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Riforma degli 80 euro, ma attenzione a non far pasticci

La riduzione del cuneo fiscale e contributivo è uno degli obiettivi della manovra di bilancio 2020. Dalle prime indiscrezioni sembra che lo si farà attraverso un intervento sul bonus 80 euro. Si rischia però di rendere ancora più complicato il sistema.

Storia del bonus 80 euro

Uno degli obiettivi della manovra di bilancio per il 2020 è la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, per la quale è stato previsto uno stanziamento di 3 miliardi di euro per il 2020 e di 5 miliardi dal 2021. Nei giorni scorsi sono usciti alcuni primi dettagli applicativi e pare sempre più plausibile un intervento sul cosiddetto bonus Renzi.

Una breve storia della misura può essere di aiuto. Il bonus 80 euro fu istituito nel 2014 in un articolo rubricato “Rilancio dell’economia attraverso la riduzione del cuneo fiscale” (qui e qui).

Originariamente la diminuzione del cuneo fiscale doveva essere attuata per mezzo di una detrazione d’imposta ma, poiché l’annuncio dell’allora presidente del Consiglio era di garantire mille euro a tutti i soggetti interessati, si scelse uno strumento slegato dall’Irpef. La complessa struttura dell’imposta personale avrebbe comportato difficoltà a garantire esattamente lo stesso risparmio per tutti i contribuenti coinvolti. Inoltre, le esigenze di gettito avevano reso necessario circoscrivere la platea dei beneficiari: i grandi esclusi erano stati i contribuenti con reddito più basso. Questi non avrebbero potuto trarre beneficio da un aumento della detrazione per lavoro, mentre un trasferimento monetario come il bonus avrebbe agevolmente potuto garantire una integrazione al loro reddito. Si è preferito, e si continua a preferire, un aiuto nella parte centrale della distribuzione dei redditi, probabilmente perché politicamente più appagante.

Sicuramente il bonus Renzi ha reso palese che quando si ha la forza politica di adottare un provvedimento, le risorse si trovano e anche in tempi ristretti: il bonus Renzi costa circa 9,5 miliardi e oggi interessa 11,7 milioni di lavoratori dipendenti.

Garantisce un beneficio di 960 euro annui ai lavoratori dipendenti caratterizzati da un importo della detrazione da lavoro minore dell’imposta lorda qualora il reddito di riferimento (al netto della deduzione per l’abitazione principale) sia pari o inferiore a 24.600 euro. Superata tale cifra, l’importo decresce, fino ad azzerarsi, per redditi pari a 26.600 euro. La repentina decrescita comporta, tra 24.600 e 26.600 euro, una aliquota marginale effettiva pari all’80 per cento, che riguarda circa 1,3 milioni di lavoratori dipendenti.

Come sarà il bonus riformato

Ora, dalle prime indiscrezioni, sembra che l’importo del bonus aumenti da 80 a 100 euro al mese per i redditi fino a 28 mila euro, per poi decrescere una prima volta, tra 28 e 35 mila, da 100 a 80 euro e, una seconda volta, tra 35 e 40 mila euro, da 80 euro al mese a zero.

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Una prima osservazione riguarda il costo del provvedimento. Secondo le simulazioni, il bonus attuale ha un costo di 9,48 miliardi di euro. Quello riformato, applicato per l’intero anno, costerebbe 15,72 miliardi. La differenza è 6,24 miliardi, più dello stanziamento a regime per il 2021, che è di 5 miliardi. Tuttavia, il costo aggiuntivo per soli sei mesi (il bonus riformato dovrebbe partire da luglio) sarebbe di 3,12 miliardi, compatibile con lo stanziamento previsto per il 2020.

Confrontiamo dunque il vecchio e il nuovo bonus considerando un lavoratore dipendente single e applicandolo per l’intero anno. Il grafico 1 riporta l’andamento attuale (linea rossa) e quello previsto per il futuro (linea blu). I lavoratori dipendenti con imposta lorda minore della detrazione per lavoro continueranno a rimanere a bocca asciutta, mentre successivamente il beneficio salirà di 240 euro all’anno, da 960 euro a 1.200.

Grafico 1 – L’importo del bonus applicato per l’intero anno

I maggiori beneficiari (grafico 2) saranno i contribuenti con reddito compreso tra 26.600 e 28 mila euro; riceveranno un beneficio degno di nota anche tutti i contribuenti fino a 36-37 mila euro, che oggi non sono interessati dalla misura.

