Concentrare il dibattito sulla velocità di connessione non tiene conto degli effetti che il passaggio al 5G comporta sulla struttura stessa delle reti e del mercato. All’ipotesi di sviluppo dall’alto se ne affianca una dal basso, che dà più garanzie.

Cosa significa passare al 5G

Il dibattito sui ritardi nella digitalizzazione del nostro paese ha il suo epicentro sulla bassa velocità di connessione che le attuali reti assicurano a cittadini e aziende e sulla necessità di realizzare, il più rapidamente possibile, reti di nuova generazione ad alta capacità, quelle che l’Europa chiama “Very High Capacity Network”. Il Covid-19 ha accelerato la sensazione di urgenza: l’aumento esponenziale dell’utilizzo di strumenti di commercio, didattica e interazione a distanza ha infatti reso visibile a tutti la necessità di una rete di comunicazioni efficiente, sicura e affidabile. La conclusione è stata: abbiamo bisogno di concentrare gli sforzi e di utilizzare le risorse in arrivo dal Recovery Fund per realizzare una rete “a prova di futuro”; una rete “unica”.

Il ragionamento concentra il dibattito sulle caratteristiche tecniche della rete futura, sulla “larghezza di banda” e la conseguente velocità di connessione che sarà in grado di garantire al paese, ma non considera gli effetti che il passaggio alla quinta generazione (5G) sta per introdurre sulla struttura stessa delle reti e del mercato. Alla descrizione dei cambiamenti strutturali è dedicato questo contributo. In un articolo successivo analizzeremo le conseguenze che ciò comporta sul dibattito in corso sulla rete “unica” (che preferisco chiamare “neutrale”), sul suo perimetro e sulla forma che potrà assumere in Italia.

La materializzazione di Internet

La caratteristica profondamente innovativa del 5G non è la bassa latenza o l’aumento della larghezza della banda, ma il diffuso utilizzo delle tecnologie wireless per connettere “oggetti” e la nascita dell’Internet delle cose. In una parola: la “materializzazione” di Internet.

La descrizione della rete come luogo dell’immateriale si adattava alle caratteristiche della prima fase dello sviluppo del web, con servizi che non avevano bisogno di oggetti fisici per funzionare in modo efficiente. Una e-mail, una ricerca sul web, l’ordine di un oggetto o lo “streaming” di un film erano attività che non avevano bisogno di una rete fisica dedicata. Con il 5G questo cambia radicalmente; è possibile costruire reti “attorno” ai servizi, aggiungere server di contenuti, sensori, attuatori, “oggetti” che potenziano l’efficacia e la qualità del servizio.

Non si tratta di una semplice transizione tecnologica. L’evoluzione cambierà “driver” e protagonisti degli ingenti investimenti necessari per realizzare le reti di nuova generazione e, di conseguenza, avrà effetti duraturi sulla struttura del mercato e sul futuro valore dello spettro. Cerchiamo di capire perché.

Nello scenario 5G sono le esigenze del servizio a definire le reti fisiche specifiche che ne esaltano la qualità; reti dedicate, flessibili e intelligenti, costruite attorno al servizio e integrate con gli oggetti fisici che lo rendono possibile. Già in passato avevamo reti di questo tipo: le reti mobili o di “broadcasting” radio-tv con i loro trasmettitori specializzati o le reti degli “operatori Tlc infrastrutturati” (Fastweb ad esempio) che integravano e potenziavano la rete dell’ex-monopolista con segmenti di rete in fibra. Si trattava però di eccezioni. La norma era l’acquisto di servizi “wholesale” dall’operatore storico e la rivendita agli utenti finali. Il modello era quello della “access based competition” (concorrenza basata sull’accesso) sulla base della direttiva Ue della “Open Network Provision”, con una spinta verso la competizione infrastrutturale data dal modello della “scala degli investimenti”, da salire per replicare e stimolare lo sviluppo della rete dell’incumbent.

