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Insegnanti ben formati per una scuola migliore

Il Dl n. 36 regola il meccanismo di immissione in ruolo degli insegnanti. Mette al centro la formazione iniziale e stabilisce una chiara distinzione fra il momento dell’abilitazione e quello dell’assunzione. Ma non definisce un vero percorso di carriera.

Il fallimento del doppio canale

Il decreto legge 30 aprile 2022 n. 36, che disciplina formazione, reclutamento e sviluppo professionale dei docenti, rappresenta la più importante fra le riforme della scuola che Governo e Parlamento hanno concordato con l’Unione europea nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza. 

L’attuale meccanismo di immissione in ruolo fondato sul “doppio canale” (graduatorie di merito dei vincitori di concorso e graduatorie a esaurimento degli abilitati che un concorso non l’hanno vinto) produce risultati fallimentari da molti anni: in media il 48 per cento dei posti di ruolo messi a disposizione dal governo non trova copertura con docenti con le necessarie qualificazioni; contemporaneamente, il numero di supplenti annuali ha nettamente superato i 200 mila, ovvero un quinto di tutto il personale docente. Questi dati segnalano un enorme mismatch fra domanda e offerta di insegnanti, sia per area geografica sia per classe di concorso, che ostacola la continuità didattica, abbassa la qualità degli apprendimenti e rende sempre meno decorose e appetibili le condizioni di impiego nella scuola. Il “doppio canale” è ormai giunto al capolinea.

Se i meccanismi di assunzione nella scuola sono ormai inefficaci, ancora peggiore è la situazione della formazione iniziale dei docenti delle scuole secondarie: dopo i tentativi da parte di governi di vario colore di introdurre percorsi che consentissero ai neo-docenti di raggiungere standard adeguati di competenze disciplinari e didattiche, oggi siamo all’anno zero. Per salire in cattedra bastano solamente 24 crediti formativi universitari (Cfu) definiti genericamente all’interno delle materie antropologiche, pedagogiche e psicologiche, senza alcun obbligo di acquisire i rudimenti di metodologia didattica e frequentare un tirocinio nelle scuole, che invece rappresenta la prassi europea.

Le assunzioni nel Dl 36

Il Dl n. 36 punta a correggere le anomalie introducendo un nuovo percorso, basato su due principi largamente condivisibili. In primo luogo, pone al centro la formazione iniziale, con una forte sottolineatura della componente didattica; in secondo luogo, stabilisce una chiara distinzione fra il momento dell’abilitazione, che serve a verificare nei candidati le competenze minime per insegnare, e quello dell’assunzione, dove scuole e docenti si incontrano dal punto di vista lavorativo.

L’aspetto meno convincente di tutto l’impianto è, tuttavia, lo sviluppo professionale dei docenti: di vera carriera il decreto non parla, ma introduce soltanto un parziale incentivo economico.

In sintesi, per diventare docenti delle secondarie in futuro occorrerà avere una laurea magistrale disciplinare, aver frequentato (anche in contemporanea) un corso universitario di formazione per 60 crediti formativi (in pratica un anno, inclusivo di tirocini) e aver superato un esame di abilitazione. Chi è abilitato può accedere al concorso (che dovrebbe tenersi annualmente) e, in caso di successo, essere assunto per un anno di prova. Al termine, dopo una verifica da parte della scuola, si ottiene la conferma a tempo indeterminato.

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Lo snodo centrale è l’abilitazione, che dovrebbe garantire che tutti i neoassunti soddisfino standard elevati acquisiti attraverso la formazione iniziale: di fronte a insegnanti ben formati, competenti e motivati, quale sia il meccanismo di assunzione prescelto diventa quasi secondario. Volendo risolvere il problema del mismatch,la soluzione preferibile non è quella del concorso nazionale indicato dal decreto, che ha tradizionalmente tempi lunghi e procedure farraginose, ma quella di una selezione diretta da parte delle scuole, che meglio conoscono le proprie necessità. Sarebbe una scelta coraggiosa e non incompatibile con il dettato costituzionale: andrebbe però accompagnata da un sistema di valutazione dell’operato dei presidi, basato anche sui risultati degli studenti, in modo da assicurarsi che effettuino le scelte migliori

