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Taglio del cuneo fiscale tra sgravi contributivi e revisione dell’Irpef

La decontribuzione comporta un aumento dell’Irpef dovuta, solo in parte compensato dalla riduzione dell’imposta determinata alla riforma fiscale. Si tratta di misure temporanee e costose, mentre il sistema tributario diventa sempre più complesso.

La preparazione della legge di bilancio

Il governo ha annunciato  – anche se la soluzione definitiva si avrà con la prossima legge di bilancio – di voler prorogare per il 2024 lo sgravio dei contributi a carico dei lavoratori in vigore da luglio 2023. L’intervento, volto a sostenere il potere di acquisto dei redditi medio-bassi in periodo di inflazione, si affianca all’alleggerimento dell’Irpef, producendo un effetto cumulato che non è la semplice somma degli impatti delle due misure considerate separatamente. Come vedremo, l’aumento dell’Irpef determinato dalla decontribuzione, via ampliamento della base imponibile, è solo in parte compensato dalla riduzione dell’imposta sul reddito previsto dal primo decreto legislativo di attuazione della delega fiscale (da qui in poi: riforma Irpef 2024).

La proroga dello sgravio contributivo

Con la legge di bilancio per il 2023 il governo Meloni aveva confermato, e un po’ accresciuto, la riduzione dei contributi previdenziali introdotta dal precedente governo Draghi, stabilendo un taglio di 2 punti percentuali per le retribuzioni annue lorde (Ral) tra 25 e 35 mila euro e di 3 punti per le Ral inferiori a 25 mila euro. Successivamente, con il “decreto lavoro” (Dl 48/2023) lo sgravio è stato rafforzato in misura rilevante, portandolo rispettivamente a 6 e 7 punti percentuali, a parità di soglie reddituali, ma solo per il periodo luglio-dicembre 2023. La conferma per il 2024 dello sgravio contributivo, che in quanto fiscalizzato non incide sulla maturazione dei diritti pensionistici, ha un costo elevato, stimato, in attesa della valutazione ufficiale del governo, in circa 10 miliardi di euro netti.

La proroga della decontribuzione per il 2024 è criticabile sotto molteplici aspetti, non ultimo il fatto che, pur essendo un intervento temporaneo, sarà difficile fare marcia indietro perché il ritorno a un regime senza decontribuzione avrebbe costi politici assai elevati. Il risultato è di ipotecare anche i bilanci successivi al 2024, che dovranno reperire il finanziamento necessario per questo intervento, oltre a quello sull’Irpef, per un totale di circa 14 miliardi di euro.

C’è da dire che la riduzione del costo del lavoro per i lavoratori dipendenti consente anche a questa categoria di contribuenti di ottenere alcuni benefici, negli ultimi anni particolarmente rilevanti solo per i lavoratori autonomi a seguito dell’introduzione della flat tax delle partite Iva e della flat tax incrementale.

L’effetto cumulato della proroga dello sgravio contributivo e della riforma Irpef 2024

Quali sono gli effetti di questo pacchetto di interventi sui redditi netti dei lavoratori dipendenti? Per rispondere occorre tener conto di tre distinti meccanismi che incidono sui redditi netti:

1) la riduzione dei contributi a carico del lavoratore, che si riflette in un innalzamento del reddito complessivo Irpef;

2) l’aumento dell’Irpef derivante dall’ incremento di reddito, a parità di normativa Irpef;

3) la variazione del debito Irpef riconducibile alla riforma Irpef 2024, che potrebbe essere vista come una revisione introdotta anche per compensare l’effetto della decontribuzione sulla base imponibile dell’Irpef.

Va evidenziato che, tra le misure che qui commentiamo, soltanto la riforma Irpef 2024 costituisce una novità effettiva per i lavoratori rispetto al 2023. La proroga degli sgravi contributivi non comporterà ovviamente alcun beneficio aggiuntivo rispetto a quanto già accadeva nella seconda metà del 2023. È vero però che gli sgravi contributivi non sarebbero stati applicati nel 2024 senza la proroga (e il relativo finanziamento in deficit) da parte del governo. E quindi è giusto considerare congiuntamente l’impatto della decontribuzione e della riforma Irpef 2024 rispetto a uno scenario senza decontribuzione e con la struttura Irpef 2023.

La struttura delle aliquote contributive è molto variegata. A titolo di esempio qui si considera il caso di un impiegato a tempo indeterminato nell’industria in genere, che lavora in un’azienda con più di 50 dipendenti per l’intero anno e che ha iniziato a lavorare dopo il 1995. L’aliquota contributiva complessiva per questo lavoratore è pari al 38,85 per cento, di cui 9,49 per cento (scenario senza decontribuzione) a carico del lavoratore e 29,36 per cento a carico del datore di lavoro. La tabella 1 illustra le aliquote contributive a carico del lavoratore nei due scenari con e senza decontribuzione.

