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Tutti entusiasti del salario minimo? Non proprio*

Sulla carta in Parlamento c’è un’ampia maggioranza favorevole all’introduzione del salario minimo. La norma va però ben ponderata. Perché leggi affrettate e invise alle parti sociali raramente portano a riforme del mercato del lavoro efficaci e durature.

Cinque proposte per il salario minimo

Il salario minimo legale è tornato ad animare il dibattito politico italiano ma questa volta si comincia ad entrare nei dettagli. Movimento 5 stelle e Partito democratico al Senato e Pd, Liberi e Uguali e Fratelli d’Italia alla Camera hanno presentato cinque diverse proposte di legge. Il salario minimo è anche il primo tema del capitolo lavoro del contratto di governo tra Lega e M5s. Quindi, sulla carta esiste in Parlamento un’ampia maggioranza favorevole. Tuttavia, un’analisi comparata mostra che le posizioni dei partiti sono piuttosto diverse (si veda riassunto in Tabella 1 e tabella dettagliata).

Tabella 1: Elementi principali delle proposte di legge sul salario minimo depositate al Senato e alla Camera

Nota: Per i dettagli si veda la tabella completa.

A 9 euro netti, il Pd fa la proposta più generosa per i lavoratori (e quindi più onerosa per i datori di lavoro), mentre il M5s propone 9 euro lordi. In entrambi i casi, soprattutto quello del Pd, si tratta di valori ben al di sopra della media Ocse se comparati ai valori dei salari medi o mediani. Le proposte di LeU e FdI, invece, con formulazioni molto simili, propongono di fissare il minimo al 50 per cento del salario medio indicato dall’Istat (quindi circa 7 euro), ma con variazioni regionali a seconda del livello di reddito, della produttività del lavoro e del tasso di occupazione regionale. Un’ipotesi comprensibile in un paese diseguale come l’Italia, anche se non se ne trova traccia in Europa e tra i paesi Ocse, minimi regionali esistono solo in grandi paesi federali come Usa, Canada o Messico.

Per quanto riguarda l’evoluzione futura, le proposte M5s e Pd al Senato propongono aumenti automatici, legati all’andamento dell’inflazione, mentre LeU lo collega all’andamento dei redditi. Invece, Pd alla Camera e FdI propongono di istituire una commissione composta da esperti e parti sociali che sia incaricata di stabilire gli aumenti, come succede in Germania o nel Regno Unito. Differenze significative emergono anche per quanto riguarda la frequenza degli aggiornamenti: Pd e M5s propongono aumenti annuali, FdI ogni tre anni, LeU ogni quattro.

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In molti paesi sono previste valori inferiori per i giovani o altre categorie, da noi solo LeU e FdI prevedono un’esenzione per gli apprendisti. Infine, tutte le proposte, salvo quella del M5S, indicano sanzioni per chi non rispetti i nuovi minimi.

Cosa resta della contrattazione nazionale

Il nodo più delicato nel caso italiano è il rapporto del nuovo minimo con i contratti collettivi esistenti. I sindacati, infatti, non vedono di buon occhio un minimo per legge: temono che la contrattazione nazionale venga esautorata e i salari minimi abbassati. FdI, come già la legge delega del Jobs act, prevede che il minimo si applichi solo a chi non è coperto da un contratto collettivo. Tuttavia, come già discusso in precedenza, dato che tutti i lavoratori dipendenti sono di fatto coperti da un contratto collettivo nazionale, non è chiaro a chi si faccia riferimento. Il Pd alla Camera precisa che si applicherà a chi non è coperto da un contratto collettivo firmato da parti rappresentative. Il M5s, rifacendosi a una giurisprudenza recente sugli appalti e le cooperative, fa la proposta più vicina a quanto richiedono i sindacati e cioè accompagna l’introduzione di un minimo legale con un’estensione per legge dei minimi salariali previsti dai contratti collettivi firmati da parti rappresentative. Una sorta di doppia protezione (minimo legale e minimo contrattuale) che tuttavia continua a lasciare i sindacati non del tutto convinti (un’estensione completa dei contratti collettivi, però, è incostituzionale) e che, se non sarà accompagnata da adeguati margini di flessibilità, rischia di rendere il sistema di negoziazione salariale ancora più rigido, con effetti potenzialmente nefasti per occupazione e investimenti nelle aree meno ricche nel paese.