Grafico 2 – Il guadagno rispetto a oggi

Dal grafico 1 salta subito all’occhio un aspetto: la repentina discesa dell’attuale bonus tra 24.600 e 26.600 viene “posticipata” e allargata sui redditi tra 28 e 40 mila euro; viene “smussata” nel nuovo sistema, che prevede una decrescenza abbastanza contenuta tra 28 e 35 mila euro e più marcata tra 35 e 40 mila euro, valore dal quale il bonus si azzera. Ci si aspetta dunque che le aliquote marginali effettive siano più contenute, quando il bonus finisce di essere costante, rispetto all’80 per cento osservato oggi, ma nel contempo molto più elevate del sistema basato sulla sola Irpef. E infatti è così. Il grafico 3 evidenzia la situazione. Fino a 28 mila euro vi è la coincidenza tra aliquote marginali effettive della sola Irpef e dell’Irpef col bonus riformato. Successivamente, tra 28 e 35 mila euro, l’aliquota marginale sale al 45 per cento, contro il 41 attuale, e a quasi il 61 per cento tra 35 e 40 mila euro. Di certo non si tratta di una semplificazione del sistema, con dubbi effetti positivi sull’efficienza, perché aliquote effettive così elevate riguarderebbero 5-5,5 milioni di soggetti.

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Grafico 3 – Le aliquote marginali effettive

Verso un sistema misto?

Alcune indiscrezioni fanno trapelare la volontà di attuare un sistema misto basato sul bonus fino a un certo ammontare di reddito e su un incremento della detrazione per lavoro sopra quella soglia. Lo scenario sarebbe tecnicamente complicato e renderebbe la struttura dell’imposta ancora più complessa. Non è quello di cui c’è bisogno. Operativamente potrebbe essere prevista l’applicazione del bonus fino a 28 mila euro (secondo limite superiore della scala delle aliquote) e una revisione della detrazione sopra tale soglia. In quest’ultimo caso la scelta sarebbe obbligata: l’aumento della detrazione dovrebbe essere accompagnato da un aumento del livello di reddito a cui questa si azzera, oggi 55 mila euro. Per non comportare la moltiplicazione delle aliquote effettive, dovrebbe essere estesa a 75 mila euro (quarto limite superiore della scala delle aliquote). Così facendo, però, i benefici concessi ai contribuenti non potrebbero che essere fortemente inferiori a quelli attribuibili col bonus, ma nel contempo si potrebbe evitare un livello eccessivo delle aliquote effettive. Un sistema ibrido imposta-sussidio non sembra dunque una via percorribile nel lungo periodo. Meglio sarebbe intervenire da subito con una revisione complessiva della detrazione per lavoro. È vero che l’eliminazione del bonus e la sua integrazione nell’imposta comporterebbe contribuenti vincenti e perdenti. Ma prima o poi il sistema politico dovrà farsene carico.

A distanza di sei anni dalla introduzione del bonus, varrebbe la pena pensare a una riduzione organica del cuneo fiscale sul lavoro con strumenti fiscali, inglobando i benefici della misura introdotta dal governo Renzi, in visione prospettica, all’interno dell’Irpef, magari prevedendo nuovi parametri dell’imposta in grado di aumentare l’equità e nel contempo contenere il più possibile l’elevatezza delle aliquote marginali effettive.

Oggi, l’Irpef non ha più una struttura organica, considerando l’esistenza del regime flat sugli autonomi, la cedolare secca sui canoni di locazione e l’applicazione del bonus. La revisione di questa misura così come prospettata non potrà che rendere più difficile, nel prossimo futuro, una riforma strutturale dell’imposta sulle persone fisiche.

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11 commenti

  1. Savino

    Il cuneo fiscale assegnabile ai lavoratori è ben più ampio di 80 o 100 Euro mensili e, per stipendi netti di 1.500-1.600 Euro mensili, può ben arrivare a 600-700 Euro mensili, cui potrebbe essere aggiunto il TFR che, di questi tempi, potrebbe anche essere erogato mensilmente, fino ad altri 100-150 Euro mensili per gli stipendi netti che ho considerato.

