Aumentano gli arrivi di migranti nel Regno Unito attraverso il canale della Manica. Molto spesso si tratta di persone che hanno diritto alla protezione internazionale. Il problema è che, nel post Brexit, la crisi di Calais assume un forte valore simbolico.
La crisi di Calais e gli sbarchi nel Regno Unito
I ministri dell’Unione europea si sono incontrati domenica 28 novembre a Calais, in una riunione d’urgenza per fronteggiare la crisi nel canale della Manica. Il vertice ha ribadito l’intenzione dei paesi europei di contrastare la presenza di trafficanti nell’area e ha previsto che un aereo di Frontex sorvoli la zona per identificare imbarcazioni sospette. Del tutto assente è stata invece la discussione sulle modalità più efficaci di assicurare protezione internazionale ai richiedenti asilo accampati a Calais, come se il diritto di asilo non fosse sancito dai trattati internazionali dei quali tutti i paesi Ue sono firmatari.
Ma cosa succede a Calais? Innanzitutto, c’è stata la drammatica morte – avvenuta la scorsa settimana – di 27 persone nel tentativo di attraversare su di un gommone i 40 chilometri di mare tra la città francese e il Kent. Il naufragio va collocato nell’ambito di un significativo aumento del numero di migranti che provano ad attraversare la Manica via mare. Dal 1° gennaio al 26 novembre, circa 25.700 persone sono arrivate nel Regno Unito in questo modo, il triplo di quelle registrate in tutto il 2020 (8.400), che, a loro volta, erano oltre quattro volte quelle del 2019 (1.800). E si stima che in questo momento ci siano circa duemila persone bloccate a Calais.
Chi sono le persone che rischiano la vita attraversando la Manica? Si tratta principalmente di profughi che intendono chiedere asilo nel Regno Unito e che tendenzialmente hanno ottime ragioni per farlo. Secondo i dati dell’Home Office britannico, circa due terzi dei 12 mila migranti che hanno attraversato la Manica tra gennaio 2020 e maggio 2021 arrivavano da Iran, Iraq, Sudan, Siria, Vietnam ed Eritrea: paesi in conflitto o nei quali i cittadini subiscono violenza e persecuzioni per ragioni politiche. Nello stesso periodo, difatti, il governo britannico ha dato lo status di rifugiato a circa l’80 per cento dei richiedenti asilo provenienti dai sei paesi, riconoscendo quindi la fondatezza delle loro richieste.
Nonostante l’aumento di oltre quattordici volte del numero di attraversamenti della Manica tra 2019 e 2021, però, il numero di richieste di asilo non è visibilmente aumentato. La figura 3 mostra che, da gennaio a settembre 2021, il Regno Unito ha ricevuto 29.774 domande, grosso modo tante quante nel 2020, e addirittura meno delle 35.737 domande ricevute nel 2019.
La sostanziale stabilità nel numero di domande di asilo pur con il significativo aumento degli attraversamenti della Manica suggerisce che sia in corso un cambio di modalità di entrata più che una genuina crescita della protezione umanitaria e della richiesta di protezione internazionale nel Regno Unito. L’aumento dei controlli di polizia all’ingresso del Tunnel sotto la Manica, insieme alla drastica riduzione del traffico dovuta a Brexit e Covid-19, hanno nettamente aumentato la probabilità di essere scoperti se si tenta un ingresso clandestino nascosti all’interno di camion o automobili. Allo stesso tempo, la riduzione del traffico aereo e del numero di passeggeri ha reso più difficile e rischioso l’accesso al Regno Unito con questa modalità. La via del mare, per quanto più pericolosa, sembra essere al momento quella che garantisce maggiori probabilità di successo. L’ingresso della criminalità organizzata e dei trafficanti – attirati dalle possibilità di guadagno offerte dalla presenza dei migranti a Calais – ha poi certamente contribuito a consolidare lo spostamento sulla rotta marittima.
I rapporti tra Francia e Gran Bretagna
Quando il governo britannico accusa quello francese di non fare abbastanza, Parigi risponde che le sue forze di polizia hanno arrestato oltre 1.500 trafficanti nel corso del 2021. E i numeri sull’asilo dicono che la Francia sta facendo la sua parte anche nel campo della protezione umanitaria: nel 2020 ha ricevuto oltre 87 mila domande di asilo, contro le 36 mila del Regno Unito, per una popolazione residente molto simile (65 e 67 milioni, rispettivamente). Bisogna anche ricordare, però, che il tasso di rifiuto delle domande di asilo della Francia l’anno scorso è stato del 78 per cento, quasi il doppio del 42 per cento del Regno Unito.
A giugno i governi francese e britannico avevano raggiunto un accordo sulla gestione dei migranti nella Manica che prevedeva che il Regno Unito versasse alla Francia un contributo di 55 milioni di sterline (circa 65 milioni di euro) per pagare parte delle spese connesse alla gestione dei migranti a Calais e ridurre gli attraversamenti irregolari. La Francia adesso lamenta che questi soldi non sono mai arrivati, mentre la ministra degli interni britannica Priti Patel risponde che i fondi sono stati trattenuti perché Parigi non ha fatto abbastanza per fermare gli attraversamenti.
È una battaglia a forte valenza simbolica per il Regno Unito. Il governo conservatore ha insistito molto sul fatto che la Brexit avrebbe portato a un rinnovato controllo dei confini nazionali (“taking back controls of our borders”). E proprio la riappropriazione del controllo delle frontiere serve ora a giustificare i costi e le difficoltà – rese più acute dalla pandemia – che il Regno Unito fronteggia nel periodo post-Brexit. I richiedenti asilo però minano inconsapevolmente uno dei pochi (ipotetici) “benefici” della Brexit, mostrando non solo che le frontiere inglesi sono permeabili persino a chi cerchi di entrare con un gommoncino gonfiabile, ma anche che la gestione dei confini del paese va comunque concordata con l’Unione europea e, in particolare, con uno dei suoi principali esponenti, la Francia.
I numeri di una crisi che si potrebbe risolvere
I numeri della presunta crisi nella Manica sono perfettamente gestibili per due paesi che, insieme, hanno una popolazione di oltre 130 milioni di abitanti e sono fra le massime potenze economiche europee. Il canale della Manica tra Calais e il Kent è così stretto che dove finiscono le acque territoriali francesi iniziano immediatamente quelle britanniche: l’assenza di acque internazionali dovrebbe semplificare i conflitti di attribuzione della responsabilità, così come le distanze ridotte dovrebbero facilitare le operazioni di ricerca e soccorso in mare.
I numeri eccessivi sono invece quelli dei morti, i 27 della settimana scorsa, e quelli che rischiano di aggiungersi nei prossimi mesi, se si prosegue con una battaglia simbolica a colpi di Twitter e cancellazioni di inviti.
Il cimitero del Mediterraneo – con oltre 1.100 morti registrate dallo Iom solo nei primi sei mesi del 2021 – ci ha tristemente assuefatto alla realtà che si possa morire nel tentativo di raggiungere l’Europa. Non vogliamo abituarci all’idea che si possa morire anche in Europa, abbandonati tra i suoi confini.
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