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Un piano per la capitalizzazione delle imprese

Il piano Colao prevede due interventi per il rafforzamento patrimoniale delle imprese: un’Ace più incisiva e incentivi per le persone fisiche che investono in Pmi. Sono misure relativamente semplici, attuabili subito e utili al nostro sistema produttivo.

La storica sottocapitalizzazione delle imprese

Il rapporto Colao non ha l’ambizione di proporre un’ampia riforma fiscale, ma ha alcune idee chiare sul fisco delle imprese che serve al paese. In particolare, sono condivisibili e meritano attenzione le misure che ruotano intorno al rafforzamento patrimoniale (schede 4.i, 4.iii.a e 4.iv).

Le ragioni della modesta capitalizzazione delle imprese italiane sono note da molto tempo. Il sistema è storicamente bancocentrico per la scarsa dimensione del mercato azionario, ma anche per la repulsione verso la condivisione delle decisioni da parte del grosso dell’imprenditoria italiana. Meglio avere debiti e comandare che avere capitale di rischio, ma dover condividere le scelte. Sennonché l’avvento dell’epidemia ha messo ancor più in chiaro che il mondo è uno e che per starci dentro occorrono spalle più larghe. E che con troppi debiti, seppure a buon mercato come sono quelli che il governo ha garantito per sostenere la crisi di liquidità delle imprese, le spalle si restringono. Anche il timido tentativo di riequilibrare le fonti di finanziamento con il decreto rilancio è insufficiente. Il rischio è alto: l’eccesso di debito potrebbe essere non sostenibile nel medio periodo e tradursi in una perdita netta anche per lo Stato (che non vedrebbe ripagati i debiti su cui ha prestato garanzia).

Il rafforzamento e la stabilità dell’Ace

Il rapporto Colao fa sue queste considerazioni e propone due diversi interventi. Il primo è rivolto a tutte le imprese: più capitale apportato uguale minori imposte sul reddito da pagare attraverso un’Ace (Aiuto per la crescita economica o, più propriamente, Allowance for Corporate Equity) più incisiva dell’attuale. La misura, anche se chiamata incentivo, è in realtà sistemica e se ne auspica propriamente la stabilizzazione. Sarebbe l’ora, dato che questa componente strutturale del sistema di imposizione delle società ha avuto un suo primo parziale esordio nella metà degli anni Novanta (col nome dual income tax, governo Prodi), per essere poi abolita nel 2001 (governo Berlusconi), successivamente reintrodotta come vera e propria Ace nel 2011 (governo Monti) e poi ancora abolita nel 2018 dal governo giallo-verde e quindi nuovamente ripristinata l’anno successivo dal governo giallo-rosso. Il valore del beneficio deve, però, dare luogo a un evidente vantaggio a favore dell’apporto di capitale di rischio rispetto a quello di debito perché, altrimenti, il secondo risulterà sempre preferibile rispetto al primo. Condivisibile anche la super-Ace per imprese che investono in tecnologie green, per tenere conto delle esternalità positive di questi investimenti e della loro priorità.

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La canalizzazione del risparmio privato verso le società non quotate

L’altro intervento per il rafforzamento patrimoniale delle imprese è rivolto, invece, agli investitori e più precisamente alle persone fisiche che investono in Pmi e, più in generale, in società non quotate. Qui si tocca il cuore del sistema finanziario e imprenditoriale italiano. Misure fiscali di sostegno all’investimento di persone fisiche in capitale dell’economia reale esistono già: sono i Pir (Piani individuali di risparmio). Sennonché questi ultimi si rivolgono pur sempre a società quotate, ancorché di scarsa capitalizzazione. Per arrivare al cuore dell’impresa nostrana e canalizzare l’elevato risparmio privato immobilizzato nei conti correnti e depositi bancari verso l’economia reale occorre allora qualcos’altro. Ma è pensabile che un’impresa di medio-piccole dimensioni e non quotata raccolga capitali da sola? È pensabile che vi sia una fascia sufficientemente larga di investitori che ne sottoscriva i titoli? Il rapporto Colao considera poco realistica questa possibilità e ne ipotizza la canalizzazione attraverso fondi dedicati, sottoscritti da “investitori al dettaglio qualificati” che possano procedere a investimenti relativamente rischiosi ma di dimensioni minori (gli attuali “investitori qualificati” devono investire almeno 500 mila euro; ai nuovi ne sarebbero richiesti solo 100 mila). Gli investitori “semiqualificati” godrebbero della piena detassazione dei profitti realizzati (cioè dei rendimenti loro attribuiti dal fondo, ordinariamente tassabili al 26 per cento) sempreché mantengano la quota di fondo sottoscritta per almeno cinque anni. L’agevolazione dovrebbe riguardare anche l’eventuale capital gain sulla cessione della quota di fondo decorso il quinquennio. Per converso, se il fondo realizza una perdita superiore al 30 per cento dell’ammontare investito, l’investitore persona fisica avrebbe diritto a un corrispondente abbattimento dal suo reddito imponibile. Manca un’agevolazione per l’imprenditore-socio che intendesse capitalizzare direttamente la propria impresa e che non avrebbe bisogno, quindi, dell’intermediazione di un fondo dedicato.

