L’imprenditoria immigrata rappresenta una risorsa per il nostro paese, sotto molteplici aspetti. Le province dove è più alta la presenza di immigrati stranieri esportano di più all’estero e non solo verso i paesi di provenienza dell’imprenditore.
Immigrazione e commercio tra paesi
Secondo i dati Eurostat, nel 2019 era nato all’estero il 10,4 per cento della popolazione italiana (in valori assoluti 6 milioni e 298 mila persone): il 3 per cento era nato in paesi dell’Unione Europea e il restante 7,4 per cento in paesi extra-Ue. Rispetto agli altri paesi europei di pari dimensione economica, l’Italia si attesta su valori inferiori: nel 2019, su 100 abitanti, i nati oltre confine erano 18 in Germania, 14,2 nel Regno Unito, 13,9 in Spagna, 12,5 in Francia.
Numerosi studi hanno mostrato che la presenza di popolazione immigrata ha un effetto positivo sugli scambi commerciali fra gli stati di residenza e quelli di nascita degli immigrati. Nel trasferimento al paese di destinazione, infatti, gli immigrati portano con sé un capitale di informazioni e conoscenze inerenti al mercato del proprio paese che, se utilizzato, può tradursi in una effettiva riduzione dei costi di internazionalizzazione per le imprese nel paese di residenza. Per mancanza di dati appropriati, la quasi totalità dei lavori scientifici finora condotti non è stata in grado di distinguere fra l’effetto sul commercio internazionale dovuto alla presenza nel paese esportatore di lavoratori immigrati e quello dovuto alla presenza di imprenditori immigrati: i primi permetterebbero di diminuire i costi di internazionalizzazione fornendo informazioni alle imprese, per esempio quelle in cui sono impiegati; mentre i secondi internalizzerebbero i vantaggi di una conoscenza “di prima mano” del mercato di destinazione nella propria attività d’impresa, nuova o consolidata.
Imprenditori stranieri in Italia
In Italia, il fenomeno dell’imprenditoria immigrata è rilevante. Nel 2016, secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica, il 7,1 per cento delle imprese attive nel comparto industriale e dei servizi faceva capo a imprenditori nati all’estero. In termini assoluti si tratta di circa 320 mila imprese con oltre 700 mila addetti. Guardando alla composizione settoriale è interessante notare che la quota sale al 9,1 per cento nell’industria: il 2,7 per cento è nato in paesi Ue e il 6,3 per cento in paesi extra-Ue.
In termini di contributo al valore aggiunto il loro peso è ancora limitato (2,4 per cento del totale dell’industria e dei servizi), soprattutto in ragione della dimensione d’impresa, spesso contenuta (2,3 addetti medi per impresa). In alcuni comparti produttivi, tuttavia, il peso relativo degli imprenditori nati all’estero è relativamente alto: ad esempio, il 16,8 per cento del valore aggiunto nel tessile e abbigliamento è realizzato da imprenditori immigrati (in particolare cinesi, che rappresentano circa il 90 per cento del valore aggiunto degli imprenditori nati all’estero nel comparto). Nel commercio internazionale il ruolo degli imprenditori immigrati è decisamente più rilevante: il 13,5 per cento delle imprese della manifattura guidate da imprenditori nati all’estero è presente sui mercati esteri (Istat).
In un recente contributo (Bratti et al. 2020), analizziamo distintamente l’effetto della popolazione immigrata di imprenditori e non-imprenditori sulle esportazioni delle province italiane nel periodo 2000-2011. I risultati indicano che l’effetto degli imprenditori immigrati è positivo e significativo e si somma all’effetto della popolazione di immigrati non-imprenditori (che pure è positivo e significativo).
Tenendo costante il numero di immigrati presenti in una provincia, l’entrata sul mercato di un imprenditore immigrato in più aumenta le esportazioni verso il suo paese di nascita di circa 5.200 euro (calcolata nella mediana dell’export). In particolare, l’effetto positivo dell’imprenditoria immigrata sulle esportazioni non sembra limitarsi al solo accesso al mercato di nascita dell’imprenditore, ma ha un effetto positivo e significativo anche per l’export verso altre destinazioni. Lo si può interpretare in termini di una maggiore competitività (ad esempio, per produttività) delle province dove sono localizzati imprenditori stranieri. Al contrario non si rileva alcun effetto di maggiore competitività per la popolazione di immigrati non-imprenditori (in questo caso l’effetto stimato, seppure positivo, non è statisticamente distinguibile da zero).
Il nostro articolo analizza soltanto l’aspetto delle esportazioni. Per una valutazione complessiva dell’impatto dell’imprenditoria immigrata sull’economia italiana sarebbe necessario considerare altri fattori, come la possibile sostituzione di imprenditori italiani con imprenditori stranieri (effetto di spiazzamento), gli effetti sulla specializzazione produttiva del paese o gli effetti sul mercato del lavoro (per esempio, la creazione di nuova occupazione e la sua qualità). La ricerca esistente, ad esempio, mostra che favorire l’imprenditoria immigrata non rappresenta un metodo efficace per migliorare le condizioni economiche degli immigrati a “bassa qualificazione”, mentre non c’è ancora abbastanza evidenza sull’effetto di programmi di visto destinati specificatamente agli imprenditori stranieri (Magnus Lofstrom and ChunBei Wang, 2019). Inoltre, un’analisi degli effetti complessivi nel lungo periodo dovrebbe prendere in considerazione anche l’effetto sullo stock di innovazione generato dalla presenza di imprese gestite da imprenditori nati all’estero.
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Fabrizio Razzo
Positivo l’apporto di chi immigra per lavorare e intraprendere attività. Ma non diventi apologia accademica dell’immigrazione. Anche perché tanti “imprenditori “ stranieri approcciano in modo troppo disinvolto l’impegno non rispettando regole contrattuali, igieniche, sul lavoro minorile, ecc. facendo così concorrenza sleale. Anche lo studio citato si ferma al 2011 quando con la caduta di Gheddafi abbiamo subito ben altra immigrazione ove difficilmente si possono riscontrare potenziali imprenditori se non nel settore criminale.
Francesco Beghelli
Ricerca e soluzioni politiche innovative dovrebbe anche fare dei passi in più nella comprensione delle reti delle diaspore transnazionali dove le comunità nazionali distribuite permettono una globalizzazione dal basso. Se queste reti venissero riconosciute e supportate ci sarebbero spazi per creare innovazione, nuove opportunità economiche e nel contempo appianare le disuguaglianze internazionali. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano gli autori.
Massimiliano Bratti
Gentile Francesco, grazie del commento. Sicuramente gli imprenditori immigrati hanno una conoscenza migliore del mercato del paese da cui provengono. Creare delle reti, in cui questa conoscenza viene messa a disposizione ed a servizio delle imprese “native” che intendono entrare in quei mercati (ad esempio in qualità di intermediari all’export), soprattutto le PMI, ed avviare collaborazioni tra imprenditori potrebbe andare a beneficio di tutti, ed anche dell’innovazione. Almeno questa è la mia opinione.