Anche senza emanare una legge ad hoc, opportuna ma non indispensabile, possono essere i rapporti contrattuali a sostenere la diffusione della copertura vaccinale. Perché il contratto può prevedere questa misura di protezione, là dove essa sia praticabile.
Il diritto costituzionale di rifiutare un trattamento sanitario
L’articolo 32 della Costituzione sancisce la libertà di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, salvo quello per il quale la legge istituisca un obbligo. Ora, l’ordinamento italiano conosce numerosi casi di vaccinazioni rese obbligatorie da norme di legge per singole categorie di persone o per tutti: quelle contro il tetano (1963), contro la tubercolosi (2000), contro la difterite, il tetano, la pertosse, la poliomielite, l’epatite B, l’Haemophilus influenzae tipo b, il morbillo, la parotite, la rosolia e la varicella (2017); ma a tutt’oggi nessuna norma ha reso obbligatoria la vaccinazione contro il Covid-19; né avrebbe evidentemente potuto, in assenza del vaccino stesso.
Così stando le cose, la questione che si pone è se, pur in assenza di una legge che la renda obbligatoria, e finché duri la pandemia, sia consentito a un imprenditore richiedere la vaccinazione come misura di sicurezza ai propri dipendenti che abbiano la possibilità di sottoporvisi. In altre parole, se il vincolo non specificamente previsto da una legge per la generalità delle persone possa essere attivato a carico di determinate persone per effetto del contratto di lavoro di cui esse sono titolari (ma anche, eventualmente, per effetto di un contratto di trasporto, di ristorazione, o di altro genere). Coloro che sostengono la risposta positiva – tra i quali l’ex-procuratore della Repubblica Raffaele Guariniello e chi scrive – fondano questa tesi su alcune norme di legge, una di carattere generale e una di carattere specifico, che obbligano il datore di lavoro a realizzare le condizioni di massima sicurezza e igiene in azienda. Vediamone il contenuto.
L’obbligo di sicurezza a carico dell’imprenditore
L’articolo 2087 del Codice civile obbliga l’imprenditore, pubblico o privato, ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Occorre dunque chiedersi se, in una situazione di pandemia da Covid-19, una fabbrica o un ufficio nel quale tutti siano vaccinati contro questo virus realizzi condizioni di sicurezza contro il rischio dell’infezione apprezzabilmente maggiore, rispetto alla fabbrica o ufficio nel quale una parte dei dipendenti non sia vaccinata. Se le indicazioni della scienza medica sono univocamente in questo senso, l’imprenditore deve ritenersi obbligato dall’articolo 2087 a richiedere a tutti i propri dipendenti la vaccinazione, dove questa sia per essi concretamente possibile.
L’articolo 279 del Testo Unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro (decreto legislativo n. 81/2008) prevede in modo più specifico l’obbligo per l’imprenditore di richiedere la vaccinazione del dipendente. La previsione è riferita al rischio di infezione derivante da un “agente biologico presente nella lavorazione”; tuttavia, se l’obbligo è esplicitamente previsto dalla legge per questo rischio specifico, è ragionevole ritenere che lo stesso obbligo gravi sull’imprenditore per la prevenzione di un rischio grave di infezione derivante dalla pura e semplice compresenza di diverse persone in uno spazio chiuso.
Si obietta che anche la persona vaccinata può essere portatrice sana del Covid-19; ma il rischio di contagio, in questo caso, è molto inferiore rispetto al caso della persona che sta incubando la malattia: incubazione che la vaccinazione impedisce. Finché dura la pandemia, dunque, anche le persone vaccinate dovranno continuare a rispettare le misure di prevenzione fin qui praticate, come l’indossare la mascherina e mantenere la distanza prescritta dalle altre persone; ma la vaccinazione sarà comunque un rilevantissimo fattore di sicurezza aggiuntivo; e come tale il datore di lavoro avrà il dovere, dove possibile, di applicarla.
