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Ma il bilancio dello stato non è teatro dell’arte*

Nessuno impedisce al governo di realizzare tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale. Basta ridurre altre spese o aumentare altre imposte. L’idea del finanziamento in deficit è invece pessima. E un conflitto con l’Europa avrebbe gravi conseguenze.

Le illusioni sul deficit

La discussione sulla legge di bilancio a cui stiamo assistendo in questi giorni ha qualcosa di paradossale. Il conflitto è tra le forze di governo, che cercano risorse per finanziare le promesse fatte durante la campagna elettorale, e il ministero dell’Economia e delle Finanze, che viceversa ha il compito istituzionale di mantenere sotto controllo l’evoluzione dei conti pubblici. Da parte dei Cinque stelle, si minacciano addirittura epurazioni nei confronti dei funzionari del ministero, colpevoli di non voler trovare, si immagina per pura cattiveria, i soldi che servono. Nel mezzo la Commissione europea, principale responsabile dei vincoli di bilancio che il Mef cerca di rispettare. Il tema generale è che i cattivi tecnici, non eletti da nessuno, si contrappongono ai buoni governanti, che in una democrazia hanno il diritto/dovere di applicare quanto votato dagli elettori.
È una rappresentazione caricaturale, per più ragioni. In primo luogo, nessuno impedisce al governo di rispettare in tutto o in parte quanto promesso. Per far quadrare i conti, basta trovare coperture adeguate, cioè ridurre altre spese o aumentare altre imposte. Per esempio, nessuno vieta all’esecutivo di recuperare risorse reintroducendo l’imposta sulla prima casa, sfoltendo le spese fiscali che riducono le basi imponibile dei principali tributi, rivedendo l’articolazione delle aliquote Iva, incidendo più pesantemente sull’evasione fiscale e così via. Se non lo fa, è perché teme di perdere consenso. Ma se la coperta è corta, si devono per forza fare delle scelte e precisamente in questo consiste la responsabilità di governo.

Invece, si pensa di poter finanziare l’eccesso di spese in deficit, nell’illusione che spendere in disavanzo non comporti alcun costo, o almeno nessun costo percettibile dagli elettori. Ma questo è falso. Intanto, anche se ciò non determinasse ulteriori scossoni sui tassi di interesse, maggior deficit significa comunque maggiori tasse da pagare in futuro da parte dei contribuenti. La possibilità che ulteriori spese (o riduzioni di imposte) si finanzino da sole con una più alta crescita è in genere un’illusione, difendibile solo per alcune tipologie di spesa (per esempio, quelle di investimento) e in determinate condizioni (forte carenza di domanda aggregata).
Del resto, il fatto che tra i paesi dell’euro siamo contemporaneamente quello con il più alto debito pubblico sul Pil e con la più bassa crescita, dovrebbe suggerire qualcosa sul legame immaginato tra deficit e crescita economica.

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Pericoli di un conflitto con l’Europa

In più, la situazione finanziaria italiana resta fragile, come mostrano gli effetti sullo spread di ogni dichiarazione improvvida dei governanti. Con un rapporto debito su Pil del 130 per cento, ogni incremento nei tassi di interesse comporta automaticamente oneri pesanti sul bilancio pubblico, e in realtà anche sull’economia reale, perché i tassi a cui si finanzia lo stato influenzano anche quelli a cui si finanziano le banche e, di conseguenza, imprese e famiglie. Una perdita di fiducia da parte degli investitori nazionali o esteri sulla capacità dello stato di ripagare il proprio debito può dunque avere gravi conseguenza.
Da questo punto di vista, andrebbe anche riconsiderato il rapporto con la Commissione europea. Il punto non è il decimale in più o in meno del rapporto disavanzo Pil per il 2019. Il punto è invece l’inferenza che gli investitori potrebbero trarre da un eventuale conflitto con l’Europa. L’Italia è già per molti aspetti inadempiente verso le regole europee che ha più volte ripetuto di voler rispettare, l’ultima volta nelle conclusioni del Consiglio europeo di luglio, firmate dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Se comunque l’Italia è stata trovata finora adempiente è perché la Commissione ha considerato valide le obiezioni del nostro paese su una situazione economica ancora fragile e tale da non consentire i rapidi consolidamenti dei conti previsti dalle regole, ma solo un approccio più graduale.