Nell’ecosistema 5G, lo sviluppo sinergico di reti e servizi sarà invece la regola, con la realizzazione di reti costruite “attorno” ai servizi del futuro: computer al bordo delle strade e sui veicoli che potenziano la rete di comunicazione e rendono possibile la guida assistita e autonoma; reti di distribuzione dei contenuti (Cdn) che ottimizzano il flusso dei contenuti della tv in “streaming” per rendere possibile una visione senza interruzioni ad alta risoluzione; set-top-box di intrattenimento domestico, sensori e apparati medici per la medicina di prossimità e per abilitare i sistemi di produzione 4.0.

La competizione tra operatori infrastrutturati diverrà dunque la regola e gli investimenti in reti “su misura” il suo strumento principale. Ma come si svilupperà il nuovo ecosistema? Quali saranno i suoi “driver”?

Sviluppo dall’alto o dal basso?

La prima “ipotesi di sviluppo” dell’ecosistema 5G è stata quella “dall’alto”, “top down”. Le reti specializzate nei singoli servizi nascono come “slicing” (affettamento) di una rete “madre”, i cosiddetti “verticals”. Si tratta di uno scenario di elezione per le Telco (e per gli over-the-top – Ott – come Google, Amazon o Facebook) perché la rete “madre” risponde all’identikit delle attuali reti incumbent: deve infatti avere la possibilità di utilizzare tutte le possibili soluzioni tecnologiche (dalla fibra, al wireless, al cloud), di gestirle in modo virtuale e trasparente all’utente finale e di offrire a quest’ultimo una rete virtuale dedicata (una “slice”) grazie a sofisticati algoritmi di orchestrazione. È uno scenario nel quale una società di streaming video, una casa costruttrice di automobili, una grande azienda di produzione, un (aero)porto, un ospedale o un produttore di apparecchi medicali realizzano le proprie reti in modo virtuale, “orchestrati” da operatori che gestiscono per loro comunicazione, “cloud” e intelligenza dei processi assegnandogli una fetta dedicata della rete “madre”.

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Questa “ipotesi di sviluppo” delle reti di nuova generazione ha però una conseguenza altamente indesiderabile. Il peso degli investimenti sulla rete fisica tende a ricadere tutto sul gestore della rete “madre”, con l’effetto di condizionare la qualità del servizio di tutte le reti specializzate alle decisioni di investimento del super-incumbent. Inevitabilmente, ci troveremo di fronte a un bivio. Da un lato, la continuità, con la gestione affidata agli attuali operatori di telecomunicazioni interessati a non uccidere troppo presto la “cash-cow” del 4G o delle reti già esistenti e la conseguente, inevitabile, minor enfasi sugli investimenti nelle nuove reti e nello sviluppo dei servizi del futuro. Dall’altro, potremmo assistere all’affermazione di operatori con tasche molto profonde e capacità di trasformare in valore il ruolo di orchestratore. In questo schema, il processo che aveva portato alla nascita degli Ott con una fornitura di servizi “in cambio” di dati verrebbe replicato e amplificato nel nuovo scenario della rete materializzata. Infatti, per consentire all’orchestratore di ottimizzare la struttura della rete “attorno” al servizio, un’azienda dovrebbe mettere a sua disposizione dati di produzione e informazioni sulla struttura dei suoi processi. Una vera e propria cessione del proprio “patrimonio aziendale”. I gestori delle “slice” diverrebbero rapidamente gli Ott della prossima generazione.

Lo scenario “top down” non è però inevitabile. Un possibile scenario alternativo non solo esiste in teoria, ma prende già una forma molto concreta in alcuni paesi europei, con in testa il Regno Unito e la Germania. Si tratta di un’ipotesi di sviluppo nella quale lo sviluppo parte “dal basso”, “bottom up”, e dalla realizzazione di reti 5G locali, gestite dai “service provider”, sicure e “blindate” verso l’esterno. Sono reti nelle quali i dati e le informazioni sui processi vengono protette da accessi esterni e che si aprono alla condivisione in modo controllato e protetto. Queste reti sono state definite in molti modi: regionali, “campus”, locali. Credo che la definizione più appropriata sia quella di “reti-servizio”. Un termine che include la rete (Lan) del singolo utente domestico ma anche la rete di un ospedale o del servizio di sanità pubblica, di un’infrastruttura di trasporto, di una fabbrica 4.0, di un operatore di “streaming tv” o di un operatore di telefonia mobile.

