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Rimesse degli immigrati: aumento figlio dell’incertezza

Il flusso delle rimesse degli stranieri è cresciuto nel 2020. In parte è un effetto contabile: è stato trasferito attraverso canali formali denaro che in tempi normali segue vie informali. Ma nel fenomeno si possono leggere anche progetti di rimpatrio.

La crescita delle rimesse nel 2020

La pandemia ha gonfiato il flusso delle rimesse degli stranieri residenti in Italia. Secondo le statistiche trimestrali della Banca d’Italia, nel secondo e nel terzo trimestre dello scorso anno, hanno trasferito all’estero quasi 4 miliardi di euro, equamente distribuiti tra i due periodi, di cui meno del 15 per cento verso paesi Ue, con aumenti, sugli stessi periodi del 2019, rispettivamente di 526 e 372 milioni di euro (12 per cento del totale verso paesi Ue). I calcoli sono stati effettuati sui valori monetari correnti nel 2020 e nel 2019.

La crescita delle rimesse non ha interessato tutti i paesi di destinazione; anzi, verso alcuni si è registrata una diminuzione, che, però, nel complesso è stata relativamente modesta: -78 e -13,5 milioni di euro rispettivamente nel secondo e terzo trimestre. Dei 249 paesi censiti, quelli con flussi crescenti sono stati 148 nel secondo trimestre e 123 nel terzo, ma in molti di essi gli incrementi sono stati di piccola entità. L’aumento totale del terzo trimestre del 2020 (sul secondo 2019) si era concentrato per il 96 per cento in venti paesi, nel secondo trimestre la percentuale era addirittura del 105 per cento; quattordici di questi paesi sono nella lista dei primi venti sia nel secondo sia nel terzo trimestre, con una quota rilevante dei flussi di rimesse e dei loro incrementi.

Il ruolo del risparmio

È difficile attribuire la crescita dei trasferimenti a un improvviso aumento del reddito degli immigrati. Anche loro subiscono gli effetti negativi del rallentamento delle attività economiche per la diffusione del Covid-19. Anzi, a causa della loro forte presenza nelle attività economiche informali, il reddito degli immigrati potrebbe essere calato ancor più di quello medio della popolazione, sia perché i limiti alla libertà di movimento rendono più difficile lo svolgimento di quei lavori, sia perché precarietà e informalità hanno ostacolato l’accesso degli stranieri ai ristori statali ricevuti da chi svolge un’attività, alle dipendenze o autonoma, in regola con le normative amministrative o fiscali.

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Anche il contributo di altre erogazioni monetarie assistenziali potrebbe avere avuto una rilevanza trascurabile sulla crescita delle rimesse. Dalle elaborazioni dei dati pubblicati dall’Inps sui redditi e le pensioni di cittadinanza, integrati con quelli sul reddito di inclusione, si può stimare che i sussidi assegnati agli stranieri nel semestre aprile-settembre 2020 sono stati più alti per circa 140 milioni di quelli erogati nello stesso periodo del 2019: nell’ipotesi (poco probabile) che la cifra sia stata interamente trasferita all’estero, corrisponde a circa il 15 per cento dell’incremento complessivo delle rimesse. La percentuale si riduce al 10 per cento dei quasi 800 milioni di aumento delle rimesse indirizzate verso i paesi extracomunitari.

L’ammontare delle rimesse dei primi due trimestri della pandemia deve essere perciò principalmente il frutto dell’utilizzo dei risparmi degli stranieri. Il consistente incremento che hanno fatto registrare (sul secondo e terzo trimestre del 2019) può essere, verosimilmente, dovuto in parte a un’emersione contabile e in parte a un effettivo aumento delle somme trasferite all’estero, con conseguente assottigliamento degli accantonamenti monetari mantenuti in Italia.

Emersione contabile e rimpatrio temporaneo

Le statistiche della Banca d’Italia censiscono i flussi di denaro che gli immigrati inviano all’estero attraverso gli istituti di credito, gli uffici postali e le agenzie autorizzate al trasferimento di moneta. A esse sfugge totalmente il denaro portato direttamente dagli immigrati nei loro periodici viaggi in patria, specialmente i paesi dell’Europa dell’Est (verso alcuni dei quali le statistiche registrano un forte aumento delle rimesse), o fatto recapitare per canali informali ritenuti affidabili (per esempio i conducenti dei pulmini che trasportano persone e merci tra l’Italia e alcuni paesi europei dell’ex Unione Sovietica).

La rarefazione, quando non il blocco, della mobilità tra i paesi ha sostanzialmente precluso il ricorso ai canali informali, facendo emergere cifre in precedenza non registrate dalle statistiche.

Nell’aumento dei flussi, un ruolo deve essere stato giocato anche da un possibile cambiamento della prospettiva con cui gli immigrati valutano la loro presenza nel nostro paese. L’incertezza circa l’evoluzione della pandemia potrebbe aver alimentato il timore di un aggravamento della loro condizione in Italia, inducendoli a ipotizzare un ritorno nei paesi di provenienza. In quest’ottica, trasferire quanti più euro possibile può avere costituito un passo per il successivo ritorno nei paesi di provenienza. Un rimpatrio che potrebbe anche non essere pensato come definitivo, ma solo come una scelta prudenziale; una permanenza temporanea a casa, da dove seguire l’evoluzione della pandemia, per poi, eventualmente, ritornare in Italia, una volta ristabilita a una situazione di normalità. Un’ipotesi, quest’ultima, percorribile soprattutto dagli stranieri i cui paesi di origine sono poco distanti dal nostro o che qui hanno comunità con un buon insediamento. È il caso, come si evidenzia dalla tabella 2, di molti dei primi venti paesi per importanza dell’incremento delle rimesse.

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  1. Lorenzo

    È un po’ quello che facevano i nostri nonni. Male fa la Lega a soffiare sul fuoco delle migrazioni; braccia e menti giovani e istruite che preferiscono abbandonare l’Italia. I pensionandi vedranno il loro assegno regredire sempre più.

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