Accordarsi con l’Europa sulle poste di bilancio significa dunque rimanere all’interno del quadro protettivo steso dalle istituzioni europee nei confronti dei nostri conti pubblici. Si tratta in sostanza, di una forma di assicurazione per gli investitori privati. Varare una manovra finanziaria in contrasto con l’Europa, viceversa, rappresenterebbe un segnale negativo che si rifletterebbe immediatamente sullo spread e sulla percezione della sostenibilità nel nostro debito, danneggiando l’azione delle stesse forze di governo. Merita rifletterci seriamente.

* Massimo Bordignon è membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.

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25 commenti

  1. Henri Schmit

    Condivido l’analisi dell’autore spostando però leggermente l’accento: Penso che il vero limite, l’ostacolo più irremovibile dell’azione del governo non sia la Commissione ma il mercato, cioè la realtà e l’interpretazione della realtà presente e futura dai grandi investitori istituzionali. Nella realtà non ci sono regole assolute, tutto si gioca sulla credibilità, un concetto molto impegnativo.

  2. Savino

    Il motivo valido per cui i due vicepremier e il portavoce del premier devono andare a casa è perchè devono andare a studiare, devono mettersi sui libri di economia politica, di politica economica, di ragioneria pubblica e di ogni branca del diritto. Poi, possono chiedere il consenso popolare ed, eventualmente, provare a governare l’Italia. Il fatto che solo in questi giorni Di Maio si accorga della mera esistenza di un apparato burocratico pubblico, mentre fino all’altro ieri diceva che per trovare le coperture alla manovra bastava approvare 9 paginette di sprechi in massimo 20 minuti di CDM, la dice lunga. La classe politica ha il dovere di presentarsi preparata adeguatamente e dignitosamente, onde evitare conflitti coi collaboratori tecnici e magre figure all’esterno. Occorre, inoltre, la consapevolezza piena del fatto che le scelte che si compiono sono decisive e vitali per i propri concittadini, sicchè se si dice che si fa deficit, si deve essere ben consapevoli da manifestare a tutti che quel deficit lo pagano le future generazioni per farci vivere nel lusso e nell’agio oggi. Così a Taranto, se si sceglie di prediligere il lavoro all’ambiente lo si fa e lo si spiega con la trasparenza di cui m5s si è riempita finora la bocca. Insomma, forse possiamo dire che peggio del guaio gialloverde forse vi era un monocolore giallo con Di Maio premier e l’indecisione dei tanti Toninelli o Appendino sparsi per l’Italia.

  3. Giacomo

    Il discorso sullo spread è ineccepibile, mentre sarebbe utile integrare perché Macron può fare deficit, Renzi poteva fare deficit e ne ha fatto, mentre a Conte la Commissione chiede di chiudere i cordoni della borsa.

    • Andrea A.

      Riguardo alla Francia si può osservare che hanno tassi di interesse che sono una frazione dei nostri, ma comunque peggio per loro. A Renzi comunque il deficit hanno chiesto di ridurlo pian piano, condivido però che però sarebbero dovuti essere più severi. E’ comunque triste vedere che, talvolta, la commissione europea sembra l’unica a difendere gli interessi di tutti quegli italiani, che, non essendo così vicini all’altra vita, dovranno ripagare il deficit (che sia di Renzi o di Conte) con gli interessi.

    • Jacopo

      Se ha letto i giornali di oggi e non si è limitato alle dichiarazioni fuorvianti degli attuali membri del governo, è stato chiarito che il disavanzo nominale del 2,8 per cento della Francia è dovuto in realtà ad alcune una-tantum derivanti da effetti contabili. In termini strutturali, la Francia migliora di 0,3 punti percentuali sostanzialmente in linea con le regole UE. Se l’Italia farà un disavanzo nominale maggiore di 1,6 per cento come ormai sembra certo peggiorerà il suo saldo strutturale invece di migliorarlo. Quindi la Francia farà più di noi nonostante abbia un debito e soprattutto un rapporto debito/PIL molto inferiore al nostro. Questa è la realtà. E poi consiglierei di smetterla con questi piagnistei che gli altri sono sempre trattati meglio di noi o altre storie del genere; rimbocchiamoci le maniche e facciamo vedere ai partner cosa siamo in grado di fare senza regalie, ulteriori debitipubblici o elemosine. Suvvia un po’ di dignità.