Il processo di sviluppo “bottom up” avrebbe una natura “favorevole agli investimenti” (investment friendly), ogni fornitore di servizio specializzato avrebbe tutto l’interesse a realizzare la propria rete-servizio. Si tratterebbe di un coinvestimento di nuova generazione: non scavare insieme la stessa trincea o realizzare un cavidotto comune, ma contribuire alla realizzazione delle nuove reti 5G investendo, in parallelo, su reti-servizio distinte e tra loro in competizione. All’aspetto del coinvestimento si aggiungerebbe anche quello del contributo all’avanzamento tecnologico e soprattutto alla cybersecurity “by design”. Le reti-servizio non sarebbero “fette” di una rete “madre” sulla quale circolano i pacchetti di tutti, ma potrebbero essere progettate con protezioni verso le intrusioni “dall’esterno” e rese sicure per una gestione autonoma del proprio servizio, sulla propria rete e condividendo i propri dati in modo controllato.

Si tratta di un’ipotesi di sviluppo che non azzererebbe la competizione infrastrutturale, ma la sposterebbe dalla competizione basata sull’accesso e dalla “scala degli investimenti” degli anni Novanta alla competizione tra reti specializzate dedicate allo stesso servizio: la soluzione per la rete dedicata alla gestione di un porto dell’operatore A contro la soluzione per lo stesso servizio proposta dall’operatore B. Inoltre, grazie alla dimensione locale della sfida, non favorirebbe solo i giganti del web, ma anche la creatività e la capacità imprenditoriale di centinaia di aziende, anche di piccola e media dimensione.

Una ipotesi astratta? Non è così. Questa ipotesi deve essere piaciuta ai giganti industriali che solo marginalmente erano stati toccati dalla prima Internet, quella immateriale, e che invece si vedevano minacciati dalla nuova Internet delle cose. In Germania, il fondamentale settore dell’automotive e la grande industria manifatturiera hanno rifiutato immediatamente l’idea di essere orchestrati dal super-incumbent e hanno fatto propria l’ipotesi di uno sviluppo “dal basso” dell’ecosistema 5G. Il “driver” principale della scelta e del parallelo lancio dell’iniziativa del “cloud” europeo Gaia-X è la crescente percezione del valore dei dati, molto bassa da parte degli utenti ma altissima da parte di aziende e organizzazioni pubbliche. Il “capitalismo della sorveglianza” ben descritto da Shoshana Zuboff si è potuto affermare per la disponibilità degli utenti a cedere dati e informazioni personali in cambio di servizi. La stessa disponibilità non esiste per le aziende. Nello scenario della “materializzazione” di Internet il numero di imprese e organizzazioni che attribuiscono grande valore ai dati prodotti nei propri processi cresce in modo considerevole e aumenta la percezione del fatto che gli algoritmi di “data mining” arricchiscono il valore dei dati aziendali e creano valore per gli azionisti.

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Necessità di uno spettro di servizio