Ipotizziamo il caso di un ospedale o casa di cura che non richieda il rispetto di questa misura ai propri medici e infermieri (cui pure sia data la possibilità di vaccinarsi): se dall’omissione deriverà la malattia di una persona, dipendente o paziente, l’azienda ne sarà evidentemente responsabile, allo stesso modo in cui lo sarebbe se il danno fosse derivato dal mancato rispetto di una qualsiasi altra misura di sicurezza suggerita dalla scienza, dalla tecnica e/o dall’esperienza.
Il possibile motivo ragionevole di rifiuto
A questo punto si pone la questione delle conseguenze che possono derivare per il medico o l’infermiere che, pur potendo vaccinarsi, rifiuti di soddisfare la richiesta della casa di cura od ospedale. In primo luogo dovranno essere esaminate le ragioni del rifiuto: potrebbe essere addotta, per esempio, una condizione di immunodeficienza o altra condizione che sconsigli la vaccinazione. In questo caso la Direzione sanitaria dovrà adottare, se possibile, misure appropriate per consentire comunque lo svolgimento della prestazione nella condizione della massima possibile sicurezza; in caso contrario potrebbe rendersi necessaria la sospensione della prestazione con attivazione dell’integrazione salariale. Se invece il rifiuto non è ragionevolmente motivato, si pone la questione di quale sia il provvedimento più appropriato: potrà prospettarsi la sospensione dal lavoro senza retribuzione alla persona ingiustificatamente renitente (perché ad essa la causa della sospensione è imputabile) e sostituzione fino a che la pandemia non sia cessata: una legge che lo prevedesse sarebbe una auspicabile fonte di chiarezza. Dove questo non sia possibile, non può escludersi il licenziamento, dal momento che – per giurisprudenza costante – può sicuramente essere licenziato chi rifiuta senza giustificato motivo una misura necessaria per la sicurezza propria e dei terzi.
Potrà costituire motivo ragionevole di rifiuto della vaccinazione la preoccupazione per i suoi possibili effetti indesiderati? A me pare di no, dal momento che il compito di valutare la sicurezza dei vaccini, come di qualsiasi altra misura di protezione della salute, è affidato dall’ordinamento agli organi competenti. D’altra parte, i rischi derivanti dalla mancata vaccinazione, per la persona renitente come per chi con essa entra in contatto, sono sicuramente molto più gravi dei rischi connessi con la vaccinazione.
Ammissibilità di un ragionevole dovere contrattuale di vaccinazione
Con questo si reintroduce un obbligo generale di vaccinazione che la legge non prevede? No. I renitenti potranno continuare a non vaccinarsi. Ma non potranno pretendere di essere ammessi in un ambiente di lavoro in cui la loro presenza sia fonte di rischio per la salute altrui. Lo stesso discorso vale in relazione ad altri rapporti contrattuali, quali quello di trasporto, di albergo, o di ristorazione, o in relazione all’accesso a spazi aperti al pubblico, come supermercati o sale per spettacoli, dove l’ordinamento non vieta affatto che venga richiesto un certificato di vaccinazione. Anche senza che venga emanata una legge ad hoc, opportuna ma non indispensabile, ben possono essere i rapporti contrattuali di diritto privato a sostenere la diffusione della copertura vaccinale, perché dove sia a rischio la salute delle persone il contratto può prevedere questa misura di protezione, là dove essa sia concretamente praticabile.
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Savino
Proprio perchè il prof. Ichino ha ragione in materia di sicurezza sul lavoro, così come hanno ragione i costituzionalisti, nel senso che non è peregrino un obbligo previsto per legge, è necessaria un’organizzazione capillare sul territorio delle modalità di vaccinazione che oggi non si vede, con il coinvolgimento di più operatori possibile nella medicina del lavoro, in quella di base, in quella ospedaliera, in quella anche privata, in quella di supporto a scuola e sport e nella rete delle farmacie. Lo scetticismo in giro, pur non condivisibile, non è nella ricerca scientifica che ha portato al vaccino, ma nella credibilità inesistente di un’organizzazione amministrativa sanitaria che ha finora lasciato a desiderare, che ha causato una mole di danni irreparabili e inquantificabili pecuniariamente e per cui nessuno ha pagato. Io continuo a chiedere invano quali sono gli obiettivi che la governance ed il management sanitario hanno raggiunto per continuare a percepire i loro cospicui emolumenti.