  4. Stefano Asteri

    L’articolo del Prof. Bordignon rappresenta in modo obiettivo il dilemma della situazione italiana e più in generale dell’Europa. L’Italia non rispetta il requisito del rapporto debito pubblico/PIL (60%), mentre da anni rispettiamo il requisito deficit/PIL (3%) grazie ai nostri avanzi primari (+1,9%) compensati purtroppo dalla spesa interessi (3,8% PIL). Di fatto stiamo già contraendo da anni la nostra spesa pubblica, ma purtroppo il fattore rilevante (il tasso di interesse) non è soggetto al nostro controllo, né possiamo contare sulla BCE che da mandato UE non difende gli Stati da speculazioni sui tassi, ma solo dal rischio inflazione (che tenderei ad escludere in fase di crisi). I passati governi hanno seguito la ricetta europea (rinviando il tema del debito pubblico) prevedendo misure a favore dell’offerta coperte da nuove tasse o tagli di spesa. Il risultato è stato che il PIL è cresciuto in modo modesto ed il debito continuato a salire. Peraltro segnalo che nel 1999 la Francia aveva un rapporto debito/PIl del 58% mentre l’Italia del 110%, mentre oggi loro sono al 96% mentre noi siamo al 130%. Direi che l’incremento più rilevante rispetto al 1999 lo ha avuto la Francia (+66%) non l’Italia (+21%). Questo Governo sta provando a far capire all’UE che rispettando le regole europee non possiamo avere una crescita del PIL sufficiente a garantire la sostenibilità del debito (falliremo comunque prima o poi). Quindi o ci fanno fare deficit oppure la BCE deve cambiare il mandato.

    • Aram Megighian

      Chiedo scusa, ma non mi sembra che il Prof Bordignon abbia obiettivamente parlato di dilemma. “Dilemma” vuol dire incapacità di scegliere tra due opzioni ugualmente accettabili (dal greco). Qui di dilemma c’è ben poco, visto che spendere di più (spendere in deficit) non è definita un’opzione accettabile, come descritto nel primo paragrafo in maniera chiara.
      E mi sembra che proprio l’esempio francese supporti il concetto espresso dal Professore. Secondo Lei quale è il motivo per cui lo spread dei titoli italiani è circa cento volte superiore a quello dei titoli francesi nonostante i numeri da Lei descritti ?

    • amadeus

      “Quindi o ci fanno fare deficit oppure la BCE deve cambiare il mandato” . Cosa vuol dire ? E’ una minaccia ? M. Bordignon vi ha fatto capire (‘Del resto, il fatto che tra i paesi dell’euro siamo contemporaneamente quello con il più alto debito pubblico sul Pil e con la più bassa crescita, dovrebbe suggerire qualcosa sul legame immaginato tra deficit e crescita economica.’) che la bassa crescita dipende dal debito elevato e voi continuate a ripetere che volete fare più deficit per aumentare la crescita !
      La ragione del deficit è solo clientelare, peggio della peggior DC. Altro che crescita. Ma tanto lo sappiamo già, anche se l’effetto di queste politiche fosse il default son già pronbte a scaricare le colpe su qualcun altro.