Il nuovo scenario ha un effetto non trascurabile anche sulle modalità di gestione dello spettro. Una rete servizio può essere facilmente protetta e isolata nella sua porzione fissa, fibra e connessioni cablate, ma ha bisogno di spettro dedicato (non condiviso) per la sua porzione wireless. Proprio per motivi di sicurezza e protezione dei dati, non può utilizzare lo spettro e gli impianti dei classici operatori di telecomunicazioni e non può limitarsi a utilizzare l’angusto e poco protetto spazio ora riservato ai collegamenti wi-fi. Era dunque inevitabile che il primo segnale dell’affermarsi delle reti-servizio nell’ecosistema 5G e dell’altissima percezione del valore dei dati da parte dei sistemi industriali nazionali fosse un crescente interesse delle Autorità di regolazione a rendere disponibile uno spettro dedicato su aree geografiche ristrette e con metodi di assegnazione economici e flessibili. E infatti, nel Regno Unito OfCom è intervenuta sul tema nel 2019 proponendo l’uso locale di nuove porzioni di spettro (tra le quali la preziosa banda 3.8-4.2 GHz) con aree elementari fino a 50 metri di raggio, tariffe basse (80 sterline l’anno per 10 MHz) e flessibilità d’uso. L’atto più significativo, però, è stato quello dell’Autorità tedesca che ha deciso di riservare alle reti-servizio (da loro definite “reti regionali”) una porzione di 100MHz di spettro nella banda 3.5GHz. La stessa banda, si noti bene, nella quale 100 MHz di spettro su tutto il territorio nazionale tedesco (e italiano) sono stati pagati poco più di 2 miliardi di euro dagli operatori Telco, dopo una lunga e combattuta serie di rilanci.

Qualcuno in Germania ha parlato di “accaparramento dello spettro” (spectrum hoarding) da parte dell’amministrazione pubblica, finalizzato a far salire artificialmente gli incassi dell’asta. Si è trattato, al contrario, di una scelta chiara di politica industriale: le reti locali hanno diritto al proprio spettro riservato. Da novembre 2019 questi 100 MHz sono stati messi a disposizione con una “tariffa di ingresso” molto bassa e analoga a quella di OfCom (30 mila euro per chilometro quadrato per 100 Mhz e per 10 anni). In entrambi i casi, si tratta di una soluzione totalmente nuova rispetto alle costosissime aste alle quali hanno dovuto partecipare le Telco negli ultimi anni. Una soluzione che ha bisogno di una gestione più complessa ma in grado di generare valore per l’amministrazione, le aziende e gli utenti.

Mettere a disposizione 100Mhz per 15 anni su tutto il territorio nazionale potrebbe generare per le casse pubbliche italiane (con le tariffe tedesche) un flusso di 3 miliardi di euro; circa il 50 per cento in più di quanto pagato dagli aggiudicatari della gara 5G. In Germania la risposta all’offerta pubblica di spettro locale è stata sorprendente. Circa 80 aziende tedesche, tra le quali Bmw, Bosch, Siemens, Lufthansa, hanno ritenuto vantaggioso richiedere questo prezioso spettro per la realizzazione di proprie reti. La Bosch, ad esempio, le utilizzerà nell’avveniristico impianto di produzione 4.0 di Dresda.

In conclusione, appare naturale immaginare che nello scenario 5G la competizione infrastrutturale e la conseguente spinta all’evoluzione tecnologica sarà tra reti verticalmente integrate con uno specifico servizio. Sono reti-servizio gestite da “service provider” che hanno interesse a ottimizzarne l’efficienza per migliorare la qualità del servizio e, al tempo stesso, proteggere e valorizzare i dati prodotti grazie all’uso di algoritmi di intelligenza artificiale. Togliendo spazio e potere di mercato ai “free rider” che hanno finora dominato il web.

Tutte queste reti-servizio però hanno bisogno di comunicare tra loro, di scambiarsi dati in modo sicuro e protetto, di interagire. È il ruolo della rete neutrale: una rete a copertura universale, non dedicata ad alcun servizio specifico e con l’unica missione di connettere efficientemente tra loro le reti locali. È l’unica rete non verticalmente integrata dello scenario 5G: una rete che non è costruita attorno a un servizio specifico, ma ha un ruolo neutro di collegamento e un obiettivo di servizio universale, di copertura capillare del territorio. È la rete neutrale che garantisce il nuovo servizio universale rendendo ogni “luogo” adatto alla realizzazione di una rete-servizio e garantendo l’esistenza di parità di condizioni (level playing field) per la competizione infrastrutturale tra le reti specializzate che competono per fornire lo stesso servizio. Discuteremo la natura della rete neutrale, la questione fondamentale della definizione del suo perimetro ottimale e il suo ruolo strategico nello scenario 5G nel prossimo articolo.

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