Gli interventi di natura civilistica

Le misure fiscali sono giustamente accompagnate da interventi di natura civilistica. Così si ipotizza la modifica dell’articolo 2483 codice civile per rendere più agevoli sia gli aumenti di capitale che l’emissione di strumenti di debito, obbligazioni convertibili incluse (scheda 4.i). Si ipotizza inoltre (scheda 4.iv) la creazione di un azionariato speciale cosiddetto di filiera. In questo contesto, il “capocordata” (per ipotesi Fca) potrebbe sottoscrivere, con durata prestabilita, azioni speciali o strumenti finanziari partecipativi emessi dalle società di filiera (per esempio, fornitori o distributori) lasciando in capo ai loro soci i poteri di gestione e con meccanismi di estinzione o rimborso del finanziamento predeterminati.

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Nel complesso, dunque, un insieme di misure relativamente semplici e concrete, attuabili anche subito, in grado di rafforzare il sistema produttivo italiano e con esso l’occupazione.

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  1. Michele

    Scimmiottare mercati più evoluti, senza averne le capacità. non può che portare a delusioni. L’azionariato diffuso in piccole realtà quotate o addirittura non quotate va nella direzione di alimentare il “parco buoi” che prima o poi viene tosato. Gli incentivi fiscali in questo senso rendono complici della tosatura e aumentano le commissioni. A mio giudizio il punto centrale è far funzionare gli strumenti attuali, senza inventarne di nuovi e malfatti. I fondi comuni aperti, ad esempio, sono lo strumento principe per tutelare il risparmiatore (Liquidità e trasparenza) e garantire capitale di rischio alle imprese (Selezione e stabilità), ma occorre ridurne i costi, aumentare la trasparenza e evitare i conflitti di interesse, cosa che non vuole dire necessariamente aumentare i costi di compliance e risk management

  2. Savino

    Punterei di più su finanziamenti intergenerazionali di diritto privato. Giacchè il capitale è soprattutto nelle mani dei seniores si potrebbero ipotizzare forme sociali vincolate alla nascita di start up con titolari junior.

  3. Henri Schmit

    Sarei d’accordo con gli autori se non avessi una grave perplessità, a meno che mi sfugga un dettaglio: non capisco la ratio del minimo di 100k da investire in una PMI per godere del beneficio fiscale. L’investitore quasi professionale (come quello professionale da mezzo milione) sarebbe privilegiato. Non mi sembra difendibile. Il vantaggio deve valere per tutti. Le categorie summenzionate servono per tutelare l’investitore retail contro l’assunzione di rischi sconsiderati, per esempio di fronte a investimenti in strumenti speculativi, a leva. Qua parliamo invece di regime fiscale di favore. Anche la limitazione a certe PMI pone problema. Le PMI possono essere quotate o no. Perché escludere società quotate e società più grandi. Titoli quotati presentano la garanzia delle informazioni obbligatorie, vagliate formalmente da CONSOB e valutate nel merito da operatori privati che pubblicano report. PMI non quotate non presentano le stesse garanzie ma non c’è ragione di escludere gli amici del medio imprenditore dal vantaggio fiscale. L’unico problema è l’offerta pubblica (di un aumento di capitale); quella cade però nelle competenze di CONSOB, che la società sia quotata o no. Se poi la CONSOB non sa fare il proprio lavoro è un’altra questione. Il volano sul capocordata mi sembra ancora più confuso, in linea con i bizantinismi italici. Si capisce che il team del super manager londinese era più italiano che anglosassone …

  4. Quello che emerge dal “campo” è che occorre un set di regole più semplici ed accessibili nel breve periodo, in modo che le imprese, in particolare le PMI che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo, possano avere gli strumenti necessari per sostenere sia il modello di business (per molti da rivedere anche profondamente), sia per ricorrere alla liquidità sempre più carente.
    Sul punto, i diversi decreti emanati nulla prevedono per le micro/piccole-imprese. Infatti, l’art. 26 del D.L. 34/2020 (c.d. Rilancio) rubricato “Rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni” prevede misure agevolative a fronte della patrimonializzazione delle società di capitali residenti in Italia. L’agevolazione, con modalità e requisiti diversi, riguarda contemporaneamente sia il socio che apporta il conferimento, che la società che lo riceve. I requisiti per accedere alle due agevolazioni sono tarati per quelle società di capitali che hanno un un range di ricavi 2019 tra i 5 e i 50 mln di euro, oltre ad una riduzione dei ricavi complessivi causa Covid-19 nel mese di marzo e aprile 2020 superiore al 33% dello stesso periodo dell’anno precedente.
    Quanto sopra è chiaramente insufficiente e tra i i diversi interventi che potrebbero trovare il giusto sostegno, sono da citare: conferimenti di aziende e fusioni o aggregazioni di imprese, reti di imprese e integrazioni di filiere, prestiti partecipativi e strumenti finanziari alternativi.

