Lavoce.info

L’eredità del ministro della Coesione territoriale

Il ministero della Coesione ha presentato un documento che ha lo scopo di migliorare procedure e gestione del nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020. L’intenzione è nobile. Ma sono stati compresi gli errori del passato? E le azioni proposte permettono di evitare che si ripetano?
LE SETTE INNOVAZIONI RADICALI
Il ministro per la Coesione territoriale ha presentato alla fine di dicembre il documento “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020”.
Nel documento di indirizzo vengono presentate sette “radicali” innovazioni di metodo, tre opzioni strategiche e undici aree tematiche verso le quali indirizzare le azioni delle amministrazioni. Qui non ci soffermeremo né sulle opzioni strategiche né sulle aree tematiche che non presentano per la verità alcun elemento di novità: le prime sono una ripartizione per aree territoriali (Mezzogiorno, città e aree interne) ben nota e già utilizzata in passato; le seconde sono tanto generiche da rappresentare, come in passato, meri “contenitori” per interventi di qualsiasi tipo.
Le sette radicali innovazioni, invece, dovrebbero riguardare “come costruire i programmi operativi” e quindi successivamente “come spendere”. Ecco l’elenco:
(A) individuazione e specificazione dei risultati attesi (prima di scegliere gli interventi da finanziare), misurati da uno o più indicatori;
(B) indicazione delle azioni specifiche con cui conseguire quei determinati risultati;
(C) attribuzione a ogni azione dei tempi previsti di attuazione e rafforzamento del sistema centrale di sorveglianza;
(D) trasparenza e larga diffusione delle informazioni elencate in precedenza;
(E) massimo coinvolgimento del partenariato e di altri soggetti interessati in tutte le fasi decisionali con lo scopo di prevedere una “valutazione pubblica aperta”;
(F) Valorizzazione della valutazione economica (d’impatto) contemporaneamente all’attività di programmazione;
(G) Attribuzione di un ruolo più forte a una struttura centrale al fine del coordinamento e del controllo dell’intero processo.
L’ANALISI PUNTO PER PUNTO
Vediamo il punto (A). Parlare di risultati attesi è un modo diverso di parlare di un vecchio concetto, ossia di “obiettivi ben formulati e specifici espressi tramite uno o più indicatori”. Risultati e obiettivi in questo contesto sono sinonimi e presentare obiettivi specifici e ben quantificati corrisponde a un esercizio minimo di programmazione da sempre noto anche nell’ambito dei programmi comunitari. Dove è dunque la novità? Forse nel fatto che i risultati/obiettivi vanno indicati prima di scegliere gli interventi? Ma questo è solo un fatto di coerenza; se non è stato fatto in passato, si è commesso un macroscopico errore, allontanandosi appunto da qualsiasi principio di programmazione. La novità comunque dovrebbe consistere in qualcosa che non è detto, ovvero nel fatto che gli obiettivi devono dipendere strettamente da un’analisi dei fabbisogni settoriali e territoriali che le amministrazioni hanno il dovere di accertare analiticamente. Ma perché questo – che è il punto chiave – non viene neanche menzionato?
Passando ai punti (B) e (C), si annusa qui una effettiva aria di novità, anche se in un piano dovrebbe essere scontato il fatto che siano indicati gli interventi che si intendono realizzare. In passato, la definizione delle azioni era generica e i progetti veri e propri venivano predisposti dopo mesi o anni dall’approvazione dei programmi. Tuttavia, perché si possa parlare realmente di “innovazioni”, occorre che all’interno delle amministrazioni – nella fase di predisposizione del programma operativo – vengano formulate e sviluppate vere e proprie proposte progettuali (che peraltro darebbero anche corpo ai “risultati attesi”). Ciò comporta un enorme impegno, perché è la prima volta che le amministrazioni sono chiamate concretamente a questo compito. (1)
Ma c’è un’altra rilevante questione. Così facendo si mette implicitamente in discussione una procedura concertata con altri soggetti (partenariato di cui al punto E) o basata su “bandi di gara” o “di idee”. Ciò in quanto l’impulso programmatorio e il rafforzamento di tutto l’impianto dovrebbe provenire in prima battuta dall’interno dell’amministrazione, che si assumerebbe il compito della prima formulazione degli interventi che possano effettivamente definirsi “azioni specifiche”. (2) Se in alternativa ci si basasse su una progressiva definizione delle iniziative con l’apporto di tutti i soggetti e dei “bandi di gara” si tornerebbe inevitabilmente alla situazione in cui l’“azione specifica” (o “intervento ben individuato”) sarebbe disponibile a distanza di mesi o anni dalla preparazione del programma operativo.
Quanto detto nulla toglie al punto (D) che appare opportuno e auspicabile, né al punto (F) che deve appunto costituire l’ossatura e il sostegno delle scelte e non essere rinviato a una fase in cui le scelte sono già state fatte.
Resta quindi l’ambiguità del punto (E) che è stata una delle concause della non-programmazione dei precedenti cicli comunitari. Se tutti decidono, nessuno decide, questa è la regola. Le amministrazioni devono assumersi il compito e l’onere di essere realmente promotori dei loro programmi e di spingerne al massimo grado l’“operatività”, proponendo iniziative già parzialmente costruite. Dopo questo primo passo interverranno altri soggetti (partenariato, altri) che sulla base di proprie valutazioni (economiche) potranno formulare alternative o semplicemente dimostrare la scarsa utilità o redditività di quelle proposte dalle amministrazioni. In questo deve consistere la “valutazione pubblica aperta”: tecnici di varie parti che si confrontano tra loro sui reali effetti dei progetti presentati.
In questo contesto – come si vede ben diverso dalla proposta ministeriale – a fronte di un evidente rafforzamento dell’impianto programmatorio (da conseguirsi anche con più oculate e mirate consulenze alle amministrazioni in tema di costruzione del programma e di sua valutazione) dovrebbero scomparire i bandi di gara o di idee che sono un modo nocivo e subdolo per ritardare i processi e per delegare ad altri l’oneroso compito di individuare i fabbisogni e di predisporre gli interventi necessari.
In conclusione, sembra che in ambito ministeriale ci sia resi conto delle cose che non vanno (e che non vanno dal 1998, ossia dai tempi della “nuova programmazione”). Purtroppo, però, i rimedi individuati sono ancora parziali e se non saranno perseguiti con la dovuta radicalità rischiano di riproporre i fallimenti del passato.
 