Infine, il Pd al Senato include anche una clausola di aumento proporzionale dei livelli retributivi superiori, con modalità da definire per decreto del ministro del Lavoro. Non è chiaro come questo dovrebbe avvenire, ma si tratterebbe di una novità assoluta tra i paesi Ocse.

Al di là del comune intento generale, se si entra nei dettagli si capisce quanto l’introduzione di un salario minimo legale, pur nella sua relativa semplicità, richieda una discussione approfondita. Un minimo per legge sarebbe comunque solo un pezzo del puzzle sulla “questione salariale” italiana che ha le radici in vent’anni di crescita della produttività anemica e che non chiuderebbe il pluridecennale dibattito sul rapporto fra contrattazione nazionale e accordi aziendale e sulla necessità di un decentramento “ben bilanciato”.

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Leggi affrettate e invise alle parti sociali (che sul terreno, poi devono appropriarsi degli strumenti previsti dalla legge e vigilare sul loro rispetto) sono raramente il metodo migliore per riforme del mercato del lavoro efficaci e durature. Il Parlamento farebbe bene a dedicare tutto il tempo necessario al tema e sfruttare la convergenza per linee generali tra maggioranza e opposizioni per discutere in modo circostanziato i vari dettagli. Da parte loro, le parti sociali dovrebbero partecipare al dibattito in maniera più attiva e propositiva senza restare sull’Aventino del sistema esistente sperando che “passi ‘a nuttata” e il tema esca nuovamente dall’agenda.

* Le opinioni espresse non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.

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Il Punto

  1. Savino

    Ma vuole fare tutto il sindacato? Che, poi, facendo tante cose, si rende complice della perdita di potere d’acquisto salariale, nata con la politica dei redditi concertata nei primi anni ’90?

  2. Molto ci sarebbe da dire sul tema. 1°- i minimi riportati dovranno essere maggiorati del salario indiretto e differito? Si tratterebbe di circa 40% in più. 2°-Stabilito il minimo per legge, tutti i ccnl si allineeranno a quel valore minimo, facendo esplodere il costo del lavoro o boloccando qualsiasi rinnovo contrattuale, appiattendo i salari e aumentando il lavoro nero. 3°-Si crerebbe una condizione di rapporto lavorativo basato quasi esclusivamente sul salario perchè verrebbe sacrificata la parte normativa (che è un costo) per compensare quella salariale.4°-Verrebbe depotenziato fortemente il valore nazionale dei ccnl con la crescita della contrattazione aziendale. Vista la piccola dimensione delle imprese italiane, verrebbero penalizzati i diritti normativi per la maggioranza dei lavoratori.5°- Essendo in salario stabilito per legge, col tempo potrebbe essere ridotto dal governo di turno.6°- Se il salario minimo vale solo per chi non fosse coperto da ccnl, sarebbe più semplice normare i pochi casi che stravolgere tutto il delicato sistema di relazioni sindacali. Sindacati e Confindustria battano un colpo

  3. Michele

    Che una norma sul salario minimo sia invisa alle associazioni padronali non è una novità, ma è un indicatore che sia una buona norma, a favore del paese. Poi se la norma è invisa anche ai sindacati, potrebbe essere un ulteriore indizio positivo: tra sindacati “gialli” e sindacati divenuti burocrazie sclerotiche ormai non se ne può più, fanno più danni che benefici al paese. In generale ritengo che sia indispensabile introdurre un salario minimo. Come segnale di svolta nelle relazioni industriali. Bisognerebbe anche abolire il jobact e tornare allo statuto dei lavoratori, reintrodurre il collocamento pubblico obbligatorio e vietare il lavoro somministrato. In due parole cancellare tutte le liberalizzazioni del mercato del lavoro degli hanni 90, che hanno segnato l’inizio del declino economico dell’ Italia.

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