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Tabella 1 – Le aliquote contributive di versamento per il lavoratore dipendente in esame

Quanto ai profili fiscali, per semplicità, assumiamo che il lavoratore-contribuente considerato non benefici di oneri detraibili in sede Irpef e non valutiamo l’impatto delle addizionali regionali e comunali. Includendo questi due elementi i risultati di fondo non cambierebbero, anche se i profili di guadagno e perdita sarebbero più irregolari e differenziati territorialmente, per via delle addizionali. Al fine di rendere comparabili i risultati, applichiamo gli sgravi contributivi all’intero periodo di imposta anche nel 2023 e ipotizziamo che ogni livello di retribuzione lorda sia percepita per l’intero anno.

La figura 1 illustra per diversi livelli di Ral (cioè della retribuzione prima del prelievo contributivo a carico del lavoratore e del prelievo fiscale Irpef):

  • la riduzione dei contributi a carico del lavoratore rispetto a uno scenario base senza decontribuzione, ossia se il governo non fosse intervenuto con la proroga (linea rossa);
  • la variazione dell’Irpef, tenendo conto della riforma 2024, rispetto al regime in vigore nel 2023 (linea verde) e considerando anche l’aumento dell’imponibile derivante dalla riduzione contributiva;
  • il risultato cumulato dei due effetti (linea nera), ovvero la variazione del cuneo fiscale sul lavoratore.

Figura 1 – La riduzione del cuneo fiscale (valori assoluti)

L’andamento dello sgravio contributivo è di semplice comprensione: la riduzione dei contributi è costante fino a 11.813 euro di Ral, che è l’ammontare massimo fino a cui si applica il minimo contributivo. Successivamente aumenta, in valore assoluto, all’aumentare della Ral. La discontinuità che si osserva a 25 mila euro dipende dalla riduzione di un punto dello sgravio (da 7 a 6 punti percentuali), mentre quella che si osserva a 35 mila euro dipende dal venir meno, oltre questa soglia di Ral, della decontribuzione.

L’andamento delle variazioni dell’Irpef è più erratico e non coincide con quello che si avrebbe confrontando solo la riforma dell’Irpef con il previgente regime, per due motivi. Da un lato, le variazioni riportate nella figura 1 sono rappresentate a parità di Ral (che include i contributi del lavoratore) e non di reddito complessivo Irpef (che esclude quei contributi); dall’altro, gli effetti della riforma Irpef 2024 qui interagiscono con lo sgravio contributivo che fa aumentare il reddito assoggettato ad Irpef.

È interessante osservare che per Ral inferiori a 8.469, lo sgravio in sede Irpef è nullo, perché in questa fascia i contribuenti sono incapienti e per loro non è applicabile il trattamento integrativo. Successivamente, tra 8.469 e 9.295 euro, si verifica un forte guadagno, dovuto al fatto che la variazione dell’aliquota contributiva comporta l’aumento del reddito complessivo Irpef da una fascia di valori dove non è applicato il trattamento integrativo (il trasferimento monetario riservato ai lavoratori dipendenti qualora l’imposta lorda sia maggiore della detrazione per lavoro, quest’ultima decurtata di 75 euro a partire dal 2024, e il reddito sia inferiore a 15 mila euro) a una fascia dove invece trova applicazione. Tra trattamento integrativo e decontribuzione si può arrivare a un maggior reddito di circa 2 mila euro annui. Dopo questa soglia, e fino a 35 mila euro di Ral, la variazione dell’Irpef è sempre positiva, ossia vi è un aggravio di imposta, un po’ minore tra 25 e 29 mila euro di Ral per la diminuzione dello sgravio contributivo (che riduce il reddito Irpef e quindi la relativa imposta) rispetto ai redditi minori di 25 mila euro. L’andamento è così un po’ altalenante per l’interazione tra decontribuzione e Irpef (compresa la riforma del 2024). Dopo 35 mila euro, lo sgravio contributivo si annulla e l’Irpef si riduce, risentendo unicamente degli effetti della riforma Irpef 2024.

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Per comprendere meglio l’effetto della decontribuzione sul prelievo fiscale, la figura 2 si concentra sull’Irpef e separa i due effetti: aumento della base imponibile e riforma Irpef 2024. La linea verde misura l’effetto complessivo delle misure considerate sull’Irpef e coincide con quella rappresentata nella figura 1. La linea blu confronta l’Irpef del 2023 e quella del 2024 assumendo in entrambi i casi uno scenario con decontribuzione, il che consente di isolare gli effetti derivanti dalla sola riforma Irpef 2024. La linea rossa evidenzia le variazioni di imposta personale dovute all’aumento dell’imponibile a seguito della decontribuzione a parità di regime Irpef (quello pre-riforma), ottenuti cioè applicando il regime 2023 a uno scenario con e uno senza decontribuzione. Come evidenziato dalla figura, quest’ultimo effetto, che fa aumentare l’Irpef via ampliamento della base imponibile, è in parte compensato, ma non annullato, dalla riforma Irpef 2024.