(1) Il lavoro dovrebbe iniziare subito se si vuole disporre dei progetti in tempo per i prossimi Programmi operativi 2014-2020. O meglio: dovrebbe essere già iniziato da un bel po’ di tempo.
(2) Inoltre solo un avanzato stadio di sviluppo dei progetti consente una valutazione economica degli stessi.

Leggi anche:  Una via d'uscita dal vicolo cieco del Superbonus

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Nuove regole europee di bilancio: cosa cambia per regioni e comuni

Precedente

Rigore ai bilanci del calcio

Successivo

Perché calano le assunzioni

  1. pinet

    Una attenta visione delle iniziative finanziate dai fondi di coesione (peraltro per la prima volta rese accessibili in opendata e di questo va dato merito senz’altro a Barca) evidenzia un utilizzo dei fondi per sopperire alla disoccupazione creando migliaia di corsi di formazione di dubbia utilità. Basta verificare come provincie, municipalizzate e partecipate abbiano incassato circa il 40% (credo) dei fondi disponibili solo per elargirli per l’organizzazione di corsi di formazione. Il porsi (certo con diplomatica cautela) obiettivi piu’ avanzati da parte di Barca per le nuove domande e’ quantomeno un piccolo passo necessario. Credo che (vista la disponibilità dei dati) una attenta valutazione sulle iniziative sia doverosa da parte de La Voce. Peraltro nel Medioevo la formazione era intesa come lavoro (imparar facendo) perchè non potrebbe essere la stessa cosa ora fornendo alle aziende un contributo per affiancare alla produzione nuove figure e far crescere nuove professionalità?

  2. Daniele Ferretti

    Sono d’accordo con l’autore, e aggiungo che in questa fase di scarsità assoluta di risorse è doveroso per la parte pubblica darsi rigorosi, consapevoli e responsabili progetti di sviluppo su cui investire (termine ormai in disuso) le risorse comunitarie…

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén