I giudici tedeschi mettono i bastoni tra le ruote alla Bce, che sta usando la necessaria flessibilità per fronteggiare la crisi. Il programma di acquisto di titoli non è un finanziamento monetario del debito pubblico ed è pienamente giustificato dal mandato della Banca centrale.
La recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, ben riassunta e commentata dal punto di vista giuridico nell’articolo di Manzini, sembra trascurare alcuni punti cruciali sotto il profilo economico. Per chiarezza, è bene precisare che la sentenza riguarda il programma di acquisto di titoli di stato (Public Sector Purchase Program, Pspp) avviato dalla Bce nel 2015 e ripreso nel 2019 dopo una fase in cui era stato sospeso. Esso non è da confondere con quello appena lanciato per rispondere all’emergenza coronavirus: il Pandemic Emergency Purchase Program (Pepp) che pure prevede l’acquisto su larga scala di titoli pubblici, oltreché privati.
1) Il Pspp non fu introdotto per favorire il finanziamento del debito pubblico di qualche paese europeo ma per consentire alla politica monetaria della Bce di perseguire i sui obiettivi finali (stabilità dei prezzi e, in subordine, crescita economica) in presenza di tassi d’interesse ormai a zero. Una volta che i tassi d’interesse hanno raggiunto il “pavimento” (zero lower bound, Zlb) la banca centrale non ha altra arma che aumentare la dimensione del suo bilancio acquistando titoli sul mercato. Lo hanno fatto, prima e in misura maggiore della Bce, altre banche centrali in giro per il mondo, passando dal controllo dei tassi d’interesse al cosiddetto Quantitative Easing (Qe). Adottando il Pspp, la Bce non ha fatto altro che dare attuazione al proprio mandato, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione per raggiungere gli obiettivi assegnati dal suo statuto.
2) Il programma Pspp non costituisce un vero e proprio finanziamento monetario dei debiti pubblici dei paesi membri, se per “finanziamento monetario” si intende il finanziamento tramite emissione di moneta anziché tramite l’imposizione fiscale. È vero che la Bce acquista titoli del debito pubblico, ma è anche vero che quando questi titoli andranno a scadenza il Tesoro dei paesi emittenti dovrà restituire i soldi alla Bce, tranne nel caso in cui quest’ultima rinnovi i titoli in scadenza comprandone altri dello stesso importo (facendo così il roll-over dei titoli in portafoglio). La Bce ha assicurato che farà il roll-over per un periodo di tempo presumibilmente lungo ma non all’infinito. Quindi prima o poi i soldi andranno restituiti alla Bce, prelevando tasse a carico dei cittadini. Resta il vantaggio, per il settore pubblico dei paesi membri, di finanziarsi a costo nullo, poiché l’Eurosistema restituisce al Tesoro gli interessi ricevuti sui titoli pubblici in portafoglio. Ma questo vantaggio in conto interessi non va confuso con la possibilità di emettere moneta anziché prelevare tasse per finanziare la spesa pubblica.
3) Il programma che prevede l’acquisto di titoli pubblici a favore di un singolo paese, per contrastare eventuali attacchi speculativi non è il Pspp ma l’Omt: Out-right Monetary Transactions. Quest’ultimo fu introdotto nel 2012 in seguito alla celebre frase di Mario Draghi “whatever it takes” e trova la propria giustificazione nell’assicurare la trasmissione uniforme della politica monetaria in tutta l’area euro, evitando differenziali di tasso ingiustificati e distorsivi che potrebbero penalizzare non solo l’emittente pubblico ma anche i privati (imprese e famiglie). Com’è noto, questo programma (anch’esso oggetto di contestazioni teutoniche) non è mai stato attuato, pur avendo avuto una notevole efficacia nel ridurre gli spread di tasso tra un paese e l’altro, grazie a un potente effetto di annuncio. Una delle ragioni per cui non è mai stato usato è che, per accedere all’Omt, un paese deve prima concordare un programma di assistenza finanziaria con il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Finora questo comportava una pesante condizionalità: il tristemente famoso Memorandum of Understanding (MoU) concordato con la “Troika”. Oggi potrebbe non essere così, a fronte di un’assistenza finanziaria destinata a finanziare le spese sanitarie dovute alla pandemia. Ecco, per inciso, perché all’Italia potrebbe convenire chiedere l’aiuto del Mes in questa fase di gestione della crisi sanitaria. Non è l’unica: un altro motivo è il risparmio in conto interessi, che potrebbe non essere trascurabile se il finanziamento erogato dal Mes avesse, com’è auspicabile, una scadenza lunga.
4) Il coronavirus è uno shock simmetrico, poiché la pandemia ha colpito tutti i paesi europei (e non solo), ma i suoi effetti finanziari sono più pesanti e destabilizzanti per quei paesi che già partono da un rapporto debito/Pil più alto e che devono espandere considerevolmente il proprio debito pubblico per fare fronte all’emergenza economica e sanitaria. Ecco perché la Bce ha ora bisogno di intervenire in modo più flessibile che in passato. Può fare questo in due modi: o svincolare l’attivazione dell’Omt dal preventivo ricorso al Mes (come suggerito qui); oppure attuare il Pspp deviando dal principio secondo cui gli acquisti di titoli dovrebbero essere proporzionali alla dimensione di ciascun paese (secondo le capital keys, cioè la quota di ciascuna paese nel capitale della Bce). La Bce sta seguendo questa seconda strada: le informazioni finora disponibili indicano che negli ultimi due mesi gli acquisti di titoli di stato italiani siano ben superiori alla capital key del nostro paese, e lo stesso vale (seppure in misura minore) per Spagna e Francia. Al contrario, i titoli tedeschi sono “sotto-pesati” nel paniere di acquisti della Bce. La Bce ha lasciato intendere che la flessibilità potrebbe aumentare con il nuovo programma di acquisti: il Pandemic Emergency Purchase Program (Pepp). La sentenza della Corte tedesca pone una seria ipoteca su questa flessibilità: il rispetto della capital key è uno dei paletti posti dalla Corte affinché sia rispettato il principio di “proporzionalità”.