Diventa quindi cruciale capire come funzioneranno corso di formazione ed esame di abilitazione. Il decreto prevede, in maniera un po’ ambigua, che 20 dei 60 Cfu siano acquisiti attraverso tirocini a scuola o in situazioni simulate all’università. Mentre nel primo caso si acquisisce un’esperienza diretta del lavoro in aula e dell’interazione con gli studenti, nel secondo gli allievi si confrontano solo fra di loro: si tratta di un povero surrogato, e andrebbe quindi eliminato dal dibattito parlamentare. L’esame di abilitazione consiste in una prova finale, che include uno scritto e una lezione simulata: data la sua centralità nel nuovo schema, è fondamentale che l’esame sia improntato al massimo rigore, verificando in modo minuzioso le competenze disciplinari, didattiche (metodologia e pratica), linguistiche, digitali e organizzative e l’attitudine all’insegnamento dei futuri docenti.

Due deroghe e il premio una tantum

Logica vuole che il momento della formazione e dell’abilitazione preceda quello dell’assunzione, essendo il primo un requisito della partecipazione ai concorsi. Eppure, nel decreto questo criterio non è rispettato in due casi:

1. in via transitoria, fino al 2024, è possibile per tutti i candidati presentarsi a un corso per l’insegnamento avendo conseguito solo 30 dei 60 Cfu richiesti dalla formazione iniziale. La ragione del provvedimento transitorio va ricercata nella difficoltà degli atenei di attivare in tempi brevi la nuova formazione iniziale.

2. Anche a regime, tutti i docenti privi di abilitazione, ma con 36 mesi di insegnamento negli ultimi cinque anni, possono presentarsi al concorso. Dopo la vittoria al concorso, il candidato potrà conseguire una formazione iniziale (con successiva abilitazione) limitata però a soli 30 Cfu. Si rovescia in modo incomprensibile la logica del provvedimento: che senso ha abilitare qualcuno che si è già deciso di assumere? Perché equiparare tre anni di insegnamento, senza tutoraggio e senza valutazione della qualità del docente, a un percorso formativo? Il rischio, date le decine di migliaia di supplenti con 36 mesi di lavoro, è che per molti diventi il canale prioritario di immissione in ruolo, con standard qualitativi inferiori. Bisognerebbe ripristinare l’iter naturale, imponendo il passaggio dell’abilitazione anche a coloro che hanno già insegnato per 36 mesi.

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Nella parte finale il Dl 36 cerca di annodare due aspetti in cui la scuola italiana mostra tradizionali carenze rispetto all’Europa: il modesto grado di aggiornamento e formazione di cui storicamente soffrono i nostri docenti e l’assenza di una progressione stipendiale e di carriera lungo la loro vita lavorativa. Intento ambizioso, che non mantiene le attese, producendo solo un premio economico una tantum al 40 per cento di coloro che frequentano almeno tre anni di corsi di formazione in servizio (per i neoassunti la formazione in servizio è invece obbligatoria). La scelta di indurre i docenti a formarsi attraverso incentivi economici è figlia della rinuncia a rendere tassativo l’aggiornamento in itinere: la Buona scuola del Governo Renzi aveva previsto l’obbligatorietà, ma il successivo contratto collettivo di lavoro ha reso la scelta largamente discrezionale. Sarebbe invece opportuno ripristinare il principio che tutti i docenti devono essere soggetti a un obbligo, verificato, di aggiornamento disciplinare e didattico. A fianco di questa base comune, può avere senso che quanti intendano assumere maggiori responsabilità organizzative acquisiscano crediti aggiuntivi, condizione per lo scatto di carriera.

La scelta del Governo di ricorrere a un elemento retributivo una tantum fa venire meno l’impegno con l’Unione europea di introdurre una struttura di carriera dei docenti. Le scuole avrebbero bisogno di dotarsi di un middle management permanente, che dia riconoscibilità – e vantaggi retributivi – a coloro che si assumono responsabilità organizzative, rendendo più appetibile la professione docente. Per contro, il premio una tantum, assegnato a meno della metà di chi frequenta i corsi, difficilmente indurrà i docenti a investire nella formazione e rischia di scatenare una forte conflittualità dentro le scuole.

Andrea Gavosto è intervenuto al Festival Internazionale dell’Economia di Torino, dialogando con il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi il 31 maggio alle 10 al Liceo Massimo D’Azeglio.

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  1. Rick

    Due punti di discussione che mancano nell’articolo:
    – il taglio di quasi 10.000 unitá di organico, che é il problema principale del DL36
    – il fatto che le regole per abilitazione ed assunzione mediamente cambiano ad ogni legislatura, introducendo quindi tantissima incertezza su tutto il processo

  2. Giovanni Rossi

    Tra un mese andrò in pensione dopo 37 anni di cattedra; vincitore di due concorsi , 6 prove; primo in entrambe; l’esame comprensivo di uno scritto in cui dovevo spiegare i contenuti della disciplina che sarei andato ad insegnare, il colloquio…. pure e la prova di laboratorio in cui ho dovuto dimostrare le mie abilità e competenze; su circa 150 candidati, abbiamo superato il concorso in 15.; niente quiz, solo commissari di esame preparati e coscienti. I corsi di formazione all’insegnamento non servono a nulla; non selezionano ne la personalità del futuro insegnante ( 8% degli insegnanti soffre di schizofrenia; ricerca della USL di Milano di una ventina di anni fà ) ne le loro competenze. In area tecnica ( sono un ingegnere che esercita la libera professione da oltre 32 anni ) è pieno di insegnanti a tempo pieno che spiegano con i libri o audio visivi e che non hanno alcuna competenza nella disciplina che tentano di insegnare perchè non hanno mai visto come funziona una macchina o un impianto dal vivo. Aggiornamento su modelli pedagogici alla Morin; webinar on line in cui la maggior parte dei relatori sponsorizzati dal MIUR fanno dormire e annoiare….. c’è dell’altro ? tutto il peggio possibile visto che la minoranza degli insegnanti che fanno il loro mestiere con passione e competenza non trova alcuna forma di gratificazione economica . Il pesce puzza dalla testa, solo Bravi Dirigenti cooptano collaboratori e docenti in gamba, ma figure di questo calibro sono una rarità. Gli insegnanti pagati come straccioni , ridicolizzati dai governi della destra, della sinistra , dai personaggi politici e dai cittadini della ” milano da bere ” . Le famigli in gran parte sfasciate, che vogliono mettere becco sulla didattica e sulle valutazioni dei docenti; l’esplosione del numero di alunni con certificazioni di DSA BES per cui anche senza studiare si garantisce la promozione… che ne dite ?

  3. Pietro

    Sono d’accordo al 100% con le osservazioni di Gavosto. Il problema è che nessuna delle idee proposte potrà mai essere realizzata, perché l’ostracismo di insegnanti e sindacati è da sempre pregiudiziale a qualunque cambiamento, e idee come “aggiornamento ornamento”, premialità, chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici, fa salire loro il sangue alla testa.
    La legge c.d. Buona scuola del governo Renzi provò a fare qualcosa in tal senso, ma è stata completamente smontata. Riguardo il middle management, 7 anni fa ne scrissi anch’io https://insegnantiduepuntozero.wordpress.com/2015/12/05/animatori-digitali-meglio-middle-management/

    PS sono un docente di scienze naturali al liceo da 17 anni.

  4. Andrea

    Bell’articolo a cui faccio i seguenti appunti:

    – vale la pena di aggiornarsi triennalmente con esami finali per conseguire un premio destinato solo al 40% della platea? Lei sarebbe motivato?
    – la formazione risulterà fuori dall’orario di lavoro con oggettivo aumento surrettizio dell’orario di servizio, con l’aggravio che i corsi con esami impegnano nello studio almeno il doppio delle ore di lezione frontale.
    – formazione di un anno universitario obbligatoria per chi vuole insegnare, si ma a quali costi? Normalmente si fa un concorso e la formazione lavorativa è a carico di chi assume, non viceversa
    – con tutte queste richieste di alzare il livello dei docenti (da dimostrare) intendono adeguare lo stipendio alle nuove richieste?

    Riassumendo vogliono fare le nozze con i fichi secchi, se vogliono la professionalità a parole come la chiedono, la devono pagare di conseguenza.

