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Per proteggere i rider via le collaborazioni autonome

La norma che la Camera si accinge a varare va molto al di là dell’introduzione delle protezioni essenziali per i ciclofattorini. Sostanzialmente si spinge a cancellare quasi del tutto i contratti di lavoro autonomo continuativo.

Il maxi-emendamento approvato dal Senato

A torto o a ragione, il ministro del Lavoro vuole questo risultato: far sì che ai cosiddetti rider si applichi la disciplina del lavoro subordinato. Per ottenerlo, potrebbe limitarsi a una norma formulata più o meno così: “il rapporto di lavoro dei fattorini collegati a distanza con la piattaforma digitale è soggetto alla disciplina del lavoro subordinato ordinario”.

Ma i suoi consiglieri non si accontentano. Già che ci sono vogliono cogliere l’occasione per ricomprendere nell’area della protezione forte tutti i collaboratori continuativi autonomi, anche se né il ministro né la sua parte politica ha mai enunciato questo obiettivo. Dunque, senza che il ministro neppure colga la portata della novità, modificano la norma contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 (articolo 2), che oggi disciplina la materia, facendola recitare così:

“A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente”.

E, per non correre il rischio di fraintendimenti, aggiungono senza riguardi per la lingua patria:

“Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

Questo, dunque, dice il maxi-emendamento del governo al disegno di legge per la conversione del decreto n. 101, approvato in prima lettura dal Senato nei giorni scorsi. Se, come è assai probabile, nei giorni prossimi verrà approvato anche alla Camera, avrà l’effetto di estendere l’intero sistema di protezione del lavoro subordinato a quasi tutti i rapporti di collaborazione autonoma continuativa, senza che venga attribuito più alcun rilievo ai requisiti, cui pure si è fatto riferimento nella legislazione recente, della “dipendenza economica”, della “monocommittenza”, del basso livello di reddito, o del concreto inserimento nell’organizzazione aziendale.

Una nozione troppo generica

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Il testo della norma oggi in vigore specifica che l’“organizzazione da parte del committente”, perché la prestazione possa essere assoggettata alla disciplina del lavoro subordinato, deve concretarsi anche nel cosiddetto “coordinamento spazio-temporale”: in altre parole, la collaborazione continuativa è trattata come se fosse subordinata in tutti i casi in cui è soggetta al vincolo di orario e di luogo di svolgimento. Come dire che non si può trattare come un consulente autonomo il magazziniere, oppure la segretaria d’ufficio. Ora, con la caduta di questa specificazione, il requisito della “organizzazione da parte del committente” diventa estremamente generico, aperto a tutte le interpretazioni, dalle più restrittive alle più onnicomprensive. Sull’interpretazione della nuova genericissima nozione studiosi e magistrati verseranno fiumi d’inchiostro; ma proprio l’incertezza in proposito sconsiglierà alle imprese di utilizzare il contratto di collaborazione continuativa in numerosissimi casi nei quali oggi vi si fa normalmente ricorso.

Come se non bastasse, la nuova norma attenua anche il requisito del carattere esclusivamente personale della prestazione: d’ora in poi, per l’applicazione della disciplina propria del lavoro subordinato sarà sufficiente il suo carattere prevalentemente personale. La protezione del lavoro subordinato potrà dunque essere estesa anche al collaboratore autonomo – come l’agente, l’edicolante, il trasportatore, l’artigiano – che abbia un’altra persona alle proprie dipendenze, e magari anche due.

Restano escluse dall’attrazione nell’area della protezione forte soltanto le attività per le quali è richiesta l’iscrizione a un ordine o albo professionale, quelle dei consiglieri di amministrazione, revisori o sindaci di società e quelle individuate da un contratto collettivo nazionale “in ragione delle particolari esigenze produttive e organizzative del settore”. Una via d’uscita può, inoltre, essere costituita dal contratto aziendale stipulato “in deroga”, a norma dell’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011. La contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali dotate del requisito della “maggiore rappresentatività”, al livello del settore o al livello aziendale, resta dunque per fortuna lo strumento principale per ristabilire una qualche certezza circa la disciplina applicabile, sfuggendo all’alea di tre gradi di giudizio nei quali il requisito della “organizzazione da parte del committente” potrà essere (come frequentemente sarà) interpretato in altrettanti modi diversi.

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Protezioni aggiuntive per i rider anche rispetto al lavoro subordinato ordinario

Ma la smania protettiva dei consiglieri del ministro del Lavoro nei confronti dei rider non è placata da questo colpo di mano normativo sulla materia delicatissima della distinzione tra “subordinazione” e “autonomia”: nel decreto convertito in legge viene inserita anche una serie di norme protettive specifiche e ulteriori per i rider e solo per loro. In primo luogo, si prevede una indennità risarcitoria pesantissima (un’annualità dell’ultima retribuzione) per il caso in cui il contratto di lavoro del rider non sia stipulato per iscritto; si vieta che la retribuzione sia commisurata al numero delle consegne; si impone una maggiorazione per il lavoro notturno, per il festivo e per il caso di “condizioni meteorologiche sfavorevoli”.

