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Transizione energetica a base di idrogeno

Nella transizione energetica l’uso dell’idrogeno come vettore di energia ha assunto un ruolo di primo piano. La crescita di un suo mercato a basse emissioni comporta importanti sfide tecnologiche, economiche e sociali. Da affrontare, anche in Italia.

La Commissione europea crede nell’idrogeno

Ora che il cambiamento climatico è finalmente entrato nel novero delle priorità globali, la ricerca di fonti energetiche che favoriscano la “transizione energetica” è aperta. E l’idrogeno potrà avervi un ruolo rilevante, anche nell’immediato futuro.

L’International Energy Agency ha stimato che nello scenario di un’economia globale a zero emissioni, nel 2050, il peso di quello da elettrolisi sul totale della produzione dei combustibili a base di idrogeno sarà intorno al 62 per cento, mentre quello dell’idrogeno da combustibili fossili con cattura e stoccaggio del carbonio arriverà intorno al 38 per cento.

Già diverse nazioni stanno preparando piani strategici di sviluppo. Ma è in particolare l’Unione europea che ha dato forma a una vera e propria Strategia per l’idrogeno, che si inserisce nel percorso di completa decarbonizzazione dell’economia europea entro il 2050.

Va da sé che il cambio profondo di prospettiva nell’orizzonte energetico europeo solleva diverse questioni: l’evoluzione della tecnologia per la produzione, il trasporto e il consumo, nonché quesiti circa il finanziamento delle infrastrutture, la regolazione, le opportunità di mercato e le conseguenze sui settori contigui, in particolare quello del gas naturale.

Nonostante un ruolo potenzialmente centrale nello scenario energetico futuro, sono ancora molti gli elementi di incertezza che dovranno essere superati affinché l’idrogeno, soprattutto quello a basse emissioni, possa diventare un vettore energetico diffuso. Anche perché la competitività di quello verde, prodotto da elettrolizzatori alimentati da fonti rinnovabili, è tutt’altro che scontata, dati gli attuali costi di produzione e gli impieghi ancora ridotti. In termini di costo, infatti, l’alternativa grigia (prodotta da combustibili fossili) è più conveniente. In più, in termini di capacità produttiva, lo sviluppo delle fonti rinnovabili non è ancora quantitativamente sufficiente a sostenere l’aumento di produzione di idrogeno verde previsto per il breve periodo. La scelta del percorso di espansione non è, quindi, neutrale e potrebbe condizionare sia il successo dell’iniziativa a livello locale o globale, sia la configurazione del settore dell’idrogeno nel medio e lungo periodo.

Domanda, offerta, investimenti e regolazione

L’azione della Commissione si fonda su quattro linee d’azione principali. La prima è la possibile espansione di un’offerta affidabile e competitiva. La Strategia europea parte dall’osservazione di un crescente investimento a livello globale nelle tecnologie per la generazione e l’uso dell’idrogeno a basse emissioni (Iea 2019). Assieme alla diminuzione del costo degli elettrolizzatori per produrre “idrogeno verde”, questo viene visto dalla Commissione come l’approssimarsi di un punto di svolta per l’idrogeno a basse o nulle emissioni, con l’aggiunta di una previsione di un ulteriore dimezzamento dei costi di produzione entro il 2030 grazie alle economie di scala. Se l’idrogeno verde dovrà raggiungere la soglia del 13-14 per cento del mix energetico europeo al 2050, nel breve-medio periodo un ruolo lo potrebbe avere anche l’idrogeno blu, ovverosia quello prodotto dai combustibili fossili con cattura e stoccaggio del carbonio. Come si può osservare nella figura 1, la roadmap europea include diversi passaggi.

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Figura 1

Fonte: elaborazione Laboratorio Ref Ricerche su informazioni Commissione europea

Il secondo punto riguarda la domanda e il suo ruolo di supporto al consistente incremento dell’offerta. La Commissione prevede che l’idrogeno sia utilizzato come input produttivo o combustibile in alcuni processi industriali, nei trasporti pesanti, come combustibile miscelato al gas naturale nelle reti di trasporto o distribuzione (“blending”) e come strumento di ottimizzazione della produzione di elettricità da fonte rinnovabile. Occorre, innanzitutto, sostituire il cosiddetto “idrogeno grigio” (da fonti fossili), per poi allargare progressivamente gli impieghi.

