L’Italia è uno i paesi più attenti all’educazione pre-scolastica. Ma già a 15 anni gli apprendimenti sono sistematicamente inferiori alla media Ocse. Nell’università investiamo poco e pochi sono i laureati. Manca del tutto l’istruzione degli adulti.
Il rapporto dell’Ocse
L’uscita autunnale di Education at a Glance dell’Ocse è ormai un appuntamento importante per decisori e ricercatori interessati al mondo della scuola e dell’università: con il tempo è diventato il più ricco repertorio di informazioni e dati statistici sui sistemi educativi dei paesi sviluppati.
Sin dalla prima edizione del 1992, il rapporto è stato organizzato in tre grandi aree: contesto politico-sociale, risorse immesse nei sistemi, risultati. Quell’impostazione – che si sforza di tenere insieme politiche, processi educativi ed esiti – si è sostanzialmente mantenuta fino a oggi. Nel frattempo, è cresciuta l’estensione della ricognizione, grazie sia a un più rodato dialogo con le autorità scolastiche e i sistemi statistici nazionali, sia alla realizzazione da parte dell’Ocse di indagini periodiche più specifiche: in particolare, Pisa – dedicata agli studenti quindicenni e ai loro apprendimenti – e Talis – sull’insegnamento.
Sono due gli approfondimenti che caratterizzano la nuova edizione di Education at a Glance, pubblicata da pochi giorni: l’enfasi sull’istruzione terziaria e un capitolo dedicato al Goal 4 (istruzione di qualità) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
L’istruzione terziaria
Sull’istruzione terziaria, Education at a Glance conferma che in tutti i paesi conseguire una laurea:
(1) aumenta la probabilità di trovare un lavoro: nel 2018 il tasso di occupazione (calcolato sulla popolazione da 25 a 64 anni) dei laureati è stato in tutta l’area Ocse di 9 punti superiore a quello dei diplomati, e in Italia di 10 punti superiore;
(2) assicura redditi decisamente più elevati: un laureato guadagna – sempre nella media dei paesi Ocse – il 57 per cento in più di un diplomato; per l’Italia il premio è sempre consistente, ma si ferma al 39 per cento in più;
(3) un titolo terziario rafforza la resilienza, ossia la capacità di ritrovare il lavoro se lo si è perso. Senza contare che si associa a migliore salute, maggiore attenzione nei confronti delle questioni ambientali, più intensa partecipazione alla vita pubblica e al volontariato.
Investire in istruzione superiore si conferma dunque un buon affare tanto per gli individui, quanto per la collettività. I dati che descrivono la scena internazionale confermano due “anomalie” italiane. La prima riguarda l’esiguità delle risorse investite nell’università dal nostro paese: nel 2016 vi abbiamo destinato solo lo 0,89 per cento del nostro Pil, decisamente meno della media Ocse (1,48 per cento, si veda la figura 1). Da notare che dal 2010 la quota è addirittura diminuita (era lo 0,99 per cento), con una contrazione che riguarda esclusivamente le risorse pubbliche, scese da 0,76 a 0,57 per cento, mentre è cresciuto lo sforzo degli attori privati (famiglie), salito da 0,23 a 0,32 per cento.
Figura 1
Considerata tanta parsimonia, non sorprende che l’Italia sia oggi tra i paesi con la popolazione adulta meno istruita (si veda la figura 2): tra i 25-34enni solo il 28 per cento è in possesso di un titolo terziario, mentre la media Ocse è pari al 47 per cento. Le quote del 2011, rispettivamente del 21 e 39 per cento, testimoniano la faticosa rincorsa italiana. La seconda anomalia dell’Italia segnalata da Education at a Glance è l’assenza di titoli terziari brevi (biennali), piuttosto diffusi all’estero (ancora figura 2), in parte compensati dallo sbilanciamento sui laureati magistrali, da noi persino più numerosi dei triennali. In altre parole, il ritardo italiano sulla scena internazionale chiama in causa non solo una minore domanda di istruzione da parte degli individui, ma anche un’offerta scarsamente differenziata di percorsi formativi da parte delle istituzioni educative. In questo contesto vanno seguiti con interesse i tentativi di far decollare i corsi post-secondari (Its) e le lauree professionalizzanti, rilanciate dal ministro dell’Istruzione del governo Gentiloni, Valeria Fedeli: numeri ancora piccoli, che hanno tuttavia il pregio di ampliare le opzioni a disposizione dei diplomati.
Figura 2
L’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030
Il tema dell’istruzione di qualità, affrontato da Education at a Glance 2019, rinvia invece all’Obiettivo 4 dell’Agenda globale 2030 (“Istruzione di qualità”). Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sdgs) varati nel 2015 dalle Nazioni Unite e sottoscritti dai governi dei 193 paesi membri stanno suscitando molto interesse e non stupisce che anche l’Ocse si ispiri agli Sdgs per la sua raccolta di dati statistici sull’istruzione. Per quanto concerne l’Italia – dove va segnalato l’impegno dell’Istat nella realizzazione del Rapporto Sdgs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia – possiamo dire in estrema sintesi che partiamo bene, ma finiamo maluccio: siamo infatti tra i paesi più attenti all’educazione pre-scolastica, con ottime scuole dell’infanzia e tassi di iscrizione da 3 a 5 anni quasi universali, seppur in lieve riduzione negli ultimi anni. Con l’avanzare delle età non riusciamo però a mantenere questi risultati: già a 15 anni i nostri studenti mostrano apprendimenti sistematicamente inferiori alla media Ocse. Delle difficoltà a livello terziario già si è detto, ed è soprattutto nell’istruzione degli adulti che risultiamo del tutto latitanti: una carenza destinata sempre più a farsi sentire in un paese che invecchia rapidamente.
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jorge
Consiglierei di confrontare la spesa per l’istruzione terziaria non in termini di percentuale sul PIL, ma in termini di spesa per studente, eventualmente normalizzata per il PIL pro capite. Per ragioni demografiche e per la minore propensione agli studi da voi citata è ben possibile che in Italia la spesa per studente risulti anche superiore alla media OCSE. A mio avviso il rapporto causale tra i fenomeni potrebbe essere: minore premio occupazionale e salariale per i laureati, quindi minore quota di persone che prosegue gli studi nelle università, quindi minore spesa (necessaria) per l’università.
Max
Figura C1.1 p. 266 del rapporto education at a glance: Italia molto sotto la media e decisamente dietro i paesi avanzati anche utilizzando spesa per studente a livello terziario.
Andrea Gavosto
La spesa per studente italiana è inferiore alla media Ocse, di poco (98%) alle primarie, di più (@ 80%) alle secondarie. SI veda anche il commento successivo
Davide
Interessante a tutti i livelli il disinteresse per i corsi di studi serali o part-time specie universitari.