Infine, la ciliegina sulla torta. Abbiamo visto che il rider non può essere trattato se non come lavoratore subordinato, con il suo orario di lavoro fisso e la sua retribuzione a tempo e non commisurata alle consegne: un involucro contrattuale che lascia ben poco spazio alle caratteristiche peculiari di flessibilità nell’interesse di entrambe le parti, proprie del lavoro organizzato per mezzo della piattaforma digitale. A questo punto, si potrebbe pensare che il gestore del servizio possa almeno fare affidamento sulla disponibilità pronta e continuativa del rider per il tempo stabilito. Invece no: è vietato licenziare o altrimenti penalizzare il lavoratore per la sua “mancata accettazione” della chiamata della centrale (articolo 47-quinquies, comma 2, inserito dalla legge di conversione nel decreto legislativo n. 81/2015).

Ma il ministro ha letto attentamente questo maxi-emendamento prima di presentarlo? E il Senato, prima di approvarlo?

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  1. Savino

    Professore, nessuno sceglie di fare il ” libero professionista” pedalando come un matto in bicicletta, a rischio delle proprie articolazioni e della meccanica del mezzo, per servire un pranzo o una cena a domicilio a chi ha prenotato dallo smartphone. Descritta la mansione, il resto lo dovrebbe fare la logica. Un lavoretto per sbarcare il lunario, fatto in condizioni improvvisate, è il massimo della subordinazione, non possono esistere nè dei liberi professionisti nè degli artisti della mansione.

    • luigi

      perchè invece di pontificare sul lavoro degli altri non prova a chiedere a chi fa queste attviità come la pensa veramente, anche sul contratto stesso? forse scoprirà che le cose veramente importanti, e sacrosante, che chiedono sono le tutele per gli infortuni. o le dà fastidio che qualcuno lavori a seguito di un ordine effettuato via smartphone? magari pensando che dietro il ditinop che ha pigiato sullo smartphone ci sia un riccastro che sfrutta i poveri lavoratori? ha letto bene quello che scrive Ichino: l’azienda non solo deve riconoscere il contratto di subordinazione, ma se il “subordinato” non ne ha voglia l’azienda non puà licenziarlo. siamo nel 2019, non nel 1950, forse anche i rapporti di lavoro sono cambiati. bastano le tutele alla saluta, non le tutele per chi non ne ha voglia, che è il vero problema…

      • Savino

        Io contesto l’idea che la mansione sia la chiamata di un boss 4.0. Ciò sarà sfruttamento anche nel 3030. La mansione è pedalare e consegnare e la subordinazione è evidente, come per i postini di una volta.

        • paolo andreozzi

          Il professore si guarda bene dal definire il perimetro dei diritti ammissibili per un semplice corriere, che considera assimilabile alla figura di un libero professionista. E’ un suo pallino stigmatizzato efficacemente molti anni fa da Cofferati. Questo è contributo che offre l’accademia.

  2. Roberto S.

    See, leggerlo! Ma si chiede troppo al ministro! I senatori? Troppe parole, ci sono annegati. Chi è abituato solo ai tweet non ci ha capito niente, chi ha capito si è stato zitto perché sennò veniva bollato come “antiumano”. Tanto, siamo già in discesa – ripida – e con tutte le “crisi industriali” (cioè, le voragini) che abbiamo, ma chi se ne frega di queste “buchette”: le imprese – grandi e piccole – si adegueranno; e sennò chiudano pure, tanto c’è il reddito di cittadinanza.

    • Savino

      Non avrei mai immaginato che ci fosse anche peggio di chi si accontenta di un reddito di cittadinanza, cioè chi si accontenta di un lavoretto. Ragazzi cerchiamo di mirare un pò più in alto, di darci delle ambizioni personali e professionali un pò più realistiche e funzionali, che qui già non c’è niente e già ci hanno calpestato la dignità, se poi gli diamo pure il destro per fare ciò che gli pare è davvero finita. Spero di essere statoi chiaro.

  3. Giuseppe GB Cattaneo

    Se fosse effettivamente così non sarebbe male

  4. Riccardo

    Non ho capito se l’intervento è di critica verso la regolamentazione dei ciclofattorini oppure di critica per aver ristretto (in senso generale) il campo di applicazione dei contratti di collaborazione autonoma.
    Sul primo caso: molte piattaforme digitali usano loopholes (legali) nelle legislazioni nazionali. Se per Uber mi sta anche bene interpretare la legge per rompere un monopolio e relativa rendita (quello dei tassisti), per i ciclofattorini la loophole viene usata solo per non applicare le tutele del lavoro subordinato. Davvero Ichino difende questo? Davvero crediamo che i ciclofattorini abbiamo un qualche bargaining power con le piattaforme digitali?
    La seconda questione è più ampia. In linea di massima, io userei il potere contrattuale dei lavoratorori come guida per stabilire il campo di applicazione del lavoro subordinato. Lavori poco pagati e low-skilled: massima estensione del lavoro subordinato. Lavori high-skilled e ben pagati: massima libertà di usare i contratti di collaborazione.

  5. Mahmoud

    Questi sono fattorini che lavorano per grandi aziende, da dipendenti devono essere trattati, nel male e nel bene. I costi di questa regolarizzazione gravano come sempre sulle aziende che assumono in regola, sui consumatori che pagheranno di più per il servizio, su chi verrà escluso dal lavoro in questione poiché il relativo mercato diminuirà di dimensione rispetto alle attuali potenzialità. Ma è una questione di scelte, qualcuna deve pur essere presa. Io per primo valuterò maggiormente altre opzioni quali ritirare io d’asporto o rifarmi a fattorini in nero offerti dai singoli ristoranti, però non vedo di cattivo occhio questi aspetti negativi a fronte della garanzia che per chi svolgerà questo lavoro regolarmente ci saranno dei diritti parificati ad un contratto a tempo indeterminato.

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