L’idrogeno dovrà offrire una soluzione all’aumento di fonti energetiche rinnovabili (Fer) non programmabili, in primo luogo eolico e fotovoltaico, permettendo di disporre di un sistema capace di garantire livelli di fornitura alla rete anche nei periodi in cui la produzione è ferma o intermittente, con tecnologie di immagazzinamento dell’energia oggi insufficienti.

Una terza questione riguarda gli investimenti. Per l’incremento di produzione al 2030 la Commissione prevede di destinare fra i 24 e i 42 miliardi di euro per la capacità di elettrolizzazione e 220-240 miliardi di euro per la realizzazione e connessione di 80-120 GW di capacità di generazione solare fino al 2030. Il sostegno previsto passa dal supporto diretto alla ricerca e sviluppo, al finanziamento di iniziative specifiche selezionate con procedure competitive e a un sistema di contratti per differenze sul carbonio per ridurre il differenziale di costo rispetto all’idrogeno grigio. A questo, si aggiunge il supporto al retrofitting degli impianti di produzione di idrogeno grigio con infrastrutture di cattura e stoccaggio del carbonio, incrementando così la produzione dell’idrogeno blu. In totale, l’investimento previsto fino al 2050 per la sola produzione dell’idrogeno a basse emissioni oscilla tra 180-470 miliardi di euro.

Ultimo, ma per nulla meno importante, è l’esigenza di un quadro normativo-regolatorio certo e chiaro, propedeutico allo sviluppo e all’affermazione dell’idrogeno, senza escludere le implicazioni sui settori collegati, come l’elettrico, il gas naturale e i trasporti.

La sfida principale è quella di arrivare a una definizione condivisa, a livello europeo, di “idrogeno a basse emissioni”. Una prima risposta, ancorché non definitiva, è contenuta nelle misure di implementazione della tassonomia, con una soglia di “sostenibilità” fissata entro le 3 tCO2eq/tH2.

Un ulteriore elemento di discussione è la possibilità di definire “rinnovabile” l’idrogeno prodotto mediante elettrolisi. Ai sensi della direttiva (Ue) 2018/2001, tra i criteri rilevanti per i combustibili rinnovabili di origine non biologica, si ritrova l’indicazione di un risparmio minimo del 70 per cento delle emissioni climalteranti rispetto al corrispettivo fossile e il criterio dell’addizionalità, ovvero il fatto che la produzione del combustibile candidato rinnovabile non debba sottrarre energia (elettrica) rinnovabile ad altri usi.

È un criterio da considerare nella pianificazione degli investimenti in nuova capacità di produzione di idrogeno a basse emissioni.

La questione delle infrastrutture di trasporto

Una condizionenecessaria per la piena affermazione del vettore idrogeno è la realizzazione di un’infrastruttura di trasporto dedicata, che dovrà congiungere i punti di produzione e consumo, facendo affidamento sulle tecnologie più convenienti. È facile preconizzare che, almeno inizialmente, il mercato si svilupperà a livello locale, o addirittura all’interno di singoli cluster industriali, per poi assumere una dimensione nazionale e comunitaria, aperta anche agli scambi con i paesi extraeuropei. Occorre, tuttavia, definire la pianificazione e il finanziamento delle infrastrutture di trasporto, anche alla luce della progressiva futura erosione del peso del gas naturale nel mix energetico europeo.

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Più nello specifico, i temi più attuali sono i seguenti:

– la possibilità di riutilizzare i gasdotti esistenti per il trasporto dell’idrogeno in forma miscelata o pura;
– le modalità di finanziamento degli adeguamenti alle infrastrutture esistenti e della realizzazione di eventuali nuove infrastrutture;
– la pianificazione di lungo periodo dello sviluppo delle infrastrutture.

