Una eventuale crisi italiana sarebbe diversa da quelle di Turchia e Argentina? Le cause profonde sarebbero simili: debito altissimo e sfiducia dei mercati. La differenza sostanziale è che all’Italia basta rispettare le regole per scongiurare il peggio.
Scenario (ipotetico) di crisi
Dopo le crisi dell’ultimo mese prima in Turchia e poi in Argentina, molti analisti e commentatori internazionali ritengono che l’Italia sia uno degli anelli più deboli del sistema finanziario internazionale.
Certamente, vi sono anche altre preoccupazioni che innervosiscono gli operatori finanziari, dalle guerre commerciali scatenate dall’amministrazione Trump all’alto livello di debito pubblico e privato accumulato in molti paesi, alla risalita dei tassi d’interesse americani (che potrebbe far scivolare le borse internazionali, dopo un periodo di crescita eccezionalmente lungo, e mettere in difficoltà molti paesi emergenti). Tuttavia, l’attenzione nei confronti del nostro paese rimane molto alta e la crescita dello spread sul debito pubblico italiano verificatasi a partire dalla formazione del governo Lega-Movimento 5 stelle ne è il termometro più evidente.
Ma come potrebbe svilupparsi una crisi in Italia? E cosa la differenzierebbe da quelle appena esplose in Turchia e Argentina?
Se una crisi italiana dovesse verificarsi, è molto probabile che, come scrisse Rudi Dornbusch trenta anni fa, come qualsiasi altra crisi finanziaria impiegherebbe più tempo di quanto si potesse pensare ad arrivare, ma poi accadrebbe molto più velocemente di quanto si potesse immaginare.
La causa scatenante potrebbe essere un evento quasi insignificante, ma le ragioni profonde, come per Turchia e Argentina, andrebbero ricercate nella sfiducia da parte dei mercati nelle politiche del governo, unita a un alto e incontrollato debito (pubblico per Italia e Argentina, privato per la Turchia). D’altra parte, il governo Lega-M5s ha fatto di tutto per mostrare il proprio disprezzo per le forze di mercato (dall’anelito alle nazionalizzazioni, al cosiddetto “decreto dignità”) e per i paesi occidentali – e in particolare per l’Europa, culla del capitalismo nonché nostro principale partner economico e finanziario. La regola del 3 per cento di deficit pubblico, poi, sarà pure stupida in condizioni normali ma è vitale per uno paese con un debito fuori controllo da trent’anni.
Tuttavia, l’Italia, a differenza della Turchia e della Argentina, non ha una sua moneta ma condivide l’euro con i partner europei. Quindi, in questo ipotetico scenario, il mercato valutario non sarebbe l’epicentro della crisi di sfiducia né si assisterebbe al classico circolo vizioso tra prezzi e cambi. La crisi in Italia potrebbe scoppiare qualora una qualsiasi asta sul debito andasse, anche solo parzialmente, non sottoscritta.
Anche in questo caso, però, le banche sarebbero l’anello debole e il canale di trasmissione degli shock. La loro raccolta si prosciugherebbe rapidamente e il suo costo aumenterebbe sostanzialmente. Oltre un certo livello, anche la Banca centrale europea avrebbe problemi a rifinanziarle. Non a caso negli ultimi tre mesi gli istituti di credito italiani, tanto dileggiati dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, hanno perso oltre un terzo del loro valore in borsa.
Gli effetti della carenza di liquidità e gli alti tassi d’interesse che imprese e famiglie dovrebbero pagare (e già oggi in parte pagano) insieme all’incertezza che si abbatterebbe sul sistema ridurrebbero significativamente gli investimenti, la domanda interna e il Pil. Ciò creerebbe un altro circolo vizioso tipico di tutte le crisi: alti tassi d’interesse riducono il Pil, aumentano il debito, che a sua volta richiede tassi più alti e maggiori tasse per essere finanziato.
