Il bilancio europeo per il 2021-2027 prevede tagli ai programmi di ricerca condotti dalle università. La scelta mette a rischio la capacità di innovazione dell’Europa e il suo sviluppo. Si avranno riflessi anche sulla transizione verso l’economia verde.
Università contro i tagli alla ricerca
“We aim at furthering politicians’, policy makers’ and opinion leaders’ understanding of the important role and activities of research-intensive universities” (“Il nostro obiettivo è promuovere la comprensione che politici, governanti e opinion leader hanno dell’importante ruolo e delle attività delle università ad alta intensità di ricerca”): sono le prime parole che si incontrano sul sito della Leru, Lega delle università di ricerca in Europa (qui).
Non stupisce dunque che l’organizzazione sia stata la prima ad avvertire il pericolo insito nelle recenti manovre economiche dell’Unione europea: sembrano andare verso tagli alla ricerca, un settore già non particolarmente privilegiato, specialmente se il confronto è con quanto avviene in molti paesi asiatici e negli Usa. La scelta di ridurre i finanziamenti mette una pesante ipoteca sullo sviluppo futuro in termini di innovazione e ricerca. E Leru lo ha sottolineato con forza (qui).
I dati crudi contenuti nell’appello di Leru ai maggiori responsabili della politica europea sono molto eloquenti e mostrano quanto i tagli influiranno negativamente sulla vita dei nostri giovani, ricercatori e no. I fondi da destinare alla ricerca per il periodo 2021-2027 si riducono di 13,5 miliardi di euro rispetto alla cifra di 94,4 miliardi proposta inizialmente dalla Commissione europea: un grande passo indietro rispetto alle aspettative.
Le università associate a Leru hanno come missione anche la ricerca: rappresentano il luogo dove la sintesi fra insegnamento e ricerca dà luogo a quella formazione superiore che rappresenta il reale futuro delle nazioni. Sarebbe infatti inimmaginabile una buona formazione scevra da una buona ricerca, eppure anche sotto un banale profilo contabile, i tagli porterebbero inevitabilmente a un sotto-finanziamento dei dottorati di ricerca e a una contrazione delle politiche di reclutamento degli atenei. Non sembra però che la Ue abbia finora recepito la preoccupazione delle università di ricerca (qui).
Se poi guardiamo al nostro paese, il quadro si fa ancora più fosco. L’Italia è il fanalino di coda dei paesi Ocse in tema di finanziamento alla ricerca, dato ulteriormente aggravato dalla estrema difficoltà degli atenei italiani ad attingere a risorse private per poterla ulteriormente alimentare.
Ricerca come motore di sviluppo
Completamente diversa la situazione negli Stati Uniti dove, proprio in questi giorni, nel mezzo di una crisi da pandemia certo non meno grave di quella che attanaglia l’Europa, il sito MI Business Leaders pubblica un documento significativo: “How university-led economic development can transform our state’s future” (qui), nel quale vengono proposte una serie di iniziative a sostegno del rilancio dell’economia a partire dall’assunto che “le università di ricerca sono la chiave per tornare a una solida crescita economica”.
La sinergia tra formazione e ricerca è oggi cruciale: dal vecchio modello humboldtiano di università, e passando attraverso l’università di massa, si è ormai giunti a un modello in cui queste istituzioni, per usare le parole di Arend Zomer e Paul Benneworth (qui), vengono chiamate a dare un contributo significativo ai sistemi di innovazione e competitività del proprio paese. Dunque, l’influenza esercitata dalle università non si limita agli studenti, ma si estende ai settori di ricerca, sviluppo e innovazione.
Sostenere la green economy
Sul piano poi dello sviluppo sostenibile e della green economy, quanto influiranno le politiche europee sul finanziamento alla ricerca? Sono destinate a limitare in modo significativo gli investimenti nel settore?
Gli studi sulla pandemia da Covid-19 forniscono drammatiche evidenze sulla influenza esercitata dall’inquinamento atmosferico sulla diffusione e penetrazione del virus. In uno studio recentissimo pubblicato su Cardiovascular Research (qui) si afferma che in Europa l’aumento di mortalità riferibile all’inquinamento ammonterebbe al 19 per cento. E Thomas Munzel, uno degli autori dello studio, ha affermato che “la transizione verso l’economia verde (…) favorirà tanto l’ambiente quanto la sanità pubblica” (qui).
La transizione, però, necessita non solo di coraggio e di lungimiranza, ma anche di una politica di investimenti adeguata. Le università italiane hanno già mostrato sensibilità al tema costituendo una rete denominata Rus (Rete delle università sostenibili, ma non è sufficiente se a sostenere queste iniziative non c’è una accorta politica di investimenti nella ricerca.
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Savino
No, sui tagli alla ricerca è l’Italia ad aver sbagliato in questi 30 anni, quando l’Europa era a 12-13 Stati e i fondi c’erano anche per le aree depresse.
Paolo Miccoli
Su quanto dici sono d’accordo e non a caso ho evidenziato che l’Italia sta peggio degli altri e che pagherà più degli altri uno scotto pesante. Questo però non esime la UE ad avere più coraggio perché questo è il momento di investire di più, non di meno, in ricerca e svilppo