  5. Paolo Sbattella

    Il sostegno alle PMI e’ fondamentale per la tenuta economica della nazione. Ben vengano misure atte a rafforzare patrimonialmente le imprese che, come e’ noto, in Italia sono sottocapitalizzate. Le attivita’ finanziarie delle famiglie italiane, secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca d’Italia sono pari circa a 4.374 miliardi di euro di cui si stima che circa 1.500 miliardi di euro siano in conti correnti e depositi bancari. Queste risorse finanziarie che testimoniano la grande virtu’ e capacita’ degli Italiani di risparmiare (e che smentisce definitivamente coloro che in Europa definiscono gli Italiani un popolo di cicale)
    va sapientemente canalizzato nell’investimento in quote e azioni di aziende italiane ed anche verso la sottoscrizione dei titoli del debito pubblico italiano. Si ricorda anche il recente intervento in occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario in cui l’autorevole Prof. Paolo Savona Presidente della Consob ha con l’intelligenza e conoscenza dell’economia e dei mercati finanziari che lo contraddistinguesostenuto che, per il bene dell’Italia e per il suo futuro, vadano emessi dallo Stato titoli irredimibili con un rendimento intorno al 2% e l’adozione di una criptomoneta pubblica con cui il sistema dei pagamenti si muoverebbe indipendentemente dalla gestione del risparmio che quindi si riverserebbe sul mercato. Si ascolti il Prof. Savona, l’Italia ha bisogno di una mente lucida come la sua. Anche chi ci governa.

    • Henri Schmit

      Forse hanno ragione, il commentatore e il prof. Savona. Preciso solo che bond perpetui non hanno nulla di magico. Rispetto ad un trentennale – che oggi rende 2,50% lordo circa – lo stato paga un po’ di più – quindi intorno al 3% – riservandosi la facoltà di redimere a partire di una certa data (da precisare!) solo se riterrà che a lui conviene. Tutto dipende dal tasso di attualizzazione che l’emittente E IL SOTTOSCRITTORE ritengono congruo; è funzione dell’inflazione/crescita attesa. La decisione di redenzione dipende dai tassi d’interesse lunghi futuri. Il recente BTP Futura, decennale, con possibile step-up, mi sembra uno strumento più intelligente. Entrambi c’entrano però poco con la ricapitalizzazione delle imprese. Anzi il debito pubblico consuma risparmio che potrebbe essere investito nelle imprese. Il problema del prof. Savona è che ha perso la credibilità per definire una politica economica e fiscale CONVERGENTE con quella dei partner dell’euro-sistema. Quando l’Italia deciderà di rendersi indipendente dal’euro-gruppo (dopo le elezioni del 2023?), di fare di testa propria, o eseguendo la volontà dell’urna elettorale, allora il rientro in scena del professore potrà essere prezioso.

      • Paolo Sbattella

        Egr. Sig. Schmit, nell’apprezzarLa anche per altri commenti su la voce.info, preciso che se i titoli irredimibili proposti sono ben oltre la scadenza dei 30 anni il problema e’ se siano appetibili sul mercato.
        E’ vero che il debito pubblico assorbe molte risorse finanziarie degli investitori e magari in parte non arrivano alle imprese, ma cio’ che c’è da tenere sotto controllo e’ la sua entita’ ed il rapporto deficit su Pil. Sono dell’idea, anche nel momento attuale, che non deve essere ulteriormente aumentato, se non per quella parte strettamente necessaria alla situazione attuale. Il Prof. Savona e’ un economista che non ha pari in Italia per studi, incarichi accademici e varieta’ di incarichi lavorativi e professionali e va ascoltato per la sua profondita’ e non sempre osteggiato da più parti perche’ ha mosso rilievi alla politica economica e fiscale dell’Unione europea. Il tutto in base ad un’analisi ed avanzando proposte intelligenti. Altro spesso contrastato e’ il giurista Prof. Giulio Tremonti, con analisi e proposte efficaci e di impatto per l’economia nazionale.
        L’Italia ha bisogno di queste 2 personalita’ soprattutto in un momento difficile come l’attuale, in cui occorre saper leggere da tecnici dati e situazioni e fornire soluzioni pratiche da attuare per il bene dell’Italia. Soprattutto per il suo futuro.

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