Solo una ristrutturazione del debito pubblico e un salvataggio del sistema bancario potrebbero interrompere la catena. Il fatto di avere gran parte del debito pubblico e privato denominato in valuta nazionale (a differenza del caso turco e argentino) attenuerebbe gli effetti perversi sui debitori. Tuttavia, la moneta unica non permetterebbe neppure di ottenere temporanei guadagni di competitività, che dovrebbero essere affidati interamente a una compressione dei salari nominali. I cittadini più poveri, che i governi populisti dicono di voler rappresentare e tutelare, sarebbero quelli che pagherebbero il prezzo più alto in termini di maggiori tasse, minori redditi e distruzione dei risparmi di una vita. I costi sarebbero ancora maggiori se a un certo punto l’Italia volesse o dovesse abbandonare la moneta europea.
Ovviamente, la speculazione internazionale, le élite finanziarie e le società di rating verrebbero accusate di volar affondare il governo liberamente eletto dai cittadini e un grande disegno di riscatto nazionale. È già successo in Turchia.
La soluzione? Rispettare le regole
Nel caso italiano, però, tutto questo può ancora essere evitato, non tanto negoziando furiosamente maggiori margini di flessibilità con l’Europa, ma rispettando le regole del mercato e i suoi principali protagonisti, sia privati che pubblici. Ciò non vuol dire che i mercati non debbano essere severamente regolati o che nei confronti dei nostri partner si debba avere un atteggiamento di subalternità, ma il rispetto delle leggi, economiche e non, è essenziale.
Il regime del terrore e della ghigliottina forse permette di governare per qualche tempo, ma ha sempre portato solo povertà e miseria.
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Cicci Capucci
Mi viene da pensare che le esternazioni di Cladio Borghi, che ha un passato di trader e vive dei proventi realizzati nella speculazione finanziaria, gli siano servite per speculare sullo spread e sul tonfo del MIB. Consob andrà a investigare i suoi movimenti pecuniari?
bruno puricelli
Egr. Prof., e….. se utilizzassimo un mezzo di pagamento creato ad hoc per la circolazione parziale in Italia riducendo l’ammontare dei finanziamenti da richiedere al mercato? Se, ad esempio, noi cittadini italiani ponessimo un certo quantitativo del nostro patrimonio privato in una botte, emettessimo della carta rappresentativa e di egual valore non saremmo risparmieremmo emissioni di BTP risparmiando inteessi e riducendo di qualche p.b. il rateo.
Non sarebbe una seconda moneta e noi la utilizzaremmo perchè rappresentativa di parte del nostro patrimonio. Cosa ne pensa?
Giorgio
Non so cone ne pensi il prof. Hamaui, ma personalmente investirei in Bund…
Paolo Pettenati
Sono d’accordo che all’Italia basterebbe rispettare le regole del mercato per ridurre, se non proprio evitare, i rischi di una crisi finanziaria come quella del 2011 o come quelle in corso in Argentina, Venezuela e Turchia. In particolare, il rapporto deficit/PIL dovrebbe restare sotto il 2% per consentire una caduta a medio-lungo termine del rapporto debito/PIL. Questa politica assicurerebbe allo Stato consistenti risparmi nella spesa per interessi sui titoli del debito pubblico. Tale spesa è stata nel 2017 di 66 miliardi di euro, ossia poco meno del 3% dello stock di debito pubblico. Negli ultimi tre anni, se si escludono i recenti rincari, il costo medio annuale all’emissione dei titoli del Tesoro è sceso invece sotto l’1%. Se questo tasso venisse confermato anche in futuro, la spesa per interessi scenderebbe nello spazio di sei-sette anni a circa 25 miliardi di euro (appunto 1% di un debito stimato a 2.500 miliardi). Il risparmio annuale dello Stato sarebbe quindi di circa 40 miliardi, da destinare agli investimenti pubblici o ad altre spese (o sgravi fiscali) per il rilancio della produttività e quindi delle esportazioni. Al contrario, il mancato rispetto del vincolo del 2% porterebbe alla crescita della spesa per interessi (che era di 86 miliardi nel 2012). La crisi finanziaria diventerebbe quindi inevitabile. A differenza del 2011, l’Italia però non sarebbe più in compagnia dei PIGS, che nel frattempo, a parte la Grecia, si sono messi in sicurezza.
