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Anziani non autosufficienti: è il momento delle scelte

Il governo deve decidere come utilizzare gli investimenti previsti dal Pnrr per gli anziani non autosufficienti. È un passaggio determinante in vista di una riforma complessiva. La società civile propone il “Piano nazionale di domiciliarità integrata”.

Perché le prossime scelte sono decisive

Per gli anziani non autosufficienti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede alcuni investimenti e una riforma.

Gli investimenti si concentrano sui servizi domiciliari – specificamente sul più diffuso, l’Adi (assistenza domiciliare integrata) delle Asl – e cominceranno nel 2022 per terminare nel 2026. La loro ingente entità farà crescere progressivamente la spesa pubblica per l’Adi dagli attuali 1,3 miliardi di euro annui sino a 2,9 miliardi nel 2026.

La riforma, invece, è quella complessiva dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, per modificarla in profondità e rafforzarla; sarà introdotta tra il 2023 e il 2024. È attesa dalla fine degli anni Novanta ed è già stata realizzata in gran parte dei paesi vicini al nostro, come Austria (nel 1993), Germania (1995), Francia (2002) e Spagna (2006). Attenzione: è la riforma lo snodo cruciale per il futuro.

Le decisioni sull’utilizzo degli investimenti sono in via di definizione. Precederanno dunque la riforma e la condizioneranno in profondità. Di fatto, quindi, nello stabilire l’impiego degli investimenti si scriverà già la parte della riforma che riguarda i servizi domiciliari. Da qui, l’importanza delle scelte da compiere adesso.

La società civile propone il “Piano nazionale di domiciliarità integrata”

L’inserimento della riforma nel Pnrr è figlio della volontà del governo di ascoltare la richiesta avanzata da alcune organizzazioni della società civile. Queste hanno poi dato vita al “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, il più ampio raggruppamento di rappresentanza sociale in materia in Italia, composto da 43 organizzazioni.

Il Patto ha presentato la proposta del “Piano nazionale di domiciliarità integrata”, da avviare nel 2022, e che, in continuità con la futura riforma, inizia a declinarne concretamente le finalità. La proposta intende evitare il pericolo – oggi evidente – che le scelte sull’impiego degli investimenti siano in contraddizione con gli obiettivi della successiva riforma, già indicati nel Pnrr: significherebbe creare le condizioni per il suo fallimento. 

Vediamo ora le azioni previste nel Piano domiciliarità per superare i principali rischi esistenti nella fase attuale, le quali riprendono posizioni ampiamente condivise tra gli esperti.

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Diffondere servizi domiciliari che servano agli anziani non autosufficienti

L’Adi è l’intervento domiciliare pubblico più utilizzato, ricevuto annualmente dal 6,2 per cento degli ultrasessantacinquenni, e i cui finanziamenti cresceranno molto. Bisogna, però, confrontarsi con l’eredità di un servizio che non è mai stato pensato per le peculiarità della non autosufficienza. Perlopiù, infatti, l’Adi eroga singole prestazioni di natura medico-infermieristico-riabilitativa per far fronte a specifiche – e circoscritte – esigenze sanitarie, senza una risposta che prenda in considerazione la complessità delle molteplici dimensioni della vita legate alla non autosufficienza.

In concreto, sono rari gli interventi di sostegno all’anziano nelle attività fondamentali della vita quotidiana (che la mancanza di autonomia gli impedisce di compiere da solo), così come le azioni di affiancamento e supporto a familiari e badanti; inoltre, il valore medio di ore erogate annualmente per utente è pari solo a 18 e la durata dell’assistenza, in prevalenza, si limita a 2-3 mesi (ad esempio, quelli successivi ad una dismissione ospedaliera). Non stupisce, dunque, che la definizione di assistenza agli anziani non autosufficienti (long-term care) della Commissione europea escluda l’Adi da questo settore del welfare.

Sinora il governo non ha mostrato l’intenzione di modificare l’Adi. Si rischia, dunque, di promuovere la diffusione – su larga scala – di un servizio non adatto agli anziani non autosufficienti. Il Piano domiciliarità, invece, prevede di cambiare l’Adi a partire dalle effettive condizioni delle persone e delle loro famiglie.

Evitare la progressiva esclusione dei comuni dalla domiciliarità  

L’altro servizio domiciliare pubblico è il Sad (servizio di assistenza domiciliare) dei comuni. È assai meno diffuso dell’Adi (copre solo l’1,3 per cento degli anziani), la spesa annuale ammonta a 347 milioni e – in questo caso – non è previsto alcun incremento significativo di risorse. Anzi il divario quantitativo con l’Adi si amplierà (nel 2026, ogni 100 euro per l’Adi se ne spenderanno 12 per il Sad) e pare destinato a rendere sempre più residuale il Sad e a far diventare irrealistico l’auspicabile sviluppo di risposte integrate. In assenza di correttivi, dunque, si sta costruendo un sistema di domiciliarità che asseconderà la progressiva estromissione dei comuni. Che invece andrebbe evitata per il radicamento dei comuni nel territorio e l’importanza del loro contributo in questo settore: basta pensare al ruolo che possono svolgere nel sostegno all’anziano nelle attività di base della vita quotidiana e nel supporto a familiari e badanti. A tal fine, il Piano domiciliarità prevede – nella legge di bilancio 2022 – un nuovo finanziamento dedicato al Sad: +302 milioni di euro nel 2022, +373 nel 2023 e +468 nel 2024. L’utenza, il prossimo anno, raddoppierebbe rispetto a oggi, per poi continuare a crescere progressivamente: 2,6 per cento degli anziani nel 2022, 2,9 per cento nel 2023 e 3,3 per cento nel 2024.

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Partire dai ministeri per superare la frammentazione delle risposte

Oltre a intervenire internamente ai comparti di Adi e Sad, occorre anche superare l’attuale separatezza tra i due servizi e, quindi, tra gli enti che ne sono titolari: Asl e comuni. È questa la strada da percorrere per offrire una sola risposta integrata ad anziani e famiglie. Ma sarà possibile riuscirci solo se a procedere in tale direzione saranno, innanzitutto, i ministeri competenti per la non autosufficienza (Welfare e Salute). Non si può chiedere ai territori di lavorare in modo integrato, infatti, se i primi a non farlo sono i dicasteri responsabili. Non si sono avute, sinora, azioni in tal senso.

La proposta prevede che i ministeri del Welfare e della Salute costituiscano una cabina di regia nazionale unitaria, sede di condivisione sostanziale della responsabilità del Piano domiciliarità. In parallelo, si disegneranno interventi integrati a livello locale, attraverso accordi tra comuni e Asl per realizzare progressivamente i passi necessari a tal fine.

La tabella sintetizza le mosse chiave previste dal “Piano nazionale di domiciliarità integrata” per evitare che le misure attivate adesso siano in contrasto con gli scopi della successiva riforma. Il Piano, nondimeno, permetterebbe di cominciare a fornire migliori risposte ad anziani e famiglie già nel 2022. Servirebbe, infine, a sfruttare il periodo precedente alla riforma iniziando a modificare gli interventi nella sua direzione, dato che l’attuazione dei cambiamenti nei territori è sempre lunga e complessa.

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La fame nel mondo aumenta anziché diminuire

  1. Laura Dalseno

    Buongiorno, io sono assistente domiciliare dal 1993 e svolgo il mio lavoro presso un comune del basso mantovano. Io sono una delle poche operatrici assunte dall’ente locale, inizialmente part time a 18 ore settimanali, negli ultimi anni ore 24 h.
    Mi rammarica vedere come le amministrazioni non riescono a comprendere le problematiche del sociale.
    Ci sarebbe molta necessità di operatori sul territorio per supportare le famiglie e gli utenti soli, purtroppo piuttosto di aumentare le ore alle dipendenti, preferiscono diminuire le prestazioni agli utenti.
    Si lamentano se devono pagare le strutture a chi non ce la fa a pagarsela con il proprio reddito, ma non pensano che il mantenimento del cittadino presso il proprio domicilio è anche una forma di risparmio per l’ente, oltre che un regalo a chi ancora desidera prolungare la propria vita al di fuori di una RSA.
    Sempre più spesso è necessario cambiare il domicilio del paziente presso un alloggio di proprietà pubblica perchè il loro non è idoneo all’attuale situazione fisica ed economica, ma diventa molto complicato a causa della burocrazia.
    Le famiglie hanno bisogno di essere supportate, ma purtroppo manca la volontà di certe amministrazioni di aumentare le ore al personale e di assumere. Il Sad è un costo.
    Le cooperative purtroppo hanno un costo esorbitante, le famiglie non sono in grado di affrontare la spesa e cercano persone in nero (e sono tantissime).
    Spero che le somme messe a disposizione per i servizi di assistenza domiciliare vadano a buon fine, le strutture dovrebbero essere l’ultima opzione prima della morte.
    Cordialmente

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