toninoc
La Sanità pubblica ha subito negli ultimi 20/25 anni continui tagli economici molti dei quali dirottati alla Sanità privata, ed ancora continua a farlo costringendo moltissime persone a fare i viaggi della speranza da sud verso nord . Questo si è un grandissimo problema politico che però non impedisce a nessuno di FARE IL VACCINO .
gabriel04
Tutto giusto, purché nella pratica si tuteli poi chi non si vaccina perché, per motivi di salute, presenta anche solo il rischio, non necessariamente la certezza, di avere danni alla salute dalla vaccinazione. E non si traduca invece in intolleranza e in caccia alle streghe nei confronti di persone con possibili fragilità.
Naturalmente con il contributo dei medici, a cui è devoluto il compito di ascoltare i pazienti.
paolo brianzi
tutto condivisibile. non è stato affrontato il tema della scuola, visto che non è un ambito contrattuale ma che ha una valenza importante : un no vax può pretendere di mandare a scuola i figli non vaccinati? sono ovvii i rischi per la salute di tutti, sarebbe in questo caso necessaria una legge ad hoc?
Luca Bianchi
In realtà credo che un problema derivi dalla tempistica. Troppo scarsi i tempi per la sperimentazione e questo potrebbe essere un buon motivo per non vaccinarsi. Inoltre, se i vari tipi di test (tamponi etc.) stabiliscono una negatività, in presenza di osservanza di tutte le accortezze previste (distanze, turnazioni, smart working, mascherine, etc.) perché, in mancanza di una specifica normativa, dovrebbe sussistere un obbligo alla vaccinazione? Anche perchè la presenza del medico competente potrebbe consentire verifica e certificazione delle condizioni di lavoro.
Alberto Isoardo
Ragionamento assolutamente condivisibile anche se sembra il solito approccio all’italiana: quando lo Stato vuole fare Ponzio Pilato, le decisioni le fa prendere ai privati.
Comunque i problemi rimangono: vaccino poco sperimentato, sistema sanitario che non ispira fiducia, approccio organizzativo patetico, insomma, ma chi si fida di questi che parlando troppo mostrano di essere più dubbiosi dei lavoratori.
Un’altra domanda, i lavoratori assunti se non si vaccinano verrebbero licenziati? Se un lavoratore avesse effetti collaterali dopo il vaccino fatto per obbligo contrattuale avrebbe un trattamento da malattia professionale?
Secondo me questa è una strada sbagliata. Bisogna convincere la gente della bontà del vaccino e della serietà di chi lo consiglia.
Certo non è un governicchio come l’attuale che sa esprimersi solo in termini di divieti che può conquistare la fiducia della nazione e convincere i cittadini.
toninoc
Quando ho iniziato a lavorare(55Anni fa) Avevo già fatto per obbligo di legge tutti i vaccini che mi avevano consentito l’accesso all’asilo prima , alla scuola elementare successivamente. Ho visto personalmente gli ammalati di poliomielite in ospedale e grazie ai vaccini quella malattia è scomparsa, come prima la peste ed il colera, in quasi tutto il mondo; ho dovuto fare visite mediche di idoneità al lavoro successivamente. Se una legge prevede o prevederà la vaccinazione in determinati luoghi di lavoro, chi non si vaccina dovrebbe fare un altro lavoro ovvero si dovrebbe dimettere perchè non idoneo. Chi convince la gente a vaccinarsi non è il governo(che fa la legge) ma la “scenza medica” che ha dimostrato che i vaccini hanno allungato di molto la vita media della specie umana. Solo chi può dimostrare per se stesso la pericolosità del vaccino può essere esonerato dal farlo. Solo così si raggiunge l’immunità cosidetta di gregge.
toninoc
Le argomentazioni del Prof. Ichino sono ineccepibili. Solo chi può dimostrare la pericolosità del vaccino per se stesso può essere esentato dal farlo. Il governo deve avere il coraggio di rendere obbligatoria la vaccinazione per tutta la popolazione come per quelle attualmente già previste e citate nell’articolo del Prof. Penso però che l’obbligatorietà della vaccinazione da parte dei datori di lavoro nei confronti con i dipendenti e collaboratori potrebbe generare moltissimi conteziosi legali tra gli stessi soggetti. La strada più sicura penso che sia la vaccinazione imposta per legge dallo stato. Tutte le obiezioni sulla confusione delle norme, sulla disorganizzazione ecc. sono, pur se condivisibili, fuori tema e portano a guardare altrove e dimenticare gli oltre 75 mila (solo quelli ufficiali) decessi dovuti al covid 19.
