Con informazioni statistiche su quasi tutto il sistema occupazionale italiano, l’Osservatorio Inps “Lavoratori dipendenti e indipendenti” consente di valutarne l’andamento per il periodo 2014-2020. Ne emerge un quadro di sostanziale stabilità.
Alla fine di dicembre 2021 l’Inps ha aggiornato l’Osservatorio “Lavoratori dipendenti e indipendenti”, ora disponibile per l’intero periodo 2014-2020. Rappresenta una sorta di sintesi dei diversi “Osservatori Inps” basati sulle singole gestioni previdenziali (lavoratori dipendenti privati, lavoratori pubblici, operai agricoli, artigiani e così via) in quanto i lavoratori/assicurati Inps sono in questo caso conteggiati tutti insieme, classificandoli in base alla posizione previdenziale prevalente nell’anno osservato.
In tal modo si dispone di informazioni statistiche di origine amministrativa (vale a dire la registrazione come “assicurato contribuente attivo” a una cassa Inps) relative a pressoché tutto il sistema occupazionale italiano: oltre ovviamente ai lavoratori totalmente “in nero” (cioè senza nessuna posizione regolare in nessun momento dell’anno), fuori del perimetro Inps rimangono solo i liberi professionisti (si può stimare meno di un milione di occupati) nonché un gruppo esiguo di autonomi occasionali che operano senza partita Iva (soggetti solo a ritenuta d’acconto).
In sostanza, questo Osservatorio Inps censisce oltre il 96 per cento di quanti, nel corso di un anno, risultano in Italia occupati regolarmente. Pertanto, consente di valutare – come anticipato anche nel Rapporto annuale Inps – persistenze e modifiche del sistema occupazionale sulla base di classificazioni di indubbio interesse, che qualificano e chiariscono anche i risultati che emergono dalle fonti statistiche ufficiali. Si tratta di dati annuali – rispondono alla domanda “quanti italiani hanno lavorato, anche con diversa stabilità, nel corso dell’anno x” – per questo gli stock considerati (sempre oltre 25 milioni negli ultimi anni) è più alto di quello emergente dalle indagini sulle forze di lavoro (circa 23 milioni) che riportano sostanzialmente medie settimanali.
L’analisi per categorie
La tabella 1 riporta la serie storica 2014-2020. Tra il 2014 e il 2019, i lavoratori in Italia sono aumentati di poco meno di un milione, passando da 24,7 milioni a 25,6 milioni. Nel 2020 il numero è rimasto costante: il segno della pandemia sta soprattutto nella riduzione del numero medio di settimane lavorate, scese infatti per la prima volta da 42,9 nel 2019 a 40,2 nel 2020, per effetto soprattutto del robusto calo osservato per i dipendenti del settore privato (almeno 7 milioni di essi risultano coinvolti in cassa integrazione; significativa inoltre è stata la riduzione dei lavoratori stagionali e a termine). Rilevante inoltre risulta l’impatto della crescita dei lavoratori occasionali per effetto del bonus baby sitting, una delle misure disposte per arginare le conseguenze della pandemia.
Analizzando la dinamica delle varie categorie di occupati emergono tendenze ben identificabili, che rafforzano e articolano ciò che sappiamo del mercato del lavoro sulla base delle fonti ufficiali:
- i dipendenti sono costantemente e significativamente aumentati fino al 2019 (+1,8 milioni), ripiegando poi nel 2020. La crescita è stata trascinata fino al 2019 dai dipendenti del settore privato, mentre i dipendenti pubblici sono aumentati (modestamente) nel biennio 2019-2020; in flessione continua, invece, risultano i lavoratori domestici salvo il recupero 2020 dovuto in parte alla pandemia (per le colf) in parte alla regolarizzazione varata nel 2019 (per le badanti);
- i lavoratori autonomi “classici” – agricoli, commercianti e artigiani – risultano costantemente interessati da dinamiche riflessive, particolarmente pronunciate per gli artigiani; sostanzialmente stabile risulta l’eterogeneo insieme degli amministratori (in cui sono comprese varie posizioni amministrative aziendali: si va dagli amministratori delegati ai revisori contabili); in crescita modesta è l’insieme dei professionisti afferenti alla gestione separata (coloro che sono privi di ordine professionale con cassa propria);
- l’insieme delle altre posizioni lavorative – in cui abbiamo raggruppato i lavoratori occasionali e altre categorie afferenti alla Gestione separata come i collaboratori e i dottorandi/specializzandi – è complessivamente in contrazione, anche se con movimenti di segno diversificato: in calo risultano soprattutto i collaboratori, ridotti dal Jobs act a partire dal 2015, e i lavoratori occasionali, ridotti dalla drastica revisione dei voucher nel 2017 (che si è riflessa nella crescita dei dipendenti del settore privato); nuovamente in aumento risultano infine i lavoratori occasionali nel 2020 per la ragione già indicata.