  5. antonello

    In questi giorni da varie parti si commenta il DL 36, in particolare per la questione del cambiamento dell’avanzamento di carriera degli insegnanti.
    Non sono un insegnante ma vivo con una di loro (scuola primaria) e mi pare di capire alcune dinamiche e storture ormai calcificate.
    Come il dott. Gavosto sa (e credo lo sappia anche Tuttoscuola che sponsorizza fortemente un nuovo criterio di valorizzazione che non sia lo scatto di anzianità) i problemi della nostra scuola (che ha anche pregi, sia chiaro) sono molteplici.
    1) l’esistenza di due cicli separati nella scuola “dell’obbligo”. Non si è mai riusciti ad unificare il percorso come in molti altri paesi (mi pare ci provò Berlinguer…anche lui massacrato) per cui ci ritroviamo con primaria e secondaria di primo grado che hanno di fatto programmi gemelli, condizioni lavorative e stipendiali tra maestri (anzi: maestre) e professori completamente diverse: 4 ore in più (formali, ma quelle sostanziali sono molte di più, tra programmazione, coordinaenti, ecc.) per le maestre, con stipendi più bassi el 20-30% rispetto a quelli dei professori e una scuola media che non ha identità ed infatti sta in fondo a qualsiasi classifica. Perché non si possono unire e riformare i due percorsi? Quante sono ormai le nuove maestre laureate? L’esperienza degli Istituti Comprensivi è abbastanza negativa o forse inutile a questo proposito. Invece di “accorciare” di un anno le superiori per abbassare l’età di “licenziamento” dei ragazzi, non si può fare un ciclo unico di 7 anni con un percorso più unitario? (escludendo i due anni iniziali di alfabetizzazione che hanno logiche specifiche, ovviamente). 2) Le proposte di progressione di carriera sponsorizzate (dall’associazione dei presidi, da Tuttoscuola, e anche dal dott. Gavosto, ecc.) diverse dallo scatto di anzianità hanno un limite, mi pare e se non capisco male: si rivolgono ai docenti che vogliono modificare il loro ruolo nella scuola, diventanto collaboratori dei dirigenti, svolgendo funzioni anche organizzative, eccetera. In altre parole: non facendo più gli insegnanti. Questo va bene (sarebbero gli attuali vicepresidi, credo, o no?) ma non tutti gli insegnanti possono fare i medi-dirigenti, mi pare ovvio. Allora si punta al bonus una tantum per la frequenza ad un corso, una volta per tutte in 30-40 anni di servizio? ma di che stiamo parlando? Ma il bonus di Renzi non era la stessa cosa? bisognava candidarsi col dirigente a fine anno, riempiendo una scheda dove si dimostrava cosa si era fatto “in più” rispetto alla normale docenza e così il dirigente distribuiva le risorse del fondo apposito. Mi pare di aver letto che la prassi è stata che quasi tutti i docenti hanno presentato i loro schemi e i dirigenti abbiano diligentemente diviso le risporse tra i partecipanti: 300-400 euro ciascuno. Ora quelle risorse sono state distribuite anche agli ATA… Ma non esistono già anche le varie funzioni (responsabile di informatica, dei progetti, di teatro…) che danno un riconoscimento economico (bassissimo) a chi ne è referente? La verità, alla fine, mi pare e molto modestamente, sia che manchi una visione complessiva della nostra scuola, le sue funzioni, il ruolo della tecnologia (ancora con questa massa di libri cartacei che appesantiscono le spalle dei ragazzi), il ruolo docente è completamente svilito da famiglie acculturate (per fortuna) che però sui propri figli non vogliono siano altri a “mettere” bocca ma anche da dirigenti-comandanti che spesso restano esperti solo della loro precedente materia di insegnamento, e già è tanto.. I sindacati, purtroppo (dispiace tanto dirlo) stanno da anni bocciando tutto, con motivazioni anche fumosissime oltre che incomprensibili e i governi (quindi le forze politiche) non sono da meno. Io passo un’ora su un treno la mattina per andare a lavorare: incontro decine di insegnanti (maestre perlopiù e non giovanissime) che già stanno a bordo da un’ora e che ci staranno per almeno un’altra, svegliandosi prestissimo per andare ad insegnare, in attesa del ruolo e della cattedra giustamente vicino casa… E’ una situazione molto triste in realtà. Come molte situazioni di questo Paese, aggrovigliato al punto tale che il bandolo non si riesce più a trovare.

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