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Quanto pesano dieci anni di mancati investimenti*

Negli ultimi dieci anni in Italia si è investito poco, soprattutto da parte del settore pubblico. Secondo le stime, la rinuncia è costata al paese 8 punti di Pil. Compensati in parte da export e consumi interni, che sono ora i più colpiti dalla pandemia.

L’andamento degli investimenti

Nel 2020 gli investimenti fissi lordi in Italia ammontano a 293 miliardi di euro, un dato al di sotto del triennio precedente, quando oltrepassavano i 300 miliardi.

La figura 1 evidenzia il trend degli investimenti lordi in Italia dal 2005 al 2020 in termini percentuali rispetto al Pil: un andamento positivo fino al 2007, l’inizio della discesa nel 2008, il crollo nel 2009, la breve ripresa del 2010-2011, la ricaduta per il 2012-2014 e la risalita del 2015-2019, con un ritorno quasi ai livelli del 2012.

È una dinamica che evidenzia come il paese non sembri essere riuscito a mettere in campo politiche pubbliche in grado di far rientrare i contraccolpi della doppia crisi: quella prevalentemente finanziaria del 2008 e quella dell’economia reale del 2011. Più di dieci anni persi, in cui l’intervento dell’Unione europea, primariamente attraverso i fondi strutturali, ha avuto un effetto per lo più anticiclico e contingente che ha consentito il completamento di investimenti che avevano fino a più di trent’anni di storia progettuale (si pensi alle tratte dell’alta velocità o ad alcune linee di metropolitane, per non parlare del recupero di diversi edifici di interesse storico-artistico).  

D’altra parte, questa dinamica ricalca il trend degli investimenti privati, data la loro prevalenza sulla componente pubblica. Nel periodo 2005-2020, infatti, gli investimenti privati corrispondono in media all’85,6 per cento del totale: circa 266 miliardi di euro all’anno rispetto agli oltre 310 miliardi di euro medi annui complessivi. È un importo che conferma il peso specifico degli investimenti privati sia nella composizione del Pil italiano, sia, di conseguenza, sul suo andamento.

È implicito che l’andamento negativo degli investimenti abbia avuto un forte impatto macroeconomico sulla crescita, nonostante ci siano state componenti della domanda aggregata, come esportazioni nette e consumi privati, che hanno sostenuto con forza, e in parte compensato, il mancato apporto di risorse.

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Se si stima il mancato investimento come la differenza tra i valori medi in percentuale del Pil degli ultimi due decenni (2001-2010 e 2011-2020), si può calcolare che le risorse non destinate agli investimenti nel decennio 2011-2020 ammontino complessivamente a oltre 430 miliardi di euro per il settore privato e a oltre 115 miliardi per quello pubblico (figura 2).

Partendo dall’esercizio effettuato dalla Banca d’Italia per valutare l’impatto economico del Next Generation EU, è possibile fornire una stima, sebbene approssimata, dell’impatto degli investimenti non effettuati negli ultimi dieci anni sul Pil.

Ipotizzando che il mancato investimento sia avvenuto linearmente nel corso del decennio, si può stimare che l’impatto cumulato in termini di Pil ammonti a 8 punti percentuali sul 2020 (figura 3). In particolare, la componente privata avrebbe avuto effetti per oltre 6 punti percentuali, mentre gli investimenti pubblici avrebbero inciso per circa 2 punti percentuali. Nell’esercizio, si suppone che i moltiplicatori medi degli investimenti del settore privato e pubblico coincidano. L’ipotesi presuppone che la spesa pubblica sia effettuata senza alcuna inefficienza.

Come la pandemia cambia lo scenario

Oltre a sottolineare l’importanza delle politiche di stimolo degli investimenti sull’andamento delle variabili macroeconomiche, queste evidenze generano preoccupazione alla luce della particolare congiuntura determinata dalla pandemia da Covid-19, che ha inibito consumi privati ed export, le due componenti che avevano contribuito a sostenere il Pil.

Il quadro macroeconomico è infatti fortemente instabile e dipendente da oscillazioni esterne. Siamo di fronte a una delle crisi economiche più dure dell’era della globalizzazione, in cui i lockdown nazionali hanno rallentato, e potrebbero continuare a farlo in futuro, la dinamica dei consumi per mancanza di liquidità, mentre la chiusura di un mondo interconnesso non potrà che incidere pesantemente sull’export nazionale.

Se negli ultimi anni non si è data priorità all’attivazione di meccanismi per rilanciare gli investimenti, ora le misure di intervento a loro sostegno dovranno necessariamente cambiare.

Nel breve periodo sono consumi ed export i più colpiti dagli shock causati dalla pandemia e dunque i mancati investimenti potrebbero diventare ancora più rilevanti perché privano l’economia italiana di risorse importanti, che gettano le basi per lo sviluppo dell’intero paese. Basterà, allora, quella che per ora appare più che altro come una parola magica, ossia il Piano nazionale di ripresa e resilienza?

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*L’articolo riflette esclusivamente le opinioni degli autori senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza. Nella fase di elaborazione dei dati ha collaborato Giorgio Ivaldi (Banca d’Italia).

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“Fit for 55”: la transizione energetica vista dall’Europa

  1. Enrico D'Elia

    Una delle cose che sappiamo degli investimenti è che dipendono essenzialmente dalle attese sulla domanda futura e dalla tecnologia. Se da decenni la crescita italiana sfiora appena l’1% in media è difficile che gli imprenditori abbiano troppa voglia di aumentare la capacità produttiva. Se poi da decenni non troviamo un accordo sugli standard energetici (idrogeno? rinnovabili? fossile “pulito”?) e della mobilità (elettrico? diesel pulito? gas?) non vedo chi può avere il coraggio di investire in questi settori e in tutti quelli collegati. Se infine aggiungiamo il geniale crollo della spesa pubblica proprio durante la crisi dei debiti sovrani il quadro mi pare sufficiente a giustificare una riduzione degli investimenti privati anche maggiore di quella osservata. Aggiungerei che gli incentivi agli investimenti hanno avuto effetti modesti (a parte l’impatto sui conti pubblici) se è vero che le indagini del MISE (ossia del maggiore erogatore di sussidi) rivelano che circa la metà dei beneficiari dichiara che avrebbe fatto esattamente gli stessi investimenti anche senza aiuti.

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