Donne, giovani e stranieri
La tabella 2 consente di valutare, per ciascuna categoria, l’incidenza dei lavoratori distinti secondo le caratteristiche anagrafiche – donne, giovani, stranieri (s’intende extracomunitari) – o la localizzazione territoriale (Sud). È un modo semplice per valutare la consistenza delle (eventuali) modificazioni strutturali riguardanti alcuni aggregati che tipicamente rimandano alle note criticità italiane: il basso tasso di occupazione giovanile e femminile, il problema del Sud, la rilevanza crescente dell’apporto dei lavoratori provenienti da paesi extra-Ue.
Nell’arco del periodo 2014-2019 si segnala la modestissima crescita della quota femminile (dal 43,3 al 43,4 per cento), l’incremento più consistente di quella giovanile (dal 15,1 al 15,5 per cento) e l’aumento robusto di quella degli extracomunitari (dall’8,4 al 9,5 per cento), mentre in direzione opposta è andato il peso del Sud, sceso dal 26,9 al 26,6 per cento. Nell’anno della pandemia i segni delle variazioni appaiono di aumento per Sud e donne e di calo per giovani ed extracomunitari: conta in tutti i casi l’effetto del bonus baby sitting, andato soprattutto a donne anziane, spesso familiari (nonne) (si veda il report specifico).
Se queste variazioni risultano nel complesso modeste, ben accentuate rimangono le differenze strutturali per singola categoria:
- a fronte di una media del 44 per cento, il peso delle donne oscilla tra il 24 per cento di incidenza tra gli amministratori e l’89 per cento tra i domestici; rilevante pure è la quota tra i dipendenti pubblici (60 per cento) e i collaboratori (58 per cento);
- i giovani (circa il 15 per cento) sono sovra-rappresentati tra i dipendenti privati (19 per cento) e gli operai agricoli (22 per cento), mentre contano pochissimo tra i dipendenti pubblici (5 per cento) e gli indipendenti (in particolare costituiscono un gruppo sparuto tra gli amministratori: 3 per cento);
- gli extracomunitari incidono massicciamente tra i domestici (46 per cento) e gli operai agricoli (21 per cento); rilevante è anche la loro incidenza tra i commercianti (10 per cento); ovviamente non sono presenti tra i dipendenti pubblici e costituiscono un’esigua minoranza di amministratori;
- il Sud concentra un’alta quota di operai agricoli (56 per cento), mentre evidenzia una bassa incidenza di amministratori (15 per cento) e professionisti senza ordine (17 per cento).
Il quadro informativo può essere agevolmente sviluppato – grazie ai dati facilmente accessibili e scaricabili – per ciascuna provincia italiana, con ulteriori specificazioni più analitiche secondo diverse variabili (età, unicità o meno della posizione, contestualità del pensionamento e altro ancora) e misure (oltre al numero di lavoratori è fornito il numero di settimane lavorate e il reddito annuo, entrambe queste misure come somma delle varie posizioni, qualora multiple, in capo al medesimo lavoratore). È un quadro utile da tener ben presente prima di dar troppo credito a variazioni di breve periodo, che non di rado sono solo oscillazioni statistiche intorno a dati strutturali a lenta modificazione.
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