Il Rem nasce per correggere i difetti di un sistema basato su misure categoriali. Ma prevede una molteplicità di criteri di accesso e di esclusione. Un trasferimento mensile basato sul numero di componenti della famiglia avrebbe dato risultati migliori.
Una misura per la categoria degli esclusi
La rete di protezione predisposta dal governo con il decreto “cura Italia” aveva alcuni buchi. Si tratta di una conseguenza inevitabile di un approccio alla protezione sociale basato su una miriade di programmi diversi per ogni categoria. In un mondo fatto di lavoratori atipici e informali l’illusione di trovare una soluzione per ogni categoria viene sistematicamente frustrata, e alcuni rimangono sommersi o impigliati nelle lentezze burocratiche necessarie a ogni prova dei mezzi.
Il “decreto Rilancio” prevede così l’introduzione del reddito di emergenza, una misura volta a tutelare gli esclusi dagli interventi ordinari e straordinari predisposti dai precedenti provvedimenti governativi. Quasi come una ammissione di colpa, il Rem interviene sulla categoria degli esclusi.
Per accedere al Rem è necessario rispettare una lunga serie di altri requisiti riguardo a Isee, patrimonio, presenza di titolari di pensione o di reddito da lavoro dipendente superiori a specifiche soglie, presenza di percettori di reddito di cittadinanza o dell’indennità di 600 per gli autonomi recentemente disposta dal governo. Il beneficio previsto, per chi rispetta tutti questi criteri, è pari a 400 euro se la famiglia è monocomponente, altrimenti la somma va moltiplicata per una scala di equivalenza fino a un massimo di 800 euro. Infine, possono richiedere Il Rem solo le famiglie che hanno un reddito lordo familiare al di sotto del valore del beneficio stesso.
Chi sono i beneficiari
Sulla base di simulazioni condotte con il modello Microreg costruito sull’indagine EU-Silc dell’Istat (per i dettagli delle stime si veda la nota Irpet), il Rem coinvolgerebbe una platea piuttosto ristretta di famiglie: poco più di 550 mila. Il costo della misura sarebbe pari a 280 milioni di euro per ognuna delle due tranche mensili previste dal decreto. Per il reddito di emergenza si è ipotizzato che tutti i potenziali beneficiari facciano domanda perché spinti da una situazione oggettiva di urgenza, mentre il reddito di cittadinanza si assume che lo riceva il 62 per cento di chi ne avrebbe diritto.
Le stime sul numero di beneficiari del Rem e sulla spesa differiscono per difetto da quelle della relazione tecnica che utilizza una fonte diversa – le dichiarazioni sostitutive uniche presentate a fini Isee – e che adotta una definizione di reddito familiare per il calcolo del requisito di accesso che non comprende tutte le componenti previste dal decreto (ad esempio, esclude il reddito da lavoro autonomo).
Tra i beneficiari del reddito di emergenza sono prevalenti le famiglie in cui il capofamiglia è disoccupato, con sussidi di disoccupazione ormai terminati o mai goduti, o il capofamiglia è un inattivo non pensionato.
Figura 1 – Famiglie beneficiarie del Rem per condizione professionale del capofamiglia.
Fonte: Microreg su dati EU-Silc, 2017.
Il paradosso del Rem è che, pur volendo correggere i difetti di un sistema basato su misure categoriali e selettive, ne condivide di fatto l’impostazione, introducendo una molteplicità di criteri di accesso e di esclusione. Per ottenere il Rem bisogna certificare, tramite i sistemi informativi, una molteplicità di condizioni. Procedure che tipicamente implicano costi per le famiglie e ritardi burocratici nell’erogazione. Ma se lo strumento serve a proteggere chi non è stato in grado di dimostrare di avere i requisiti per ottenere trasferimenti legati a specifiche categorie, ha senso basarne l’erogazione sulla prova dei mezzi?
Come utilizzare meglio le stesse risorse
Le risorse stanziate per cassa integrazione ordinaria e in deroga, indennità autonomi, reddito di emergenza sono pari a 8,6 miliardi per ogni mese in cui le misure sono in vigore. Con le stesse somme si poteva distribuire ai medesimi beneficiari, circa 9,1 milioni di famiglie, un trasferimento mensile, basato esclusivamente sul numero di componenti, da 528 euro per un single a 1.266 per una famiglia di cinque componenti. Erogazione che sarebbe potuta avvenire senza richiedere alcuna prova dei mezzi, ma sulla base di una semplice autocertificazione precompilata on-line in cui si dichiara di essere in regime di integrazione salariale, un lavoratore autonomo o disoccupato/inattivo privo di reddito di cittadinanza.
Sarebbero stati soldi immediatamente messi nelle tasche degli italiani. Soldi che secondo le nostre simulazioni sarebbero stati distribuiti in misura preponderante alle famiglie meno abbienti, come si vede dalla figura 2 che mostra la percentuale di quelle che avrebbero beneficiato maggiormente di un trasferimento a somma fissa e incondizionato rispetto alle misure introdotte dal governo ordinate secondo il loro reddito disponibile equivalente. Si tratta di una redistribuzione progressiva per effetto, principalmente, di un trasferimento di risorse dai lavoratori più garantiti – i dipendenti con cassa integrazione – ai meno tutelati (autonomi, precari, lavoratori in nero).
Figura 2 – Quota di famiglie con incremento del beneficio nel passaggio dal sistema degli interventi categoriali a quello universale.
Fonte: Microreg su dati EU-Silc, 2017.
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bob
signori qui bisogna ripartire da ” non è mai troppo tardi” visto il livello culturale e di conseguenza di mentalità di questo Paese altro che reddito. Perchè l’emergenza è la cultura sia si base che aziendale
Henri Schmit
Non ho gli strumenti per verificare l’interessante analisi, ma presa tale quale mi convince molto. La proposta è del tutto innovativa perché contrasta con l’approccio tradizionale della modulistica burocratica formale (con rifiuto per errore, incompletezza o scadenza superata) a favore di diritti sostanziali, non senza condizioni, ma a condizioni più generiche, quindi per più beneficiari e con costi pubblici più alti, ma alla fine forse più giusti e sicuramente più efficienti.
Lorenzo
Quello che serve veramente è un reddito di base, basso e fisso (€ 400/500) i cui parametri di accesso per reddito e patrimonio non devono includere il sussidio stesso e deve essere per metà cumulativo con eventuale reddito da lavoro e per l’altra metà integrativo di esso, senza ulteriori condizioni di accesso e di utilizzo. Ma sarebbe una cosa troppo onesta, troppo giusta e troppo ben fatta per essere realizzata in Italia, non è vero? Qualcuno forse si illude che la nostrana classe dirigente, politica ed amministrativa, ne sarebbe capace?
Dunia Astrologo
Il problema è: chi scrive le norme è stupido (come sembrerebbe), ignorante (anche questo è plausibile) o semplicemente classista, preferendo dare soldi a imprenditori o liberi professionisti con un reddito fino a 400.000€ (sic!) senza particolari richieste burocratiche, piuttosto che sostenere chi è veramente in difficoltà?