In conclusione: una sentenza veramente inopportuna, che mette in difficoltà la Bce in un momento in cui essa sta cercando di arginare gli effetti economici e finanziari di una crisi sanitaria gravissima, supplendo alle incertezze e ai contrasti tra i governi europei. Nella gara tra Azzeccagarbugli, solo il famigerato Tar del Lazio sembra essere in grado di battere la Corte costituzionale tedesca.
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Marco Ventoruzzo
Apprezzo come sempre la lucida analisi di Baglioni, di cui dico subito che comprendo (per quanto posso) l’argomento e condivido la sostanza. Aggiungo che vi sono buone ragioni per mettere in dubbio anche la logica giuridica dei giudici di Karlsruhe, come messo in luce da Manzini su questo sito e da un ottimo articolo dell’ex avvocato generale della ECJ (https://verfassungsblog.de/some-preliminary-remarks-on-the-pspp-decision-of-the-german-constitutional-court/) e altri. Metto solo in guardia dal liquidare i ragionamenti della Corte come deliri da Azzeccagarbugli, soprattutto se lo si fa considerando solo o quasi le implicazioni economiche. Per quanto esse siano rilevanti in ogni giudizio, a costo di cadere nel formalismo, è giusto che il diritto abbia una sua vita, dei propri valori e parametri, anche per la sua (potenziale) maggiore legittimazione democratica di altri tests, la cui cartina di tornasole non è solo l’economia. In questa prospettiva – e di qui, se vogliamo, anche la “pericolosità” – il giudizio tedesco non è facilmente ignorabile né banale, a costo di creare incomunicabilità tra le discipline, arroccamenti e incomprensioni.
Daniele
Mi sembra che questo articolo tralasci l’aspetto chiave della questione. Giuridicamente, la Corte tedesca potrebbe anche aver commesso una forzatura. Ma da quando è stato fondato l’euro, l’Italia si è avvantaggiata di un enorme riduzione dello spread e della spesa per interessi, per un lungo periodo di una decina di anni in cui avrebbe potuto fare le riforme. E non ha fatto nulla, mangiandosi centinaia di miliardi. Poi, con la prima crisi nel 2011, i nodi sono venuti al pettine – e i trattati europei sono stati interpretati, in nome della tenuta finanziaria, per concedere con un “whatever it takes” altri anni di risparmio all’italia, questa volta a svantaggio della germania, avvicinando i relativi rendimenti. E l’Italia ha promesso tanto ed effettivamente fatto qualcosa in termini di riduzione della spesa pensionistica. Poi, non appena è passata la nottata… via con quota 100 e reddito di cittadinanza! Ma per quanto tempo questo giochino poteva andare avanti? Indebitarsi sistematicamente più del consentito, sempre a un soffio dalle procedure di infrazione, ogni anno (crescita o no) a negoziare uno zerovirgola di debito in più, con la produttività che stagna da decenni… e poi visto che il debito pubblico Italiano è immenso tanto ci deve pensare la bce altrimenti salta tutto? Ma come possiamo pensare che un’Europa del genere possa andare avanti? Che solidarietà europea è quella in cui usiamo lo spread basso del whatever it takes per abbassare l’età pensionistica in deficit?
Pippo Calogero
Concordo pienamente. Aggiungo che i commentatori italiani sono tutti concentrati sull’aspetto giuridico della vicenda, mentre qua la questione che si pone è di sostanza e politica. La sensazione è che il Nord Europa si stia stufando dei nostri isterismi psichiatrici e che si stia preparando all’ipotesi che non ci sia alternativa all’ipotesi di buttarci a mare. Se continuiamo ad andare ai tavoli europei pensando che tutto ci sia dovuto, perché altrimenti ci facciamo saltare per aria, temo che avremo un brutto risveglio.
Henri Schmit
Chi ha letto anche solo una parte delle 100 pagine della sentenza ha notato che i richiedenti e quindi il tribunale non biasimano la BCE ma “gli organi costituzionali” tedeschi, Bundesregierung e Bundestag, nonché più di indirettamente la Bundesbank. L’argomento della proporzionalità della politica monetaria è effettivamente inconsistente; mai in mezzo secolo di storia del DM nella repubblica federale qualcuno si è sognato di contestare davanti al BVerfG la Bundesbank per interventi eccessivi o per omissione. La BCE non dovrebbe nemmeno rispondere alla sentenza o ai giudici. Ma i veri destinatari della sentenza sono messi davanti alle loro responsabilità costituzionali. L’Italia farebbe bene ragionare e agire nello stesso modo! Concretamente questo significherebbe che il governo italiano assumesse le proprie responsabilità di definire la politica economica e fiscale appropriata NEL EUROSISTEMA! Significa anche che conviene (!) rispettare le condizioni di convergenza con gli altri paesi. La convergenza costa più a colui che diverge che non a colui che da decenni converge.
Daniele
Concordo pienamente! Purtroppo non ho letto la sentenza, ma è chiaro che l’indecisione della politica nel definire correzioni adeguate in armonia con l’eurosistema è un problema principalmente di chi dissipa risorse e diverge in deficit. Aggiungo io, che il caso italiano è aggravato dal modo di fare riassumibile in “tanto siamo così grossi che alla fine la bce qualcosa dovrà fare, altrimenti esplode l’euro e ci perdono tutti”.