Roberto Enrico
Domanda per Ichino. In assenza di un provvedimento di legge sull’obbligatorieta’, nel malaugurato caso di una reazione avversa al vaccino che produca danni (speriamo vivamente si tratti solo di un caso di scuola), risponderebbe in prima istanza il datore di lavoro che ha richiesto al lavoratore di vaccinarsi come condizione per poter mantenere mansione e/o posto di lavoro ? Grazie.
LucaS
In effetti il punto debole del ragionamento è proprio questo. “il compito di valutare la sicurezza dei vaccini … è affidato dall’ordinamento agli organi competenti”: sicurezza è un termine generico, gli organi competenti nel caso dei vaccini anti-Covid valutano solo ciò che i dati disponibili consentono di valutare, ovvero in questo momento efficacia e sicurezza nel senso di assenza di effetti collaterali gravi entro un orizzonte di circa 8-9 mesi dalla prima somministrazione. Nessun organo competente può valutare alcunché relativamente all’assenza di effetti collaterali più o meno gravi dopo uno, due o cinque anni e infatti non a caso nessuno ha testato un vaccino sui giovanissimi, le campagne vaccinali sono partite dalle fasce di età per le quali il lungo termine non esiste o è statisticamente meno importante e il legislatore, non solo in Italia, ha preferito non introdurre obblighi. E non è vero in generale che “i rischi derivanti dalla mancata vaccinazione, per la persona renitente …, sono sicuramente molto più gravi dei rischi connessi con la vaccinazione”: lo sono per un over-40 (come me, che sicuramente mi vaccinerò appena possibile), ma per un lavoratore ventenne privo di patologie pregresse il rischio statistico di conseguenze gravi da un’eventuale infezione da Sars-Cov 2 è talmente basso da non poter essere valutato da alcuna autorità competente come sicuramente superiore ai rischi (sconosciuti) a medio-lungo termine connessi con la vaccinazione.
Loris Nucera
Davvero “chi non si vaccina mette in pericolo anche gli altri”? Non credo. Intanto va detto che chi si vaccina lo fa soprattutto per difendere se stesso, per paura di ammalarsi. Poi, magari, per non nuocere agli altri (l’altruismo non è prerogativa italica). E comunque a mettere in pericolo gli altri non sono tanto i non vaccinati quanto coloro che non fanno prevenzione non indossando la mascherina e non mantenendo la distanza di sicurezza dagli altri. Milioni di italiani non sono stati contagiati dal Covid proprio perché hanno saputo difendersi dal virus e non l’hanno invece affrontato con incosciente spavalderia (come i tifosi che hanno festeggiato la nazionale di calcio campione d’Europa). Ma anche chi si vaccina illudendosi di avere una totale immunità anche dalle varianti del virus, cosa che non ha. Sono soprattutto questi ultimi il vero pericolo per la società. Sicuri di essere immuni mentre possono continuare a contagiare “il prossimo non vaccinato e incosciente”.
GIOVANNI ROSSI
un ragionamento che non fa una grinza
Fabio
” Si obietta che anche la persona vaccinata può essere portatrice sana del Covid-19; ma il rischio di contagio, in questo caso, è molto inferiore rispetto al caso della persona che sta incubando la malattia: incubazione che la vaccinazione impedisce ”
l’incubazione avviene ugualmente anche in vaccinati con 2 dosi e per di più da ultime ricerche ufficiali i vaccinati sono anche contagiosi e originano le varianti , mentre i non vaccinati rischiano effettivamente di prendere la malattia in uno stato più grave ma per lo meno se negativi non risultano infettivi o generano varianti