    • Stefano_73

      Gli stati moderni finanziano la loro spese stampando moneta, tasse o emettendo debito pubblico.
      Poiché la prima opzione ci è stata preclusa con l’entrata nell’euro, le soluzioni residue sono 2: o aumentiamo le tasse su alcuni soggetti per finanziare altri (quindi non è una politica espansiva, ma solo redistribuzione di risorse) oppure andiamo in deficit emettendo debito pubblico. L’aumento delle imposte (es. IVA o patrimoniali) produce effetti negativi sui consumi che di fatto annullano gli effetti positivi sugli investimenti con il risultato di avere una crescita del’1%. La Germania cresce perché sfrutta la svalutazione monetaria del passaggio del marco all’euro quindi esporta (poi dopo l’euro hanno fatto una riforma del lavoro per ridurre i salari). Noi invece siamo stati penalizzati dal passaggio dalla Lire all’euro (le nostre merci costano di più). Quindi non si tratta di scaricare il deficit su altri, ma è l’unico modo (fare investimenti in deficit) per far ripartire la nostra economia. Peraltro altri Paesi (Francia Germania) in passato hanno sforato il deficit, ma essendo i due principali Paesi europei nessuno ha avuto la forza di sanzionarli.
      Sulla Francia ci sarebbe molto da dire, nei dati sostanziali economici la situazione sta peggiorando. Peraltro circa il 60% del loro debito è all’estero quindi un incremento dello spread… Soltanto che godono di buone relazioni con le agenzie di rating (le stesse che non hanno previsto la crisi del 2008). Sono loro la bolla..

      • Antonio Zanotti

        Sig. Stefano solo un’osservazione. Non è vero che un aumento di spesa finanzaito da imposte ha solo un effetto redistribuitivo. Si chiama Teorema di Haavelmo con cui si dimostra che anche in questo caso il moltiplicatore è positivo.

        • Stefano

          Concordo che sul teorema di Havelmo
          ΔY = ΔG (1-c)/1-c) = ΔG
          Però nel nostro caso l’aumento delle imposte servirebbe esclusivamente al pagamento degli interessi passivi e non si tradurrebbe in un incremento di spesa pubblica.
          Peraltro nelle situazioni di crisi, come insegna il buon Keynes è necessario fare investimenti in deficit per stimolare la crescita economica (è la politica utilizzata da OBAMA e infatti gli USA sono usciti dalla crisi prima dell’Europa). Nel NADEF vi sono diversi miliardi di investimenti pubblici per far ripartire l’economia anche se le prime pagine sono state prese solo dalle misure di spesa pubblica.

  5. Marco Spampinato

    Forse non sarebbe proprio male se gli economisti italiani (qualcuno interessato a farlo) spiegassero bene, in modo comprensibile a “tutti” (inizialmente lo capiranno in pochi), la differenza tra una flat tax (una demolizione istantanea della progressività fiscale) e un reddito minimo di base (nella versione “pura” dello strumento, discusso/sperimentato in alcuni contesti). Lo dico pensando anche al suo breve paragrafo, che riporto in fondo, e che non posso che condividere, aggiungendo che chi non ha un reddito ‘di base’ (non entro nel merito della spiegazione, ci vorrebbe un articolo) non può concorrere ad alcuna domanda aggregata. E’ difficile dirlo, ma ci sono proposte sospinte da un grado di demagogia e parzialità straordinario, e proposte che -in forma non troppo degradata- sono pensate anche per ridurre eccessi di burocratizzazione del welfare. Nulla da dire sugli investimenti, ma (quali?) non è affatto una domanda inutile o pedante…Altro che tecnici per affrontare bene il punto…
    Il suo paragrafo evoca teorie e teoremi di base dell’Economia Politica, ma chi oggi è in grado di comprenderli se in milioni credono possibile il parametro del 60% del rapporto debito/pil? <>

    • ms

      errata corrige, x mia responsabilità: è ovviamente reddito universale di base (Universal Basic Income) e non reddito minimo. La confusione è facile (troppo facile) dato che il dibattito se ne è andato per la tangente, da tempo. Si prende persino sul serio, senza preoccuparsi di effettuare alcuna verifica empirica credibile, l’ipotesi che un reddito di base disincentivi la ricerca di un lavoro (ma davvero: una vita intera con l’assegno di sopravvivenza?), oppure si assume che debba essere dato solo a chi non ha né reddito né nulla, e non possa essere invece erogato a tutti i soggetti fiscali (tassati progressivamente e sui patrimoni..). E’ la cultura generale il problema

  6. Marco Spampinato

    Il suo paragrafo, tagliato dal sistema informatico: “La possibilità che ulteriori spese (o riduzioni di imposte) si finanzino da sole con una più alta crescita è in genere un’illusione, difendibile solo per alcune tipologie di spesa (per esempio, quelle di investimento) e in determinate condizioni (forte carenza di domanda aggregata”

  7. Matthew

    “Se non lo fa, è perché teme di perdere consenso. Ma se la coperta è corta, si devono per forza fare delle scelte e precisamente in questo consiste la responsabilità di governo.” Niente altro da aggiungere.Complimenti.