Figura 2 – Effetto della decontribuzione sull’imposizione diretta (valori assoluti)

La riduzione percentuale del cuneo di imposta e le aliquote marginali

La figura 3 presenta la variazione del cuneo fiscale (linea nera grafico 1) in percentuale della Ral. Gli sgravi si riducono velocemente (con l’eccezione del salto tra 8.469 e 9.295 euro già commentato). Successivamente, fino a 35 mila euro, la riduzione del cuneo oscilla tra il 7,66 e il 4,12 per cento, con una lieve tendenza progressiva (lo sgravio percentuale tende prevalentemente a ridursi all’aumentare della Ral). A 35 mila euro la riduzione percentuale del cuneo scende rapidamente, per il venir meno della decontribuzione, e da lì in poi diventa trascurabile.

Figura 3 – La riduzione del cuneo fiscale (valori percentuali)

Un ulteriore aspetto rilevante è l’andamento delle aliquote marginali effettive dello scenario che si prospetta nel 2024. La figura 4 evidenzia la variazione del cuneo fiscale a seguito di un aumento pari a mille euro di retribuzione lorda, per Ral fino a 45 mila euro. L’andamento è fortemente discontinuo. Spiccano due irregolarità molto forti. A livelli bassi di reddito i valori decisamente negativi sono imputabili al trattamento integrativo di cui si è già detto. Questa incongruenza mette in evidenza ancora una volta l’erraticità dello strumento. Per valori di Ral nell’intervallo 17-25 mila euro le aliquote marginali sono già molto alte (attorno al 70 per cento), ma raggiungono un picco quasi del 200 per cento attorno ai 35 mila euro, quando la variazione della Ral determina la perdita dei vantaggi della decontribuzione, sicché ci si potrebbe trovare con un reddito netto più basso, pur con un aumento della Ral: un evidente disincentivo a lavorare di più.

Figura 4 – Le aliquote marginali effettive

In sintesi, la proroga della decontribuzione per il 2024 e la riforma Irpef 2024 hanno un indubbio effetto di sostegno dei redditi (non a caso il costo complessivo supera i 14 miliardi). La riduzione del cuneo fiscale sul lavoratore dipende soltanto dalla componente contributiva, perché quella fiscale aumenta, rispetto a uno scenario senza fiscalizzazione e nonostante la riforma Irpef 2024, a causa dell’aumento dell’imponibile dovuto alla decontribuzione. La complessità che ormai ha raggiunto il sistema fiscale e l’interazione fra le sue diverse componenti si traducono in andamenti erratici e discontinui dei benefici, in valore assoluto e in percentuale, non sempre giustificabili sul piano dell’equità. Anche dal punto di vista degli incentivi al lavoro, le misure del governo presentano forti criticità. Inoltre, gli interventi sui contributi e sull’Irpef sono temporanei e non hanno solide basi finanziarie; dovranno essere rifinanziati il prossimo anno. Chiamarle riforme è per il momento eccessivo.

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Il Punto

  1. Savino

    Sarebbe da mettere in discussione la stessa IRPEF, così come la conosciamo da decenni e la stessa identificazione del reddito come base imponibile, giacchè sono cambiate le dinamiche del mercato del lavoro ed anche il dualismo tra lavoro dipendente ed autonomo si è affievolito, così come siamo in presenza di forme di lavoro povero per la sussistenza, tanto da dipendente quanto da autonomo. E’ il patrimonio da portare in auge per l’imponibile. Più che di flusso derivante dalla remunerazione di fattori produttivi, si dovrebbe definire ricchezza solo lo stock di beni a disposizione. Una persona è ricca se ha qualcosa e, piuttosto che la dichiarazione dei redditi, bisognerebbe fare quella dei patrimoni (di beni registrati e non) per avere un potenziale di fisco più equo e con garanzia di maggior gettito per lo Stato.

  2. Alberto Sdralevich

    Quelli della mia generazione sono cresciuti con in mente la riforma Vanoni, cioè uno schema fondato su una visione organica della tassazione. Oggi sembra si proceda per aggiustamenti e correzioni, con piccoli favori e sulle linee di minor resistenza – senza nessuna visione d’insieme. Basta dire che ridurre il numero delle aliquote è considerato un obiettivo importante. Gli economisti se ne stanno a guardare. E l’ultimo al governo a parlare di una anagrafe dei capitali è stato Monti.

  3. Paolo S.

    L’aumento dell’Irpef 2023 e 2024 derivante dall’ incremento di reddito, a parità di normativa Irpef, avrà anche effetti sul calcolo delle future DSU dato che il calcolo dell’ISEE risente direttamente del redditto complessivo ai fini Irpef. Questo potrebbe pesare sulla percezioni di bonus legati alla soglie legate all’ISEE, in particolare l’Assegno Unico. Forse una proiezione degli effetti andrebbe fatta, perchè una riduzione del rateo del AU mensile andrebbe a ridurre gli effetti positivi della riduzione del contribuzione previdenziale dei lavoratori dipendenti.

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