Il piano Colao contiene proposte stimolanti in tema di politica ambientale, carbon tax compresa. A finanziare gli interventi potrebbero essere le risorse europee. Eppure, il governo non sembra molto interessato ad accoglierne i suggerimenti.
Le 121 schede del piano Colao
Il comitato di esperti in materia economica e sociale – comitato Colao, per brevità – è stato istituito il 10 aprile, in piena crisi pandemica. A guidarlo è chiamato Vittorio Colao, manager di fama internazionale, ex amministratore delegato di Vodafone, McKinsey e molto altro. Non ancora sessantenne, bresciano, uno dei manager italiani più noti al mondo, Colao ha accettato di svolgere l’incarico per spirito di patria (cioè gratuitamente) e nonostante questo la nomina ha scatenato odiatori seriali e complottisti di varia natura, di cui non vale rendere conto.
Dopo un primo rapporto che conteneva raccomandazioni al governo sulla metodologia da seguire e le condizioni da realizzare per decidere sulle riaperture produttive programmate per il mese di maggio, il comitato – sempre su incarico e mandato del governo – si è applicato all’elaborazione di raccomandazioni tese a facilitare e rafforzare la fase di rilancio del paese nel post Covid-19 (rapporto “Ripartire in sicurezza”).
I tempi ristretti, l’ampiezza dei temi da trattare e la potenziale sovrapposizione di competenze con aree già presidiate da altri comitati, quale ad esempio quello sulla scuola, ha portato il comitato a elaborare un piano articolato senza un testo illustrativo, nella forma di 121 schede tematiche.
Per esplicito invito del governo, il comitato non ha trattato di temi che necessiterebbero di “riforme che richiedono tempi significativi di elaborazione e un alto grado di competenze specialistiche, quali ad esempio quelle della giustizia civile, della fiscalità e del welfare”.
Quale ruolo per l’ambiente
Ai lavori del comitato hanno partecipato esperti che certamente hanno a cuore e conoscono bene i temi legati alla politica ambientale. Prima di fornire indicazioni più operative, il documento evidenzia alcuni punti cruciali, dati di fatto su cui è necessario porre l’attenzione:
– la durata dell’iter autorizzativo delle infrastrutture energetiche sia in Italia superiore alla fase realizzativa degli impianti stessi (fino a 7 anni per i progetti più onerosi). È un tema affrontato infinite volte e opportunamente richiamato dal comitato;
– attualmente non sono previsti percorsi prioritari per progetti di transizione energetica, limitando di fatto le possibilità di raggiungere egli obiettivi previsti dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec);
– la pandemia Covid-19 rischia di rallentare la realizzazione dei progetti di transizione energetica, esponendo il sistema paese a un rischio climatico e competitivo a lungo termine. Oggi non sono affatto chiare le strategie che il paese intende darsi per andare oltre i limiti delineati in sede di Pniec;
– il post-Covid-19 richiederà uno sforzo supplementare (e risorse economiche, che però dovrebbero essere disponibili) non solo per non rallentare un processo in corso ma, al contrario, per spingerlo ulteriormente.
– la gestione dei rifiuti e delle attività di depurazione dell’acqua non sono equamente sviluppate sul territorio nazionale e nella maggior parte dei casi non soddisfino le direttive imposte dall’Ue, esponendo lo stato ad avvisi reiterati che si traducono in sanzioni pecuniarie e processi di moratoria. È un tema molto delicato su cui l’attenzione dei cittadini è alta. Ogni anno l’Italia genera circa 170 milioni di tonnellate di rifiuti, che sono in continua crescita e per i quali sono in aumento le quote esportate, a causa della mancanza di impianti per la loro gestione.
A partire da questi dati di fatto, le proposte messe in fila nel piano sono molte e rilevanti. Tra quelle più interessanti, la necessità di dotarsi di un articolato piano a lungo termine di decarbonizzazione che faccia esplicito riferimento alla carbon neutrality, come da linee guida europee. E si propone – ancora una volta, verrebbe da dire – di istituire una fiscalità energetica-ambientale, con una “carbon tax” che fissi il prezzo minimo del carbonio e disincentivi le imprese più inquinanti.
