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Quale povertà per il reddito di cittadinanza

Al di là delle modalità pratiche di funzionamento, il reddito di cittadinanza richiede una attenta riflessione sul tipo di povertà – relativa o assoluta – che si vuole affrontare. Perché è da lì che derivano le scelte per raggiungere l’obiettivo.

Definizioni di povertà

Reddito, ricchezza, consumi, povertà assoluta e povertà relativa sono concetti che vengono declinati con varie modalità in ambito statistico e tutti concorrono a definire il “reddito di cittadinanza” di prossima introduzione.
Per quanto finora noto, il reddito di cittadinanza prevede l’erogazione di un contributo massimo mensile di 780 euro a integrazione del reddito di ciascun individuo che ha i requisiti per riceverlo. Se si tratta di un nucleo familiare di più persone, l’ammontare dell’assegno integrativo tiene conto delle economie di scala. In caso di possesso dell’abitazione il contributo scenderebbe a 500 euro o giù di lì.
L’obiettivo dichiarato è quello di eliminare la povertà assoluta, che nel 2017 – secondo l’Istat – ha raggiunto il livello record di 5,058 milioni di persone (8,4 per cento), con una maggiore incidenza tra gli stranieri.

Secondo la definizione statistica, un individuo si trova in condizione di povertà assoluta se l’ammontare della spesa per consumi non è sufficiente ad acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per la sopravvivenza.
La soglia di povertà non è uguale per tutti, ma dipende dalla composizione del nucleo familiare, dall’età, dalla regione e dalla tipologia di comune in cui si risiede. A seconda delle caratteristiche, ognuno ha il proprio livello minimo di spesa per consumi, al di sotto del quale è povero.
Per un adulto di età compresa tra 18 e 59 anni che vive da solo, la soglia di povertà varia tra un massimo di 827 euro se risiede in una città metropolitana del Nord a un minimo di 561 euro se abita in un piccolo centro del Sud. Per il primo, il reddito di cittadinanza non sarà risolutivo della condizione di povertà, mentre il secondo potrà disporre di quasi il 40 per cento in più del minimo vitale.Al crescere dell’età le esigenze variano. Un anziano che supera i 75 anni ha una soglia di povertà di circa il 10 per cento inferiore rispetto a un adulto in età attiva. In molti casi, più che di un’integrazione al reddito, in tarda età è meglio poter disporre di servizi sanitari o socio-assistenziali adeguati.

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La quota di reddito di cittadinanza destinata all’affitto (280 euro) è il 36 per cento del totale e spetta solo in caso di effettivo pagamento: di conseguenza dovrebbe emergere una parte del mercato “in nero”. Secondo i calcoli della povertà assoluta, nel 2005 il canone di locazione assorbiva mediamente il 45 per cento del reddito per chi vive solo (50 per cento nelle aree metropolitane del Nord o del Centro), ma scendeva al 25 per cento per le famiglie con più di cinque componenti. Anche in questo caso, una quota fissa può essere insufficiente per alcuni e sovrabbondante per altri.

I limiti dell’importo unico

In sostanza, l’utilizzo di un importo unico di riferimento (è sempre lo stesso a parità di componenti) per l’assegno di cittadinanza, benché sia più semplice da applicare, non sembra rispondere in maniera adeguata alle diverse esigenze delle famiglie in condizione di povertà assoluta, creando disparità tra i beneficiari. Anche il costo complessivo della manovra, sarebbe ben inferiore se l’importo del beneficio fosse riferito alla soglia di povertà assoluta.

Un ruolo decisivo nel calibrare la misura potrebbe averlo l’indicatore della situazione economica equivalente (Isee) che ha il pregio di considerare non solo le diverse tipologie di reddito ricevuto da ciascun individuo del nucleo familiare, ma anche la situazione patrimoniale mobiliare e immobiliare, consentendo di escludere coloro che dispongono di rendite sufficienti.
Nella proposta di legge depositata nella precedente legislatura, non era specificato se l’Isee svolgesse solo il ruolo di requisito per l’accesso al reddito di cittadinanza o ne determinasse anche l’importo. Deve essere chiaro, però, che se per stabilire il valore di 780 euro mensili (9.360 annui) si è preso a riferimento l’indicatore ufficiale di povertà relativa del 2013 (6/10 del reddito mediano equivalente familiare) non si può considerare lo stesso valore per l’Isee, trattandosi di due misure decisamente diverse. Anche la scala di equivalenza è differente, con l’Isee che, rispetto alla scala Ocse ufficiale, favorisce di più i nuclei familiari in cui sono presenti minorenni, causando però un maggiore esborso.

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Al di là delle modalità pratiche di funzionamento, la misura di sostegno al reddito che vedrà la luce nel 2019 richiede una attenta riflessione sul tipo di povertà – relativa o assoluta – che si vuole aggredire, da cui conseguono le scelte da effettuare per raggiungere l’obiettivo.

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  1. Savino

    E’ un sussidio? E’ una misura di politica attiva per ricercare lavoro? E’ un’ammortizzatore sociale? E’ una pensione sociale? Illusorio, in ogni modo, considerarlo la panacea di tutti i mali.

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