I dati mostrano un calo di assunzioni con contratti parasubordinati dopo l’entrata in vigore della riforma Fornero. Ma ne evidenziano anche l’aumento nel semestre precedente. E uno degli obiettivi era rendere più difficile il ricorso al lavoro precario. Il peso dell’incertezza sulle sorti della legge.
UNA LEGGE CON DUE OBIETTIVI
Le riforme del mercato del lavoro non aumentano il livello dell’occupazione. Se fosse così probabilmente ne faremmo una all’anno. Le riforme del mercato del lavoro al massimo possono cambiare la composizione dei flussi di entrata e di uscita dal mercato del lavoro. Possono cambiare la convenienza relativa per gli imprenditori di utilizzare un contratto di lavoro piuttosto che un altro e possono affrontare i problemi strutturali del mercato.
La riforma Fornero si proponeva due obiettivi: Il primo era quello di rendere più semplice il licenziamento individuale nelle imprese con più di quindici persone in modo da non dover ricorrere necessariamente al licenziamento collettivo. Il secondo era quello di rendere più difficile l’abuso dei contratti di co.co.co e partita Iva per mansioni che normalmente dovrebbero essere coperte da un lavoratore dipendente.
LE ASSUNZIONI PRECEDONO LA RIFORMA
Per valutare il successo su entrambi gli obiettivi ci vogliono dati a livello di impresa. Tuttavia si può iniziare a fare qualche ragionamento anche a livello dei primi dati aggregati disponibili.
Utilizziamo i dati del Veneto Lavoro che sono gli unici sufficientemente dettagliati. Ci dicono che in Veneto i licenziamenti collettivi sono sicuramente diminuiti come proporzione dei licenziamenti totali: sono passati dal 10 per cento del totale nel 2010 e nel 2011 al 6,4 per cento nel 2012. Non possiamo purtroppo dividerli tra licenziamenti nelle grandi e nelle piccole imprese (su cui la riforma Fornero non incide), tuttavia sembra esserci un consenso sul fatto che le norme hanno cambiato la composizione dei licenziamenti.
Il punto sulle assunzioni è più controverso. Qui sotto mostriamo il grafico delle assunzioni da lavoro dipendente e quelle da lavoro parasubordinato+lavoro intermittente. I dipendenti sono sull’asse di sinistra, i parasubordinati sull’asse di destra. Certamente si vede il calo delle assunzioni di parasubordinati dopo luglio del 2012, quando è entrata in vigore la riforma. Però, si vede anche nel semestre precedente (gennaio-giugno 2012) un aumento delle assunzioni di parasubordinati rispetto ai semestri corrispondenti degli anni precedenti, 2009-2010-2011. Sembra quasi che le imprese abbiano anticipato le assunzioni sapendo che la riforma sarebbe entrata in vigore in luglio e da allora sarebbe stato più difficile assumere parasubordinati. E infatti nel corso dell’intero 2012 sono stati assunti esattamente tanti parasubordinati quanti negli anni precedenti – il 18 per cento delle assunzioni totali nel 2012 come nel 2011 e 2010.
Sicuramente è diventato più difficile per le imprese assumere parasubordinati dopo il luglio 2012, tuttavia è anche vero che in Italia ci sono circa 1,5 milioni di persone che sono falsi co.co.co o false partite Iva; sono l’esercito dei precari di cui si parla spesso, senza nessuna tutela di salario o di diritto. L’Italia è l’unico paese in Europa che ha il 23 per cento di occupazione autonoma (contro una media europea del 15 per cento) per via di questo fenomeno: restringere le maglie per impedire l’abuso è ragionevole. Il passaggio ad altri contratti avverrà con il tempo (e si può anche pensare a un nuovo contratto “unico” se l’apprendistato davvero non funziona), ma per ora è presto per dire che la riforma ha ridotto il numero delle assunzioni, più che altro le ha anticipate nel tempo.
La teoria economica è d’accordo sul fatto che le riforme non hanno in generale effetti sul livello della domanda di lavoro, che invece risponde a fattori economici. La teoria concorda anche sul fatto che l’incertezza frena la creazione di nuovi posti di lavoro, in primis l’incertezza economica ma anche l’incertezza sulle regole. Noi siamo più preoccupati del seguente problema: se non si trova un consenso stabile su una riforma che tutti hanno votato, e si promette a giorni alterni di tornare indietro, questo sicuramente frena le nuove assunzioni.
Nota: I dipendenti sono: contratti indeterminati, determinati, apprendistato e somministrazione. I parasubordinati includono il lavoro intermittente.
Tabella 1: Assunzioni e licenziamenti annuali in Veneto
i
Nota: Licenziamenti individuali includono giusta causa+periodo di prova+motivo soggettivo e oggettivo
Una replica: a cosa è servita la riforma?
Tito Boeri
Ringrazio Marco Leonardi e Massimo Pallini per il loro commento. Mi sorprende un po’ vederli sostenere che le riforme del lavoro non servono a creare occupazione. Dopotutto la riforma Fornero si presenta come una “riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. Comunque, sarei già contento che la legge 92 non riducesse l’occupazione più di quanto non stia già facendo la recessione. Purtroppo non è così. Secondo Leonardi e Pallini, la riforma ha solo spostato nel tempo le assunzioni nel parasubordinato spingendo molte imprese ad anticiparle a prima dell’entrata in vigore della riforma. Se si guarda all’insieme delle Regioni sui cui ci sono dati, non si direbbe: il lavoro a chiamata e i contratti a progetto erano in un trend di crescita molto pronunciato già nel 2011 (+ 10 per cento rispetto al 2010 dove erano cresciuti del 17 per cento rispetto al 2009) e hanno continuato a crescere fino al primo semestre del 2012. Poi sono crollati senza che la loro riduzione (-5 per cento su base annuale) fosse compensata dalla crescita di contratti a maggiore stabilità, come si proponeva di fare la riforma. Leonardi e Pallini confermano questa dinamica quando sostengono che la percentuale di assunzioni nel parasubordinato non è cambiata rispetto al 2012 (mentre aggiungiamo noi, era cresciuta sin lì).