    • Domenico

      Credo che l’erogazione mensile del TFR rischia di essere un errore madornale nel lungo periodo.
      In un contesto storico dove il primo pilastro previdenziale viene sempre più eroso dalle scriteriate politiche pensionistiche (Quota cento e mille rivoli e rivoletti con cui facciamo andare via le persone dal luogo di lavoro) e dalla diminuzione costante di natalità e immigrazione, il TFR è l’unico modo per creare un secondo pilastro pensionistico… Se iniziamo a spendercelo per i consumi rischiamo seriamente di dare il colpo di grazia a questo sventurato paese.

      • Savino

        Le famiglie con redditi da lavoro dipendente non riescono ad affrontare più spese sanitarie e domestiche e, anche per questo, non si fanno più figli. L’uovo oggi, per le nuove generazioni soprattutto, sazia più di una gallina che domani potremmo anche non trovare.

  2. Mahmoud

    Interessante analisi. Di certo una maggior flessibilità nell’annullamento dei benefici in questione, spostandone i beneficiari fino a comprendere persone dal reddito più elevato sarebbe preferibile, auspicabile ma altrettanto costoso. Rispetto alla scelta di inquadrare la misura quale bonus fiscale e non un bonus tout court in busta paga anche agli incapienti questa non credo sia dovuto ad un “appagamento politico”: gli sconti fiscali, a differenza di quanto elargito in maniera slegata rispetto alla tassazione, non inficiano in negativo la propensione all’emersione di chi potrebbe lasciar figurare un reddito minore del reale. Non si può inoltre considerare come “normale” o “accettabile” nel lungo termine un reddito da lavoro complessivo annuale lordo inferiore al minimo per poter usufruire del bonus Renzi, cioè 8.174 euro lordi annui, che equivalgono ad un reddito lordo inferiore a 700 euro mensili per 12 mensilità.

  3. Giuseppe GB Cattaneo

    Il Pd pensa che il suo elettorato di riferimento siano i lavoratori con un posto fisso ed un buono stipendio. Se pensa di vincere le elezioni facendo riferimento ad un elettorato che sta scomparendo commette uno sbaglio

  4. Marco La Colla

    Fin da allora criticai il bonus per il fatto che venisse assegnato alla persona e non al nucleo familiare. Famiglie con due o addirittura tre lavoratori, vedevano raddoppiato o triplicato il vantaggio a scapito di single o famiglie monoreddito che , non avendo i requisiti, non hanno visto un euro!

  5. Roberto

    Mi scusi, ma nel grafico 3 non mi è chiara una cosa. Lei dice che l’aliquota marginale sale AL 45% ma dal grafico sembra che salga all’80%. Forse voleva dire che sale DEL 45%?

    • Simone

      Buongiorno, il ragionamento è fatto rispetto alle aliquote effettive della sola irpef. Il bonus attuale comporta un’aliquota effettiva dell’80% tra 24.600 e 26.600 (linea rossa). Il bonus riformato (linea blu) una aliquota prima del 45% e poi del 60%.

  6. giorgio

    Nel grafico 3 la linea verde (aliquote IRPEF) mi pare sbagliata: l’aliquota fino a 15k è 23%; fino a 28k è 27% e dopo è 38%.
    Pure il gradino che scende a 55k non ha senso.

  7. enzo

    Il bonus resta ancora nel mezzo tra un trasferimento ed una detrazione fiscale.Dal punto di vista politico è plausibile che il PD, di Renzi o di Zingaretti, risponda alle esigenze del suo bacino elettorale mentre 5S ,premiato da disoccupati e sottoccupati, non trova in questa misura un ritorno elettorale. Si può dire che i 5s hanno avuto il reddito di cittadinanza, è vero. Tuttavia resta una fascia di soggetti, compresa tra il diritto al reddito di cittadinanza e quello degli ex 80 euro, esclusa da ogni intervento a sostegno del reddito. Per intenderci questo trasferimento di reddito a favore di chi ha già un reddito corrisponde a due mensilità da pensioni minime.. A questo punto si dirà che non di trasferimento si tratta ma di riduzione fiscale, ma se è così si proceda nella riduzione delle aliquote o nell’aumento delle detrazioni senza generare iniquità tra le categorie dei contribuenti o degli aventi diritto ai trasferimenti da parte dello stato.

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