  8. Stefano Monni

    Credo che l’articolo abbia toccato due questioni molto importanti al di là delle cifre di finanza pubblica. Una riguarda il nostro ruolo all’interno dell’Euro mentre l’altra è quella della politica fiscale che il governo vuole impostare tramite il deficit spending. In aggiunta vi è la questione del conflitto tra la politica (eletta) e la burocrazia tecnica (non eletta). Relativamente alla prima questione, appare singolare che un governo che fa del proprio contratto di mandato un mantra non abbia alcuno scrupolo a violare un altro contratto, quello con l’Europa sui vincoli di bilancio prima ancora di modificarlo. Sul secondo punto, ritengo che il deficit spending ha un senso, come dice l’autore, in determinate condizioni e soprattutto quando è teso a finanziare spese produttive, di investimento, che non mi sembra siano all’ordine del giorno della politica fiscale del governo stesso. Infine, la lotta del governo o parte di esso alla tecnocrazia credo sia più una lotta alla tecnocrazia che non risponde sissignore più che a una tecnocrazia in se. D’altra parte, come sostenuto da Federico Caffè la politica per agire ha bisogno dei tecnici, soprattutto capaci, altrimenti chi tradurrebbe in azioni concrete le scelte dei politici, quando però queste siano logiche e soprattutto sostenibili? Pertanto, vedo in questa lotta una vera e propria epurazione di coloro che non si sottomettono ai diktat politici come fa il nostro Paese da anni a quelli dell’Europa

  9. Michele

    Francamente appare un articolo molto schierato e fazioso. Tutt’altro che “scientifico”. Non si capisce perché gli sforamenti di bilancio dei governi precedenti non vengano sottolineati. Quasi che i ministri delle finanze precedenti fossero tutti dei Quintino Sella. Viene definito “paradossale” un dibattito assolutamente fisiologico tra ministri e che sempre e ovunque avviene. Se si vuole introdurre finalmente un po’ di giustizia sociale diventa “eccesso di spesa in deficit”. A guardia della ortodossia di bilancio viene messo non il mercato dei finanziatori (cosa fisiologica), ma ci si ripara dietro le gonne della Commissione EU, ricetta sicura per rendere ancora più anti Europea l’opinione pubblica. La bassa crescita e l’alto deficit in Italia durano da almeno 25 anni, forse ci si dovrebbe domandare dove hanno fallito tutte le politiche economiche di tutti i governi precedenti e bisognerebbe poi dimostrare che un cambiamento radicale non sia indispensabile.

    • Savino

      A prescindere dal rispetto o meno di ogni parametro UE, tra i 60 milioni di italiani ci sono anche cittadini giovani o, addirittura, piccoli che non possono, per ragioni anagrafiche, subire il suo “finalmente facciamo deficit”, perchè quel deficit, per far vivere in un lusso immeritato i loro nonni e genitori, toccherà a loro pagarlo.

    • Aram Megighian

      Non essendo un Economista, sarei improprio a fare commenti tecnici nel tema economico. Sono però uno scienziato e su questo campo dei commenti posso farli, soprattutto per quel che riguarda il trasferimento tecnologico e la ricerca.
      In questo campo il divario è enorme. Certamente ci sono delle realtà ottime anche in Italia, ed è altrettanto vero che la tanto vituperata ricerca italiana (guarda un po’, i massimi critici sono al Governo, ora) è pur sempre all’ottavo posto mondiale come produzione di articoli peer reviewed su riviste internazionali (dati nsf.gov). Ma, mentre gli altri, alla ricerca ci credono (e anche a quella di base) investendo su questa (vedi Max Plank in Germania), aiutando i ricercatori a trovare fondi in Europa (conosce l’European Research Council ? https://erc.europa.eu), i nostri governi non fanno niente di questo. In poche parole gli altri hanno investito nella ricerca ed innovazione, mentre noi no o, meglio solo in parte, e spesso in modo totalmente schizofrenico con una miriade di progetti poco finalizzati dal punto di vista strategico. Ha un valore strategico investire nella ricerca paleonatropologica o botanica ? Noi diremmo di no, se non da un punto di vista culturale. In Germania no (Istituto Max Planck di Antropologia). Evidentemente c’è come sempre una ricaduta che viene adeguatamente indirizzata nel mondo industriale e delle imprese. Qui no. Da qui meno competitività.