Gabriele Biondo
La sua analisi è corretta. Il problema è che quello che lei dice lo capiscono in pochi. La maggioranza degli italioti, e dico italioti in senso dispregiativo, sono persone completamente ignoranti in mataria economico/finanziarie. E su questa ignoranza il duo Salvini-Di Maio, ci ha speculato con proposte assurde contrarie alla sua, che sono da buon padre di famiglia: distribuiamo soldi un po’ a tutti con Flax tax per chi ha redditi alti, reddito cittadinanza per chi non lavora, ci mettiamo anche migliaia di pensionati in più abolendo la Fornero, ed il gioco è fatto. E tutto questo a debito! Ora però il duo ha già fatto dietro front, dicendo che faremo tutto in 5 anni e rispetteremo le regole. Sono le uniche frasi intelligenti dette negli ultimi 5 mesi. Il problema dell’Italia sono i suoi cittadini, sciocchi, stolti e creduloni. Pensano davvero che a pagare il debito che abbiamo siano sempre gli altri. Ed hanno creduto ai pifferai magici. Forse cadranno nel burrone. Politici seri, di qualsiasi colore, dovrebbere leggere a tutti i cittadini quanto scritto nell’articolo dal Prof. Rony Hamaui, perché riguarda tutti noi, altro che fare promesse. La cosa grave è’ che il politico serio che non promette la luna non prende i voti! I voti li prendono i pifferai magici. Qquesta non è più democrazia, la democrazia vera ha bisogno di politici seri, e cittadini non ignoranti.
Henri Schmit
Sono pienamente d’accordo con l’autore e con i commentatori, a parte l’accusa rivolta al popolo ignorante. Non che lo reputi più sapiente di quello che è, ma penso che la colpa non sia della gente anonima e indifesa bensì degli attori politici, non solo di quelli che ora ci stanno preparando il prossimo disastro nazionale (che sta facendo tremare gli studiosi più attenti nei bar paesi dell’euro-zona), ma anche dei loro predecessori che hanno abolito l’imu e distribuito l’elemosina alle loro clientele elettorali, provvisoriamente coperti dal non proprio austero QE. È anche colpa degli esperti che invece di fare discorsi responsabili pontificano di flat tax e altre chimere e vanità. Ascolto conferenze online di professori tedeschi estremamente critici di quello che da due anni si sta preparando, perché molto preoccupati. Hanno capito che l’Italia to big to fail può facilmente ricattare gli altri stati, ora con il nuovo corso in modo più spavaldo di prima. Non ci crede più nessuno che l’Italia possa essere riformata per meritarsi la sua permanenza nell’euro. E nessuno vorrebbe pagare il costo delle politiche fiscali demagogiche sempre più folli. Non esiste alcuna procedura di uscita temporanea che permetta ad un paese recalcitrante (che rifiuta o non è in grado di implementare politiche “convergenti”) di uscire, svalutare, incassare tutte le minusvalenze e impoverimenti che questo comporta, adottare misure a favore della competitività e rientrare a valori più convenienti.
Henri Schmit
Preciso: Perché i professori criticoni tedeschi contestano il progetti di riforma dell’UE da due anni e non solo da quando si è insediato il nuovo governo italiano? Loro criticano il progetto di riforma del presidente francese che tutto sommato prefigura una maggiore integrazione e quindi prima o poi qualche trasferimento di responsabilità fiscale. L’Italia per assurdo contribuisce ad affondare il miglior difensore dei suoi interessi. L’attuale governo sta dando il colpo di grazia a questo sogno comunitario, non più realistico. La sovranità implica in primis la responsabilità per il proprio debito. Il modello saranno gli stati uniti e i cantoni e comuni svizzeri non coperti da alcuna garanzia federale. Pagano, perdono i creditori.