Dal Rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’Istat si può ricavare un quadro articolato della situazione delle donne in Italia. Premiate dalla speranza di vita, hanno grandi difficoltà nel mondo del lavoro. E traspare lo scoraggiamento.
La fotografia delle donne italiane
Ogni anno, da quasi venti anni, l’Istat pubblica il Rapporto sul benessere equo e sostenibile in Italia. La prospettiva di genere è stata considerata essenziale fin dall’esordio del progetto. E così, la maggior parte dei 153 indicatori, organizzati in 12 dimensioni fondamentali che lo compongono possono restituire un quadro del benessere (o del malessere) femminile nel nostro paese.
Proviamo a leggerne alcuni, per i quali i divari appaiono più vistosi.
Si sa che la speranza di vita alla nascita favorisce le donne. Chi è nata nel 2019 può infatti sperare mediamente in una vita di 85,4 anni, contro gli 81,1 attribuiti ai maschi. Tuttavia, si vive con più acciacchi. Gli anni che ci si può aspettare di passare in buona salute, che per gli uomini sono 59,8, per le donne si riducono a 57,6. Anche l’indice medio italiano di salute mentale, una misura che fa riferimento alle dimensioni principali dell’ansia, della depressione, della perdita di controllo comportamentale o emozionale e del benessere psicologico, premia nettamente i maschi (70/100) rispetto alle femmine (66/100). Una situazione più favorevole per le donne è invece quella descritta dall’indicatore della mortalità evitabile, che misura l’incidenza dei decessi avvenuti per una causa che avrebbe potuto essere evitata grazie a un’assistenza sanitaria tempestiva ed efficace (11,8 contro 22,3 per cento: quasi la metà in meno).
Le donne sono più sedentarie degli uomini (40 per cento contro 31,1 per cento), ma mangiano un po’ meglio (il 20,6 per cento, contro il 15,3 per cento, dei maschi assume le giuste quantità di frutta e verdura).
Dal 2004 al 2020 la quota di ragazze tra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano, né seguono corsi di formazione professionale è rimasta altissima, ferma al 24,3 per cento. Quella dei maschi, nello stesso periodo, è cresciuta dal 15 al 20,2 per cento, ma si è mantenuta inferiore. Tra gli studenti delle classi II della scuola secondaria di secondo grado, nel 2019, le ragazze con competenza alfabetica non adeguata (26,3 per cento) sono meno dei ragazzi (34,4 per cento). Per contro, ben il 42,2 per cento delle femmine ha una competenza numerica inadeguata, contro il 33,5 per cento dei maschi. Cifre che, purtroppo, la pandemia avrà ulteriormente peggiorato. Nella popolazione dai 16 anni di età, hanno competenze digitali elevate solo il 19 per cento delle femmine e il 25,1 per cento dei maschi.
Nell’ultimo decennio le donne hanno sorpassato, seppure di poco, gli uomini nella quota di persone che hanno partecipato ad attività culturali fuori di casa: 35,8 per cento contro 34,3 per cento nel 2019. In quello stesso anno, hanno frequentato biblioteche il 17,2 per cento delle femmine e il 13,2 per cento dei maschi.
Il lavoro
Il grande divario, si sa, resta quello del lavoro. Il tasso di occupazione per le persone tra 20 e 64 anni, nel 2019 è di 73,4 per cento per gli uomini e 53,8 per cento per le donne. Il tasso di mancata partecipazione al lavoro femminile raggiunge il 22,6 per cento, quello maschile il 15,9 per cento.
Il tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni che hanno almeno un figlio di età tra 0 e 5 anni è appena il 60 per cento rispetto a quello delle coetanee che non hanno figli.
Il part-time involontario colpisce le lavoratrici in una proporzione molto superiore ai lavoratori: il 20 per cento circa delle donne, contro il 6,5 per cento degli uomini.
Anche il rischio di povertà è più alto per le femmine: nel 2019, minaccia il 20,8 delle donne e il 19,3 per cento degli uomini.
Partecipazione politica e sociale
Alcuni indicatori consentono di farsi una idea della posizione femminile in Italia sotto il profilo delle istituzioni. Nel 2018, la percentuale di donne elette al Senato e alla Camera era del 35,4 per cento; la percentuale delle elette nei consigli regionali, nel 2020, del 22 per cento. Le donne in posizione apicale negli organi decisionali (Corte costituzionale; Consiglio superiore della magistratura; Autorità di garanzia e regolazione; Consob; ambasciatrici) sono il 19,1 per cento; le donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, al 30 giugno del 2020, sono il 38,6 per cento.
I livelli di partecipazione sociale delle donne (19,8 per cento nel 2019) sono parecchio più bassi di quelli degli uomini (25,7 per cento), ma il distacco ancor maggiore si rileva per la partecipazione civica e politica, che coinvolge il 65,4 per cento degli uomini e il 50,9 per cento delle donne. Le persone che si impegnano nel volontariato, circa il 10 per cento della popolazione, non presentano invece significative differenze di genere.
Lo scoraggiamento delle donne
Una serie di indicatori quantifica infine quello che potrebbe essere complessivamente descritto come lo scoraggiamento delle donne. Per esempio, ritengono che gran parte della gente sia degna di fiducia il 25,5 per cento dei maschi e il 22,5 per cento delle femmine, soprattutto per effetto dell’atteggiamento delle più anziane (appena il 17 per cento tra le donne dai 75 anni in su).
Le donne che esprimono un livello elevato di soddisfazione per la vita sono un po’ meno degli uomini: 43,4 per cento contro 45,7 per cento. Sono molto soddisfatte del proprio tempo libero il 66,3 per cento delle donne, contro il 69,9 per cento degli uomini.
Le donne che ritengono che la loro situazione personale migliorerà nei prossimi 5 anni sono meno di un terzo (il 28,3 per cento), gli uomini sono il 32 per cento. Però, pensano che la loro situazione personale peggiorerà nei prossimi 5 anni solo il 12,8 per cento delle donne e il 12,3 per cento degli uomini.
I grafici permettono di cogliere alcune significative differenze territoriali nella distribuzione dei dati.
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