratori altamente qualificati, con una riduzione della domanda di lavoratori con competenze intermedie in attività di routine. Molti dei posti di lavoro persi durante la grande recessione non sono stati ricreati nella fase di ripresa economica e i nuovi posti di lavoro che si creano spesso richiedono competenze diverse, in particolare digitali e trasversali, che molti disoccupati non hanno. Secondo i dati dell’inchiesta sulle competenze degli adulti dell’Ocse (Piaac), un adulto su quattro non ha nemmeno le competenze base nell’elaborazione delle informazioni (figura 4).

Figura 4– Percentuale di adulti che non ha le competenze base per risolvere problemi in un ambiente tecnologico

Fonte: Elaborazione Ocse su dati Piacc.

I persone in cerca di lavoro accettano lavori meno retribuiti

Un terzo fattore è la qualità di tanti dei nuovi posti di lavoro. Molte persone in cerca di lavoro hanno accettato occupazioni non in linea con le proprie aspettative, specialmente con l’esaurimento dei sussidi di disoccupazione. In particolare, si registra un aumento del lavoro part-time involontario in molti paesi Ocse, tra cui l’Italia dove è più che raddoppiato nell’ultimo decennio, sfiorando il 14 per cento degli occupati. I lavoratori con contratti part-time hanno avuto dinamiche salariali più contenute di quelli con contratti a tempo pieno, contribuendo a frenare ulteriormente la crescita salariale (figura 5).

Figura 5 –Crescita annualizzata dei salari orari tra il 2006 e il 2014 totale e per dipendenti a tempo pieno

Fonte: Ocse (2018), Oecd Employment Outlook, Oecd Publishing, Parigi.

Cosa si può fare?

La crisi ha acuito tendenze già in corso da diversi anni. Per farvi fronte, è necessario elaborare una risposta articolata ed efficace e se possibile condivisa con le parti sociali. Una strategia che metta al centro le competenze e l’apprendimento durante tutta la vita lavorativa e coadiuvata da politiche attive del lavoro e di supporto al reddito. Per l’Italia, in particolare, la creazione dell’Anpal (Agenzia nazionale politiche attive lavoro) è stata un passo importante, ma il lavoro è appena cominciato e non va fermato. È necessario assicurare uno stretto coordinamento con le regioni e dotare i centri per l’impiego di personale adeguato e con strumenti di profilazione per poter gestire l’alto numero di persone in cerca di lavoro. Va anche sviluppata una strategia d’intervento precoce per favorire il rapido reinserimento lavorativo: chi perde il lavoro deve potersi registrare al centro per l’impiego appena ricevuta la notifica di licenziamento, anche prima della fine del contratto per velocizzare al massimo il reinserimento. Questa strategia sarà più facilmente attuabile se l’erogazione del sussidio di disoccupazione, un’altra novità importante del Jobs act, sarà legata all’avvenuta registrazione e a una ricerca attiva di un nuovo posto di lavoro.

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* Le opinioni espresse non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.

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  1. giuseppe

    non ho capito perché non aumentano i salari nelle aziende leader. lo potete spiegare in maniera più comprensibile per i non addetti? grazie

    • Piero

      Perchè le aziende grandi han economie di scala e di rete e di esperienza e di delocalizzazione e di innovazione (e di lobbying verso i regolatori nazionali). Ma in questa analisi manca una cosa molto grossa: la Produttività CUMULATA (ovvero: NON la VARIAZIONE di anno in anno che tutti citano sempre nei vari studi) nei paesi sviluppati è CRESCIUTA molto anche negli ultimi 30 anni, però si è aperto un Gap enorme con i Salari a causa di molti fattori (accelerazione tech sostituisce lavoro, globalizzazione amplia esercito di lavoratori a basso costo sostituibili, distruzione dei sindacati e del potere negoziale, flessibilizzazione cioè precarizzazione di massa per es MiniJob in Germania o WorkingPoors in Us dove dipendenti WallMart accedono a sussisi pubblici x integrare). Da questo Gap Strutturale nascono i vari cosî detti Populismi AntiElite (Trump, Brexit, LegaM5S, Afd, Lepen, Destra Austriaca, etc). Purtroppo impoverimento / inequality delle masse in occidente aumenterà ancora: ed aumenteranno pure Debiti Mondiali x finanziar Domanda Senza Salari. Ed a catena aumenteranno anche i Qe x evitar Default Sistemici (dopo un Panico da Tappering) e rallentare un poco la Deflazione Salariale.