Nella primavera di quest’anno, diversi gestori delle reti gas si sono organizzati per proporre una visione per una possibile rete europea dell’idrogeno, largamente basata sul repurposing di quelle gas esistenti e con l’introduzione di alcune nuove linee di trasporto dedicate.

L’Italia e l’idrogeno

Affinché la transizione sia sostenibile economicamente e socialmente, è necessario che i governanti delineino un piano d’azione organico e lungimirante, con misure di accompagnamento per i segmenti a valle della filiera, sviluppando competenze e collaborazioni anche presso gli enti locali interessati. Non si potrà prescindere dal coinvolgimento attivo e partecipato dei cittadini-utenti, così da prevenire l’insorgere di fenomeni Nimby (not in my backyard) pronunciati che rallentino la transizione.

L’Italia dovrà sfruttare a suo favore il peso che il gas naturale attualmente riveste nella sua bilancia e nelle sue infrastrutture energetiche e di trasporto. Dovrà quindi promuovere innanzitutto la decarbonizzazione di questa fonte energetica con il completamento del processo di gare in una prospettiva tecnologica e di innovazione, senza dimenticare la vicinanza e le connessioni già attivate con i paesi del Nord Africa, nell’eventualità in cui si volesse far ricorso anche all’importazione di idrogeno. Ogni opzione tecnologica è da ritenersi utile, ai fini della transizione energetica.

Attualmente, l’Italia registra un sostanziale allineamento con la Strategia europea. Dalla tabella 1 si può vedere quanto previsto dalle Linee guida preliminari della Strategia nazionale per l’idrogeno e quanto inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Tabella 1

Fonte: elaborazione Laboratorio Ref Ricerche su informazioni “Strategia Nazionale Idrogeno – Linee guida preliminari” e Pnrr

Tutto questo sarà inevitabilmente meglio precisato nei prossimi mesi nella versione definitiva della Strategia nazionale e con la nuova edizione del Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima). A quel punto, sarà possibile trarre un’indicazione più esaustiva del ruolo affidato all’idrogeno nel percorso di transizione energetica che anche il nostro paese dovrà affrontare nei prossimi anni. 

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Dad sul banco degli imputati

  1. oscar

    seco do me i 5 economisti dovrebbero parlare anche con qualche fisico, chimico e ingegnere perche tra i tecnici sento pareri molto diversi dai loro, molto meno favorevoli

  2. Giovanni

    L’idrogeno é una boiata pazzesca ed i soliti noti ci porteranno al disastro.

    • l’idrogeno è un gas tutto da scoprite le università e i centri di ricerca forse una soluzione l’hanno nel cassetto e se la tirano fuori finito il loro business, un appassionato ricercatore la messa a disposizione a chiunque interessi ma a quanto pare non interessa a nessuno neanche alla politica che porterebbe migliaia di posti di lavoro

  3. Domenico Priore

    Se la transizione ecologica significa passare all’economia a H sarà una grande fregatura per l’umanità. Gli aspetti positivi dell’H di qualche decennio fa hanno lasciato il posto al Dio Sole. Il FV, a conti fatti, può darci l’energia necessaria a metro zero, non a km zero, per far girare l’economia mondiale. La tecnologia di accumulo é a portata di mano. La Scienza alzi la voce e convinca i politici virtuosi ad abbandonare questo progetto sciagurato. La produzione di H da fonti fossili peggiorerebbe il bilancio termico della Terra a causa di un incremento di CO2. I grandi volumi di H ne renderebbero fragili finanche le condotte o contenitori che siano, utilizzati per il trasporto, col rischio di esplosioni catastrofiche. Proteggersi dai rischi da elettrocuzione é un gioco da ragazzi, a confronto. Costruitevi un impianto FV sui vostri tetti e dite: No grazie all’H.

  4. Belzebu'

    LA CINA COMUNISTA CONTRO L’USCITA DAL CARBONE
    Sui punti chiave il G20 di Napoli non arriva all’accordo.
    C’è uno zoccolo duro di alcuni Paesi del G20 (tra cui Cina, India e Russia) che non vogliono l’impegno a mantenere nella prossima decade la temperatura del pianeta entro i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali.

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