Il piano Colao si fonda su una comprensione più ampia del fenomeno climatico in attesa del prossimo rapporto Ipcc, previsto fra circa due anni. Sul tema della decarbonizzazione si sono già chiaramente espressi l’Unione europea, il governo italiano e le diverse agenzie internazionali. Sarà ora molto rilevante vedere come intenda comportarsi il sistema generale delle imprese, nazionali o meno.
Le risorse
Pur considerando che in molti casi le azioni proposte dal piano possono essere organizzate e gestite con misure a costo zero, in altri il finanziamento è demandato a risorse pubbliche. Tra le risorse europee potenzialmente utilizzabili, il più adatto sembra essere lo strumento Next Generation EU proposto dalla Commissione Ue. Nelle parole della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si tratta di un grande recovery plan “per fare in modo che la ripresa sia sostenibile, omogenea, inclusiva ed equa per tutti gli stati membri”. Naturalmente, il finanziamento delle azioni (o almeno di una loro parte) previste nel piano sarà in competizione con le molte altre iniziative che il governo intenderebbe realizzare con queste risorse.
Il nuovo strumento europeo per la ripresa verrà dotato di un budget a lungo termine, moderno e rivisto periodicamente dall’Ue. Comprenderà 500 miliardi di sovvenzioni condizionate (grants) emesse direttamente dalla Commissione, mentre altri 250 miliardi saranno prestiti a lunga scadenza. A beneficiare maggiormente del fondo saranno i paesi più colpiti dal coronavirus, tra cui l’Italia, a cui spetterebbero 172,7 miliardi di euro, di cui 81,8 a fondo perduto: è la quota più alta destinata a un singolo paese sia in termini assoluti, sia per quanto riguarda gli aiuti a fondo perduto e i prestiti. Il secondo stato è la Spagna, con un totale di 140,4 miliardi, divisi tra 77,3 miliardi di aiuti e 63,1 miliardi di prestiti.
Come mettere insieme le proposte previste dal piano Colao con le risorse che potrebbero arrivare da Bruxelles è un difficile compito, che spetta al governo.
Il piano Colao è stato salutato tiepidamente dal governo (“un buon lavoro” ha detto il presidente del Consiglio in tono liquidatorio), non è stato firmato dal consigliere economico di Palazzo Chigi, Mariana Mazzucato, ed è stato accolto con maggiore favore da parte dell’opposizione più che dalla maggioranza.
Agli Stati generali – dove è stato presentato al governo in quaranta minuti – ha ricevuto un’accoglienza che i commentatori hanno definito “distratta”. Non tutti i ministri erano presenti e il benaltrismo governativo l’ha fatta da padrone.
Le prossime settimane saranno fondamentali per capire il destino del piano Colao, che però appare segnato. Un esercizio cristallizzato in 121 slide o un piano per il futuro a trent’anni nel nostro paese? A breve la risposta.
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Savino
Non tocca ai cittadini, già provati dalla crisi, cambiarsi l’auto o l’elettrodomestico così come è sempre iniquo continuare ad analizzare le pattumiere domestiche e condominiali a fronte di grandi realtà industriali che inquinano e di società partecipate che non smaltiscono a dovere, per non parlare di quanto il malaffare ha messo la mani in materia.
Paolo Rossi
Si ha come l’impressione che il governo sia fortemente preoccupato di perdere i notevoli proventi dalle accise sui prodotti energetici… nel caso di una sostanziale decarbonizzazione si assisterebbe ad una massiccia riduzione dei costi sostenuti da cittadini ed imprese e parallelamente una analoga riduzione degli introiti pubblici… in un quadro di fortissimo debito pubblico evidentemente non è consentita alcuna riduzione delle entrate pena far saltare lo spread a livelli insostenibili…
In ogni caso questo comportamento da parte di un governo che dovrebbe essere progressista-riformista proprio non lo comprendo.