Secondo il Global Gender Gap Report 2021, per colmare il divario di genere nel mondo saranno necessari 135,6 anni. E nel 2020 la crisi pandemica ha rallentato o interrotto i progressi verso la parità di genere in molti paesi, portando in alcuni casi anche a un peggioramento.

Il Global Gender Gap Index (qui l’edizione 2021) viene calcolato ogni anno dal 2006 e prende in considerazione l’evoluzione del divario di genere lungo quattro diverse dimensioni: partecipazione e opportunità economiche, istruzione, salute e sopravvivenza, empowerment politico. Ognuna di queste viene misurata sulla base di alcuni indicatori; il progresso nei livelli di istruzione, per esempio, viene calcolato attraverso il rapporto tra la percentuale di donne e uomini che ricevono un’educazione primaria, secondaria e terziaria, e tra i tassi di alfabetizzazione femminili e maschili.

Nel mondo i punteggi nell’indice di salute e sopravvivenza sono tra i più elevati e tra quelli che variano meno, e in tutti i paesi del campione questo gap è stato chiuso almeno al 93 per cento. Tra i paesi con i punteggi peggiori c’è la Cina, il cui rapporto tra sessi alla nascita è particolarmente basso.

Il divario nel “political empowerment” è quello più elevato a livello globale: è chiuso al 22 per cento, e si stima che per raggiungere la parità in questo campo siano necessari 145,5 anni. Mentre nell’ambito dell’istruzione e della salute i dati per molti paesi, anche tra i meno sviluppati, sembrano mostrare situazioni simili tra uomini e donne, nella rappresentanza politica anche i paesi più vicini alla chiusura del divario di genere nel mondo danno prova di una forte arretratezza. Nei 156 paesi del campione, le donne rappresentano in media il 26,1 per cento dei parlamentari e il 22,6 per cento dei ministri. 81 di questi paesi, tra cui l’Italia, non hanno mai avuto una donna capo di stato.

Il secondo divario più ampio è quello di partecipazione e opportunità economiche, chiuso al 58 per cento, nel quale i passi avanti negli ultimi anni sono stati particolarmente lenti. La distribuzione dei punteggi attraverso i 156 paesi varia molto, con livelli di chiusura del gap di genere che vanno dal 18 al 92 per cento. Tra gli indicatori che vengono utilizzati troviamo, per esempio, la percentuale di donne in posizioni manageriali, il rapporto tra la retribuzione media di donne e uomini e la partecipazione alla forza lavoro. Il fatto che i progressi in questo ambito siano lenti è dovuto principalmente a due trend tra loro opposti: da un lato, sta aumentando la quota di donne nelle professioni ad alta specializzazione e si sta riducendo il divario retributivo, dall’altro le donne in posizioni apicali nel mondo economico rimangono poche. Secondo Eurostat, nel terzo trimestre del 2020 nell’Unione europea le donne rappresentavano il 34 per cento dei manager. In Italia, il dato scende al 28 per cento. Inoltre, nonostante le stime sull’impatto del Covid siano ancora preliminari, le previsioni indicano che il divario nella partecipazione alla forza lavoro nell’ultimo anno si sia ampliato in molti dei paesi del campione.

L’impatto del Covid

La crisi causata dal Covid-19 ha colpito tutti, ma le donne hanno subito conseguenze più gravi e prolungate rispetto agli uomini, per vari motivi. Innanzitutto, i settori più colpiti sono stati quelli con una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro; di conseguenza, il tasso di occupazione delle donne è sceso più di quello degli uomini: secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, circa il 5 per cento delle donne nel mondo ha perso il lavoro; 1,1 punti percentuali in più rispetto alla perdita per gli uomini. La differenza è dovuta anche al fatto che in termini assoluti le donne occupate sono meno degli uomini, per cui la perdita percentuale è stata più elevata, mentre quella assoluta è stata inferiore. Inoltre, la partecipazione alla forza lavoro è calata più severamente per le donne, perché spesso sono toccati a loro i compiti di cura della casa e della famiglia. Anche i tassi di riassunzione sono stati meno elevati, con rallentamenti nelle promozioni a posizioni di leadership. In molte economie le assunzioni sono tornate a crescere nel corso del 2020, ma il Report sottolinea che periodi di disoccupazione prolungati possono avere un forte impatto sulle possibilità future di carriera.

Il rapporto tra la variazione nella partecipazione alla forza lavoro di donne e uomini nel 2020 rispetto al 2019 mostra dati molto eterogenei tra paesi. Tra le 33 economie per le quali queste stime sono disponibili, in circa il 60 per cento dei casi la perdita per le donne è stata più elevata. È previsto che il divario nella partecipazione alla forza lavoro aumenterà ulteriormente in futuro, per cui gli anni necessari attesi per chiudere il gap nella partecipazione economica, al momento 267,6, sono considerati come una sottostima degli anni che saranno effettivamente necessari per arrivare alla parità.

Il punteggio dell’Italia

L’Italia si trova al 63esimo posto nella classifica dei 156 paesi per cui il Global Gender Gap Index è stato calcolato, al 19esimo posto tra i 22 paesi di Europa Occidentale e Nord America, con un punteggio dell’indice di 0,721 (0 rappresenta la totale disuguaglianza di genere, 1 la totale parità). Rispetto all’anno scorso è salita di 13 posizioni, e l’indice generale è migliorato di 0,014 punti.

Il miglioramento è dovuto soprattutto alla leggera chiusura dei divari nella partecipazione economica e nel political empowerment. In particolare, la quota di donne in posizioni ministeriali è salita dal 27,8 al 36,4 per cento nel 2020, e gli indicatori per la partecipazione economica hanno visto tutti un leggero cambiamento positivo: la quota di donne in posizioni legislative o manageriali è salita di 0,8 punti percentuali, nelle professioni tecniche e professionali la presenza femminile è cresciuta di 1,5 punti percentuali, e il punteggio per il reddito medio stimato è aumentato, anche se di poco. Questi cambi hanno fatto sì che su 156 paesi l’Italia si collochi al 41esimo posto per empowerment politico. Con il governo Draghi il numero di ministri donne sul totale è tornato a scendere, ma il dato verrà considerato nel calcolo dell’indice per il prossimo anno. Nella partecipazione economica, invece, il nostro paese è ultimo in Europa occidentale, e 114esimo a livello globale.

Per quanto riguarda istruzione e salute, l’Italia sembra aver quasi chiuso il divario di genere. Non solo: se si guarda a istruzione secondaria e terziaria, la presenza femminile supera quella maschile (+1,2 punti percentuali per la prima, +18,5 per la seconda). Nell’ambito della salute il punteggio italiano è di 0,965 su 1; l’aspettativa di vita è superiore per le donne, mentre il rapporto di nascite tra donne e uomini è di 0,94.

Quello che emerge dal Global Gender Gap Report è che i passi avanti, in particolare negli ultimi cinque anni, sono stati pochi e lenti. Il progresso è stagnante e le disparità esistenti sono in parte cresciute per via della crisi causata dal Covid. L’anno prossimo saranno disponibili dati più precisi sull’impatto che il 2020 ha avuto sul divario di genere, ma già ora il Report invita a rinnovare l’impegno da parte della politica per un maggiore riconoscimento delle competenze delle donne nel mondo, e per un’accelerazione nella chiusura del gender gap.

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