  2. Savino

    Storicamente, i salari non crescono più a partire dalla sottoscrizione, in concertazione, del protocollo che revisionava la politica dei redditi nel 1993. Almeno, gli effetti si sono cominciati a vedere allora, mentre, ad occhio nudo, erano stati meno visibili, nel decennio precedente, gli effetti dell’abolizione della scala mobile.
    Fatto salvo ciò, è chiaro che la questione produttività è decisiva come, di conseguenza, assumono rilievo l’incapacità del nostro sistema di formazione di far crescere maestranze qualificate, l’orientamento spesso distrorto da altre dinamiche dei selezionatori all’atto di scegliere le HR, la carenza di etica del lavoro nel nostro Paese, in grado di trasmettere ai giovani i valori propri del fattore lavoro, la sostanziale inesistenza di politiche attive e di orientamento.

  3. Giuseppe GB Cattaneo

    Scusatemi ma non capisco. L’argomento dell’articolo sono i salari che non aumentano e le considerazioni finali dell’articolo riguardano il jobs act. c’è qualcosa che non quadra

  4. Ulrico Reali

    Il sistema Italia è in recessione. Arrestare la recessione, si può!
    Per arrestarla, ci vogliono buoni binari. Il sistema Italia non ne ha!
    Dei buoni binari, si! Ma fatti con una lega di metalli europei, non con della ferraglia italiana.
    Dunque è urgente iniziare una riflessione seria (non di destre e sinistra), su come le istituzioni possano imparare la gestione corretta (quella coi risultati, senza le chiacchiere).
    Senza una riflessione seria (a livello europeo), niente binari di buona lega.
    Senza binari di buona lega, alcune cose rischiano di aumentare: la povertà, la cassa integrazione, l’insicurezza, gli obiettivi mancati.

    Dio ride degli uomini che si lamentano di eventi, le cui cause essi stessi continuano a promuovere (Bossuet).

    Sviluppo. Non c’è sviluppo o sottosviluppo. Ci sono comportamenti che impediscono o che favoriscono lo sviluppo economico. Essi sono inegualmente distribuiti nelle diverse società.
    (Peyrefitte, “La Société de Confiance”).

    La cultura di molti Paesi europei ha come base i due valori: Efficienza, Risultati. La cultura italiana ha scelto da tempo come sue basi i valori: Estetica, Teatro (azioni e risultati contano poco).
    (un’Italiano che ha scelto l’Europa).
    Il Kaos, che sta fuori la porta di casa Italia, ha usato questa strategia per inpossessarsi del Bel Paese. Ha inviato i suoi generali a sobillare, per preparare il suo ingresso, in giro per l’Italia.

  5. Michele

    Il job act ha fatto quasi nulla sul sussidio di disoccupazione. Il vero sussidio di disoccupazione è il reddito di cittadinanza, che questioni nominalistiche a parte, ci avvicina davvero all’Europa, dove meccanismi simili esistono da sempre.

  6. Michele

    I salari non aumentano per un unico e semplice motivo: la continua e pervicace precarizzazione del lavoro ha pesantemente ridotto il potere contrattuale dei lavoratori. Se l’ideologia imperante è meglio un lavoro disgraziato piuttosto che niente, ci si meraviglia che i salari non crescano? Per quanto riguarda poi le politiche attive del lavoro il rischio è di creare l’ennesimo carrozzone inutile, ottimo solo a far guadagnare i privati. La qualità della scuola – vera e più importante politica del lavoro – viene invece da anni e anni penalizzata.

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