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Tra Usa e Iran un braccio di ferro in crescendo

Da due mesi l’Iran ha deciso di rispondere in maniera aggressiva all’uscita americana dal trattato nucleare e all’imposizione di crescenti sanzioni economiche. La svolta di Teheran ha serie ragioni e implicazioni economiche, politiche e strategiche.

La sfida iraniana

Dallo scorso maggio la Repubblica Islamica dell’Iran ha impresso una brusca svolta alla propria politica di “pazienza strategica”, ossia alla scelta di non reagire alle crescenti pressioni statunitensi dopo l’uscita di Washington, nella primavera 2018, dall’accordo sul nucleare (Jcpoa-Joint Comprehensive Plan of Action). Teheran ha deciso infatti di rispondere in maniera aggressiva al sempre più stretto embargo imposto dal presidente Donald Trump. Negli ultimi mesi abbiamo così assistito a una massiccia ripresa del programma nucleare iraniano, a numerosi attacchi a petroliere in transito nello stretto di Hormuz, fino al sequestro da parte delle Guardie rivoluzionarie della nave cisterna Stena Impero battente bandiera inglese, all’abbattimento di un drone americano e alla condanna a morte di 17 persone accusate di attività di spionaggio per conto della Cia.

Come spiegare il cambio di strategia iraniana non solo verso gli Stati Uniti ma verso l’intero mondo occidentale, Europa inclusa, ritenuta incapace di opporsi all’“aggressione americana”? E soprattutto quali conseguenze può avere questa condotta più combattiva?

In primo luogo, ha certamente pesato il fatto che le sanzioni economiche americane siano diventate quasi insopportabili: secondo le ultime stime del Fmi il prodotto interno lordo reale iraniano dovrebbe calare del 6 per cento quest’anno, mentre l’inflazione, misurata attraverso i prezzi al consumo, si avvicinerebbe al 40 per cento. Anche se la dipendenza dell’economia iraniana dalle esportazioni petrolifere si è quasi dimezzata negli ultimi dieci anni e le riserve ufficiali ammontano a 132 miliardi di dollari, oltre al patrimonio detenuto dal principale fondo sovrano (National Development Fund-Ndf) immediatamente spendibile per altri 20 miliardi, l’embargo mette a dura prova la stabilità economica e politica del regime degli Āyatollāh, oltre a creare crescenti difficoltà anche alle società cinesi, principali importatrici del petrolio iraniano.

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In secondo luogo, non bisogna dimenticare che nei prossimi due anni la Repubblica Iraniana dovrà affrontare due cruciali scadenze elettorali: le elezioni parlamentari nel 2020 e quelle presidenziali nel 2021. In questo contesto, le crescenti difficoltà a difendere il dialogo con l’occidente hanno probabilmente indotto il governo Rouhani ad allinearsi alle posizioni più nazionaliste, conservatrici e intransigenti del paese. Alzare le tensioni esterne aiuta a compattare il paese.

In terzo luogo, sul fronte strategico militare gli iraniani sanno benissimo che, dopo le tragiche esperienze americane – che forse potremmo più propriamente chiamare sconfitte – in Afghanistan, Iraq e Siria, il presidente Trump non ha alcuna intenzione di intraprendere un’altra guerra in Medio Oriente. Viceversa, in questi anni gli iraniani sono riusciti a rafforzare notevolmente sia la loro influenza politico-militare sullo scacchiere medio orientale, in Iraq, Siria, Yemen, Gaza e Libano, sia le relazioni con la Russia e la Cina, oggi suoi principali partner militari e commerciali. Gli iraniani hanno poi dimostrato una sorprendente capacità tecnico-militare con l’abbattimento del drone americano, utilizzando il cosiddetto sistema “3rd Khordad” che replica le funzionalità del sistema missilistico terra-aria russo S-300.

Conseguenze imprevedibili

Tutto ciò rende la situazione geopolitica estremamente complessa. Da un lato, gli Stati Uniti sperano che le sanzioni finiscano per strangolare l’economia e il regime, senza cadere nelle provocazioni iraniane. Dall’altro, il regime degli Āyatollāh, a 40 anni dalla rivoluzione, sembra mostrare un’incredibile resilienza. Un braccio di ferro dove l’imprevedibile presidente americano potrebbe in ogni istante rovesciare il tavolo spingendo il bottone rosso, come ha detto di aver fatto un mese fa, bloccando poi all’ultimo minuto i jet a stelle e strisce carichi di bombe, o addirittura, ma è più improbabile, organizzando una teatrale visita a Teheran, nello stile visto in Corea del Nord.

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Il Punto

  1. Luigi Andrea Vavassori

    Ma chi ha dato agli USA il diritto di imporre le sanzioni economiche ??
    La logica imperiale degli USA non ha basi giuridiche.
    Gli USA hanno denunciato il trattato sul Nucleare in modo unilaterale e senza motivazioni !!
    Cosa si puo’ aspettare da una nazione orgogliosa come l’Iran a fronte di queste aggressioni se non una risposta adeguata ??

    • Henri Schmit

      Giustissimo! Aggiungo che, secondo l’ambasciatore del RU appena dismesso, Trump (da solo) per conto degli USA si è ritirato dal trattato contro la proliferazione con l’’Iran … per fare un dispetto al suo predecessore afro-americano. Penso (seriamente) che Trump sia contro l’Iran – anche se fosse denuclearizzato – solo perché nessun governo iraniano permetterà mai che lui (o chi per lui) vi promuova progetti di sviluppo immobiliare. Prima erano i petrolieri texani in Irak, ora sono i développer new-yorkesi contro l’Iran. Trump ha fatto proposte per lo sviluppo immobiliare, turistico e commerciale del suo paese al dittatore nord-coreano in colloqui privati senza testimoni e denunciati dall’ex capo della CIA appeno dismesso. Suo genero ha lanciato recentemente in un discorso pubblico in MO l’idea dello sviluppo immo-turistico per pacificare la Palestina! Un connubio fra due mestieri imprenditoriali (sviluppo inno e idrocarburi) vincente, non solo negli USA. Ma siamo ormai vassalli di despoti? Già, piacciono tanto un po’ ovunque!

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