I recenti sviluppi del contesto economico internazionale hanno spinto alcuni osservatori a suggerire la modifica del Pnrr. ma l’iter sarebbe lungo e una semplice congiuntura negativa non giustifica una mossa così radicale.

Da fine febbraio, dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, in seguito soprattutto all’aumento dei prezzi delle materie prime, molti esponenti del mondo politico ed imprenditoriale hanno in più occasioni chiesto una revisione o una riprogrammazione temporale del Pnrr italiano.

Per inquadrare meglio la questione, tuttavia, è utile cercare di comprendere l’obiettivo (e la filosofia di fondo) del Pnrr ed il suo meccanismo di funzionamento, e valutare se intervenire con altri strumenti che potrebbero essere utilizzati più efficacemente per rispondere alle criticità legittime evidenziate.

Lo strumento Pnrr

Il Pnrr, come indicato chiaramente nelle considerazioni e nell’articolato del Regolamento Ue 2021/241 del 12 febbraio 2021, che istituisce il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, ha come obiettivi generali sia quello di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e promuovere la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione; sia di intervenire con riforme strutturali secondo una strategia di sviluppo condivisa. Tali obiettivi sono da ottenere migliorando la resilienza, intesa come la capacità di essere preparati alle crisi ed adattarsi velocemente ai cambiamenti, e il potenziale di crescita degli Stati membri.

La pandemia, ma anche la crisi economica e finanziaria del 2009, hanno dimostrato che lo sviluppo di economie solide, sostenibili e resilienti, nonché di sistemi finanziari e di welfare basati su robuste strutture economiche e sociali, aiuta gli Stati membri a reagire con maggiore efficacia e in modo equo e inclusivo agli shock e a registrare una più rapida ripresa.

Il Pnrr nasce pertanto per affrontare le carenze “strutturali” degli Stati membri con riforme e investimenti sostenibili e favorevoli alla crescita. Intervenendo nei sei “pilastri” richiamati nel Regolamento, si cerca di rafforzare la resilienza degli Stati membri, per aumentarne la produttività e la competitività, e ridurre le disuguaglianze e le divergenze nell’Unione.

Proprio perché durante le crisi gli investimenti sono spesso soggetti a tagli drastici, il Next Generation EU mette a disposizione ulteriori risorse, programmate nei Pnrr nazionali, per sostenere quegli investimenti necessari per accelerare la ripresa e rafforzare il potenziale di crescita a lungo termine degli Stati membri.

Leggi anche:  Appalti ben gestiti dalle unioni di comuni

E infatti il Pnrr italiano interviene su criticità strutturali che, come Paese, ci trasciniamo da tempo. Tra i vari ambiti su cui sono previste azioni significative, vale qua la pena richiamare quattro aspetti non di poco conto: riforma e ammodernamento digitale della pubblica amministrazione; riforme della giustizia e della concorrenza; riforme di investimento significativo sul capitale umano, investimenti sulla transizione energetica e verde.

L’art. 21 del Regolamento europeo prevede la modifica dei Piani nazionali in caso non possano più essere realizzati, in tutto o in parte, dai singoli Stati interessati a causa di circostanze oggettive. In queste ipotesi, lo Stato che si trova in tali condizioni, può presentare alla Commissione una richiesta motivata per modificare in parte o completamente il documento. È quindi possibile cambiare il proprio Pnrr, ma solo se questo non sia più realizzabile: non è questo il nostro caso (ed al momento quello di nessun altro Stato membro). La complessa governance del Piano si è avviata, target e milestone del 2021 sono stati raggiunti, mentre quelli del primo semestre del 2022 sono in via di raggiungimento (alcuni anche già acquisiti). Le scadenze, al momento, sono quindi tutte rispettate e ciò è il contrario di “impossibilità di realizzazione”.

Va inoltre considerato che il processo di revisione dei Piani ha tempi lunghi, anche superiori probabilmente alla congiuntura negativa legata al conflitto. Infatti: 1) innanzitutto, si dovrebbe aprire nel Parlamento italiano una fase di confronto su come rimodulare il Pnrr, in concomitanza con l’inizio della lunga campagna elettorale per le politiche, con un governo a rischio per le fibrillazioni della maggioranza e i partiti con la necessità di presentarsi davanti ai propri elettori con qualche risultato; 2) se anche si approvasse in pochi mesi una nuova bozza, si dovrebbe convincere le istituzioni europee, compreso il Consiglio (tutti gli Stati membri), a concedere al nostro Paese, che non si trova in una condizione di shock asimmetrico (prezzi e approvvigionamento delle materie prime rappresentano un problema per tutti), la possibilità di modificare il Piano; 3) se la Commissione e poi il Consiglio dovessero approvare la nostra proposta di revisione, questo avverrebbe verosimilmente con un taglio delle risorse, che, ricordiamo, per Regolamento devono essere impegnate tutte entro fine 2023; 4) se addirittura volessimo spostare il termine dei Pnrr dovrebbe essere modificato il suo Regolamento istitutivo e quindi con approvazione di Commissione, Consiglio e Parlamento, con lo slittamento di almeno un anno o due degli investimenti.

Leggi anche:  Il grande equivoco delle materie non-Lep

Di fatto, se con tutte le incognite legate alle ipotesi sopra accennate, si riuscisse nell’approvazione della revisione o del rinvio, verosimilmente il ruolo del Pnrr non sarebbe anticiclico ma pro-ciclico, intervenendo dopo che la crisi congiunturale è terminata.

Per quel che riguarda lo specifico del nostro Paese inoltre, va ricordato come l’Italia sia la prima beneficiaria di risorse europee (191,5 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni, il 25 per cento delle risorse complessive del Next Generation Eu) perché è quella con i maggiori limiti strutturali. Per ricevere tali finanziamenti ci siamo impegnati nella realizzazione di ben 527 obiettivi da raggiungere che siano riforme, attività o progetti ed è evidente che la nostra credibilità (progettuale e realizzativa, presente e futura) passa dalla gestione e conclusione senza sbavature del Pnrr che noi stessi abbiamo scritto e contrattato.

Infine, la conclusione senza intoppi del Pnrr e la riuscita del Next Generation Eu è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché il salto di qualità della politica economica europea, il suo meccanismo di indebitamento comune, non abbia carattere temporaneo, ma diventi uno stimolo permanente al rafforzamento ed alla crescita dell’economia del continente.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  2004: il miracolo europeo dell'allargamento*