Tra l’altro, alla luce di questo loro rilievo, viene da chiedersi: ma la riforma non doveva, secondo Leonardi e Pallini, almeno “cambiare la convenienza relativa per gli imprenditori di utilizzare un contratto di lavoro piuttosto che un altro” aumentando la “flessibilità buona rispetto a quella cattiva”? Ma allora a cosa è servita la riforma?
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alberto lanza
Sono assolutamente d’accordo con gli autori. La tanto criticata riforma fornero i suoi obiettivi principali ovverosia contrastare il lavoro precario (parasubordinato in luogo di quello dipendente e subordinato fintamente intermittente prima del nuovo obbligo comunicativo della chiamata) e agevolare la flessibilità in uscita attraverso l’eliminazione del cappio della reintegra, pare sia in grado di raggiungerli. In attesa maturino i tempi per l’introduzione di un contratto unico o prevalente a tutele graduali, le due leve su cui si dovrà agire per stimolare la domanda, credo, siano quelle della riduzione del cuneo fiscale e della rimodulazione delle regole in materia di contratti a termine, agendo sul versante della mitigazione o eliminazione degli intervalli temporali da compensare con quel meccanismo punitivo/premiale di versamento/restituzione del contributo aggiuntivo che, a mio parere, merita un approfondimento.
Claudio Cavaliere
Mi ha sempre intrigato quella definizione della Legge 92/2012 “riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”…..almeno dal punto di vista dell’interpretazione letterale o, addirittura, grammaticale. Quella preposizione semplice “in” cosa voleva significare? Che la prospettiva di crescita era già visibile, e quindi la riforma del lavoro serviva a supportarla? Che qualora si fosse aperta una prospettiva di crescita, la riforma del lavoro era lì pronta a sostenerla?
Certamente da un punto di vista letterale e grammaticale non si poteva interpretare che la riforma servisse e creare la crescita, altrimenti sarebbe “per” una prospettiva di crescita e non “in” una prospettiva di crescita. Carissimi miei, da lì, ovvero dal titolo della norma, ho capito che c’era la fregatura.
ING
è sempre fantastico leggere questi commenti: le riforme del mercato del lavoro non incidono sulle assunzioni…e tutta la grancassa propagandistica fatta, i sindacati (gialli) plaudenti, la FIOM esclusa?
non ci sono parole, in italia è rimasta solo la propaganda.
Fabio Franchino
Caro Marco, Caro Massimo,
leggo in ritardo, ma con interesse, il vostro lavoro. Sebbene non sia un economista del lavoro, la vostra tesi secondo la quale ‘le riforme del mercato del lavoro non aumentano il livello dell’occupazione’ mi lascia perplesso, almeno da un punto di vista teorico. Limitiamoci alle assunzioni, in questo caso la decisione aziendale consiste in 1) assumere un nuovo collaboratore oppure avvalersi in misura maggiore dei collaboratori esistenti tramite, ad esempio, gli straordinari; se l’azienda opta per la prima opzione, la seconda scelta sarà 2) quale tipo di contratto offrire al nuovo collaboratore. Voi ritenete, da tempo, che le riforme hanno un impatto solo sulla seconda scelta, cioè sulla ‘composizione dei flussi di entrata’, e non sulla prima. Per quale strano motivo, la scelta di assunzione o meno (e quindi, a livello aggregato, il livello di occupazione) è immune, ceteris paribus, dalla regolamentazione del mercato del lavoro? Se una riforma cambia la ‘convenienza relativa per gli imprenditori di utilizzare un contratto di lavoro piuttosto che un altro’, perchè non cambia anche la ‘convenienza relativa di instaurare un nuovo contratto di lavoro rispetto al non avvalersi di per nulla di nuovi collaboratori, esigendo invece maggiore produttività da quelli già occupati’? Mi rendo conto che ci sono costi legati alla ricerca e alla stipulazione del contratto in questo caso, ma mi sorprende che la normativa sia, ceteris paribus, irrilevate.
Enrico de Waal
Creare maggiore occupazione oggi in Italia passa attraverso una serie di azioni concatenate una all’altra.
Prima di tutto occorre che le aziende possano riscuotere dallo stato i loro crediti accumulatisi nel tempo, poi spingere gli imprenditori ad aumentare il patrimonio delle proprie aziende attraverso politiche fiscali convenienti e terzo fare in modo che le banche tornino ad affidare le aziende.
Sul fronte lavoro occorre prevedere un periodo di due-tre anni dove tutti i paletti e i vincoli oggi presenti nei contratti a tempo determinato, somministrazione, apprendistato vengono sospesi. (vedi per esempio le causali nella somministrazione)
Al termine di questo periodo la disoccupazione sarà scesa ai livelli pre-crisi e si potrà tornare a ragionare sul riordino dei diversi contratti in un’ottica comunque di semplificazione.