  10. Savino

    Il signor Luigi Di Maio ha offeso tutti gli italiani con la sua esultanza dopo aver ottenuto di fare deficit.
    Credo, con tutto il cuore, che il signor Di Maio sia una persona sconsiderata e che debba rassegnare immediatamente le dimissioni, chiedere scusa agli italiani e uscire di scena definitivamente dalla politica.

  11. marcello

    Questo riferimento alle generazioni future per uno sforamnento decimale del deficit, mi sembra veramente eccessivo. Non siamo su di un sentiero virtuoso che viene annullato da un’azione estemporanea, siamo in una quasi stagnazione che ha fatto esplodere il rapporto debito/PIL e anche le disuguaglianze. Siamo il 4 paese nell’ue con il maggior numero di lavoratori poveri, ma primo come trend; siamo il paese in cui l’IRPEF viene pagata per oltre l’80% da diepndenti e pensionati con il seguente prospetto: “Il 45% dei contribuenti versa solo il 4,2% dell’Irpef e si colloca nella classe fino a 15 mila euro, mentre in quella tra i 15 e i 50 mila euro si posiziona il 50% dei contribuenti, con il 57% dell’Irpef totale, mentre solo il 5,3% dichiara più di 50 mila euro”, cioè circa 2 mln di persone dichiarano più di 50 mila euro lordi di reddito. Le sembra equo questo sistema fiscale? Se i tentativi di riforma sono falliti come pure i tentativi di ridurre significativamente l’evasione fiscale, non crede che sia legittimo cambiare strategia? L’esempio della cedolare secca sugli affitti, mi sembra che abbia funzionato più che discretamente, perchè non potrebbe funzionare una riforma delle imposte come quella prospettata? Non vedo questo armageddon all’orizzonte e sono curioso di capire se queste politiche si sostegno al reddito possano far crescere la domanda effettiva e attivare il moltiplicatore. A cosa servono due portaerei a un paese che è una portaerei naturale? E 100 F35?

  12. Enrico Motta

    Al di là delle teorie, è mai stata rilevata una
    correlazione positiva tra deficit e crescita del PIL ? Io non ne ho mai sentito parlare, per cui concordo pienamente col Prof Bordignon, che spendere in disavanzo è una falsa illusione.

    • marcello

      Ah, il Washington Conensus. Mi vengono in mente su questa crisi: Blanchard-Leigh; Blinder-Zandi 2015, ma forse sbaglio.

  13. Antonio

    Il problema del Belpaese è che, al di là del colore, siamo governati sempre da nani istituzionali il cui unico obiettivo è quello di incollarsi alle poltrone e pertanto hanno necessariamente una visione di breve termine finalizzata a “non pestare i piedi a nessuno”. In un contesto del genere ridurre gli enormi sprechi di denaro pubblico che si annidano nella spesa pubblica è pura utopia perché comporta perdita di consenso. Continua così la lenta agonia di uno stato finanziariamente fallito

  14. Giovanni85

    Concordo pienamente con l’articolo. Vogliono introdurre a tutti i costi il reddito di cittadinanza e la flat tax ? Allora taglino altre spese !

    E poi la tesi per cui un po’ di debito in piu’ (ammazza, siamo solo al 130% del PIL !) permettera’ di rilanciare la crescita a medio termine non sta in piedi. Lo sanno tutti che le cause della bassa crescita italiana sono strutturali : criminalita’ organizzata devastante, spesa statale inefficiente, livelli di abbandono scolastico tra i piu’ alti in Europa, incertezza del diritto… Altrettante debolezze strutturali che rendono difficile per l’Italia affermarsi in un mondo sempre piu’ competitivo. Per fortuna abbiamo ancora qualche eccellenza che ci tiene a galla.

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