La maggioranza della popolazione immigrata è costituita da donne. Pur con un livello di istruzione in media superiore, hanno una probabilità di occupazione molto più bassa degli immigrati uomini e delle native. E quando lavorano hanno salari più bassi.

Il Rapporto dell’Osservatorio sulle migrazioni

Più di metà dei migranti in Europa sono donne, e la prevalenza femminile è particolarmente forte in Italia dove gli uomini costituiscono solo il 45 per cento della popolazione immigrata. Nonostante il loro livello di istruzione sia in media più elevato rispetto a quello degli uomini, però, le donne straniere subiscono un doppio svantaggio nel mercato del lavoro europeo, superiore sia a quello delle donne native, che a quello dei loro connazionali uomini. Nel Sesto Rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni del Collegio Carlo Alberto e del Centro Studi Luca d’Agliano, abbiamo analizzato le caratteristiche e i risultati economici delle donne immigrate in Europa e in Italia.

Le donne immigrate lavorano meno…

Nel 2020, gli immigrati nei paesi europei avevano una probabilità di occupazione inferiore di 10 punti percentuali, in media, rispetto ai nativi. Ci sono però notevoli differenze di genere. Innanzitutto, già le donne native hanno una probabilità di occupazione di ben 11 punti percentuali inferiore rispetto a quella degli uomini (71 contro 82 per cento).  E se il gap tra nativi e migranti nella probabilità di avere un lavoro è di 6 punti percentuali fra gli uomini (82 contro 76 per cento), fra le donne il differenziale è ancora maggiore, quasi 14 punti percentuali (71 contro 57 per cento). In paesi come Germania e Svezia la posizione relativa delle donne immigrate era peggiore, con più di 20 punti percentuali di differenza con le native. Ma la differenza tra le immigrate in Italia e le italiane era ingannevolmente bassa: i “soli” 7 punti percentuali di distacco sono determinati dal fatto che il tasso di occupazione delle donne italiane (57 per cento) è il secondo più basso in Europa, dopo la Grecia. Nel nostro paese, solo una donna immigrata su due era occupata nel 2020.

La situazione non dà poi segni di miglioramento. Mentre per i nativi la differenza di genere nella probabilità di occupazione è diminuita da 17 punti percentuali nel 2005 a 11 nel 2020, quella tra donne e uomini immigrati è rimasta stabile – 18 punti percentuali – dal 2010 al 2020. In Italia, entrambi i divari – tra immigrati e tra nativi – sono superiori alla media europea, e il gap tra uomini e donne immigrati è salito da 24 a 28 punti percentuali negli ultimi cinque anni, invertendo decisamente la tendenza di miglioramento del decennio precedente.

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…e in occupazioni meno remunerative

Oltre ad avere probabilità di occupazione significativamente inferiori rispetto a donne native e uomini immigrati, le straniere hanno una probabilità di occupazione nei lavori cosiddetti “elementari” – che richiedono un livello base di competenze, e che quindi offrono una remunerazione decisamente inferiore alla media nazionale – molto superiore a quella del resto della popolazione: in Europa, per ogni quattro donne immigrate occupate, una svolge un lavoro elementare. È una probabilità quasi doppia rispetto a quella degli uomini immigrati e tripla rispetto alle donne native. Il divario migliora poco con il tempo: anche dopo 30-34 anni dalla migrazione, la probabilità di occupazione in un lavoro di livello elementare per le donne immigrate è doppia rispetto a quella delle donne native, cosa che indica un percorso di integrazione o di miglioramento delle condizioni lavorative solo limitato. Nei paesi dell’Europa meridionale la presenza delle donne immigrate nei lavori elementari è tra le più elevate: 34 per cento in Grecia, 32 per cento in Spagna, 31 per cento in Italia.

L’affollamento nelle occupazioni di basso livello è una delle cause della sovra rappresentazione delle donne immigrate nei decili di reddito più bassi. Se si guarda alla distribuzione del reddito, in media, in Europa, metà delle donne immigrate si collocano nei primi tre decili di reddito – i più poveri – mentre solo una su venti ha un reddito che la pone nel 10 per cento più ricco della popolazione.

Figura 2 – Distribuzione di uomini e donne immigrate lungo la distribuzione del reddito, in Italia e in Europa (2020)

Il livello di istruzione non aiuta le donne immigrate

Il peggior inserimento lavorativo delle donne rispetto agli uomini immigrati non è imputabile a differenze nelle caratteristiche individuali, come per esempio il livello di istruzione. Infatti, come fra i nativi, le donne sono mediamente più istruite rispetto agli uomini: il tasso di istruzione universitaria è rispettivamente del 31 e del 28 per cento fra le donne e gli uomini immigrati in Europa. E anche se il livello di istruzione media della popolazione straniera varia considerevolmente tra paesi, in maniera speculare a quella della popolazione autoctona, quasi ovunque le donne immigrate hanno percentuali di istruzione terziaria superiori a quelle degli uomini.

Le donne immigrate sono invece meno istruite, in media, delle donne native, fra le quali il 36 per centro ha un’istruzione universitaria. Tuttavia, le differenze nei livelli di età e di istruzione spiegano meno di un quindicesimo del differenziale salariale tra donne native e immigrate, che è invece per quasi due terzi attribuibile alla maggiore frequenza con la quale queste ultime svolgono mansioni poco qualificate. Un terzo del gap, però, non è spiegabile da nessuna di queste caratteristiche: ciò indica che. anche a parità di lavoro e di profilo demografico, le donne straniere ricevono salari inferiori a quelle native.

È importante, quindi, fare attenzione quando si sceglie di analizzare le condizioni lavorative degli immigrati: uomini e donne si trovano in situazioni marcatamente diverse tra loro, e il particolare svantaggio delle donne immigrate va tenuto in considerazione nella ricerca di politiche adeguate di riduzione delle disuguaglianze.

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