È vero che i giovani italiani partecipano al voto meno del resto della popolazione, ma una parte consistente mostra comunque interesse per la politica. Per aumentare l’affluenza tra gli under-25, occorrerebbe considerare le loro esigenze specifiche, come il voto per i fuorisede.
Il 12 giugno, le votazioni per i cinque referendum sulla giustizia hanno registrato l’affluenza più bassa di sempre. Anche per le elezioni amministrative che si sono tenute in 971 comuni il dato sul numero di partecipanti al voto è stato in calo nella maggior parte dei casi.
Non ci sono dubbi che l’attaccamento dei cittadini alla politica si sia ridotto nel tempo e che i partiti fungano sempre meno da catalizzatori delle istanze dei cittadini, ma dietro al calo dell’affluenza potrebbero esserci anche ragioni tecniche. A differenza di altri paesi democratici, infatti, le modalità di voto in Italia possono essere piuttosto complicate per una quota non indifferente di cittadini, per esempio i giovani.
In questo contributo, ci concentriamo prima su parte delle ragioni politiche e culturali che spingono i giovani a votare meno rispetto ad altre fasce di età, per poi ragionare su alcuni strumenti che potrebbero stimolare la partecipazione al voto.
Quanto votano i giovani
La prima domanda da porsi è: davvero i giovani votano meno rispetto al resto della popolazione? Osservando le analisi del voto delle elezioni politiche 2018 ed europee 2019 sembrerebbe di no. Per quanto la percentuale di 18-34enni che non hanno votato sia tendenzialmente più alta, la differenza, soprattutto guardando alle elezioni politiche, di solito più partecipate in generale, non sembra così importante.
Va considerato il fatto, però, che la fascia di età 18-34 anni non si può definire a tutti gli effetti quella dei giovani. Se si va a vedere il dato per gli under 25, però, la situazione cambia. Secondo un sondaggio di Demopolis precedente le elezioni politiche del 2018, circa un giovane under 25 su due non si sarebbe recato alle urne. Sembrerebbe quindi vero che i giovani tendono a votare meno del resto della popolazione.
Perché i giovani votano poco
Non è semplice spiegare come mai i giovani si rechino sempre meno alle urne. Il report sulla partecipazione politica dell’Istat mostra qualche dato interessante. Da una parte, sembra confermarsi il maggiore disinteresse da parte dei giovani: il 27 per cento dei 18-19enni e circa un quarto dei 20-24enni non partecipa in alcun modo alla vita politica, né in maniera attiva (partecipando a manifestazioni, seguendo comizi o partecipando alle attività di un partito), né in maniera passiva (informandosi sulle questioni politiche).
Allo stesso tempo, però, i giovani fino a 24 anni sono anche la fascia demografica con una maggiore partecipazione politica attiva. Sempre secondo Istat, infatti, il 12,8 per cento dei giovani appartenenti a questa fascia d’età partecipa attivamente alla politica, il dato più alto rispetto alle altre fasce di età, soprattutto andando a cortei o ascoltando dibattiti politici. Ma allora come mai si tende sempre a pensare che i giovani siano disinteressati in ogni caso? È possibile che indicatori come la percentuale di voto e di associazione a un partito politico non siano più una misura sufficientemente adeguata a studiare la partecipazione delle nuove generazioni, poiché essa sembra essersi evoluta in un’altra direzione, mostrando un elevato livello di sfiducia verso i metodi tradizionali.
Difatti, Internet ha modificato il modo di rivolgersi alle istituzioni e di impegnarsi politicamente. I movimenti attivisti e le proteste sono ancora canali popolari per l’espressione politica, ma ora si sono aggiunti anche gli spazi online, che vengono percepiti come occasioni per condizionare davvero i processi decisionali, a differenza della pratica del voto che viene sentita come uno strumento influente solo a livello marginale. Inoltre, diversi studi mostrano come i giovani non vengono soddisfatti dal semplice ricevere informazioni dalle istituzioni e dai media, ma si aspettano di avere anche loro un ruolo, condividendole o producendole. Per questo motivo l’impegno digitale attraverso i social network è così potente: esso permette di esprimere la propria voce attraverso sistemi orizzontali, in netto contrasto con i sistemi tradizionali che mostrano un carattere gerarchico.
Se è vero che una parte consistente delle persone che decidono di non votare lo fa perché non si riconosce nella classe politica, è anche vero che, per una parte della popolazione, l’accesso al voto può essere complicato. Per i giovani in particolare, un problema non poco rilevante è quello dei fuorisede. Secondo i dati Istat, nel 2017 gli studenti provenienti da un altro comune iscritti nelle principali università italiane erano quasi un milione. Secondo una stima dell’Osservatorio Talents Venture, quelli che provengono da una regione diversa da quella in cui si trova l’università sono circa 500 mila. Spesso questi studenti si trovano a dover fare viaggi lunghissimi per poter tornare nel proprio comune di residenza e votare, indipendentemente dal fatto che si tratti di referendum, elezioni amministrative, politiche o europee. Considerando anche il fatto che non esiste un vero election day sul modello americano, spesso organizzarsi per poter votare diventa impossibile.
Eppure, le soluzioni, anche piuttosto semplici, ci sarebbero. Il Dipartimento per le Riforme Istituzionali della Presidenza del Consiglio ha pubblicato di recente il Libro bianco sull’astensionismo una serie di proposte molto interessanti in tema. Tra tutte, ne vanno considerate almeno tre di più semplice applicazione.
- Voto per corrispondenza: il voto postale è ampiamente diffuso e viene utilizzato anche in Italia per i residenti all’estero. Qualcuno potrebbe opporsi perché non c’è certezza che il voto sia effettivamente segreto, come prescrive l’articolo 48 della Costituzione, ma venendo già utilizzato in Italia, appunto, è un metodo che ha già superato la prova della costituzionalità. Si tratterebbe di uno strumento utilizzabile anche dagli italiani che si trovano temporaneamente all’estero (senza essere iscritti all’Aire), che al momento possono votare solo per le elezioni europee. Se si considerano solo gli studenti Erasmus, si tratterebbe di circa 40 mila persone l’anno;
- Voto per delega: un metodo utilizzato per esempio in Francia e in Belgio e che permette di delegare una persona perché voti al proprio posto. In questo caso, però, non si rispetterebbe il principio della segretezza del voto e l’implementazione dello strumento potrebbe risultare più complessa.
- Voto in un seggio diverso dal proprio: facendo richiesta prima, si potrebbe permettere a chi si trova lontano da casa di essere registrato in un seggio che si trovi nel comune di domicilio anziché in quello di residenza. L’unico vero ostacolo in questo caso è quale sarebbe il collegio di riferimento: uno studente barese che si trova a Milano vota per il deputato del proprio collegio a Bari o per quello di Milano? Una questione che comunque si potrebbe risolvere in breve tempo con la giusta volontà politica.
Ci sono moltissime altre proposte per ridurre l’astensionismo “involontario”, dall’apertura anticipata dei seggi all’abolizione della tessera elettorale, ma queste ci sembrano quelle più semplicemente applicabili e che più nell’immediato potrebbero spingere i giovani, così come molti altri cittadini, a votare di più. Il Governo sembra volersi muovere in questa direzione con il lavoro del Dipartimento per le Riforme Istituzionali, il Parlamento riuscirà a raccogliere il testimone?
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Savino
E’ una società che continua a procedere come se i giovani non esistessero. Esiste, ad esempio, nel mondo del lavoro solo una massa di carrieristi sostanzialmente improduttivi perchè il nostro livello di produttività è bassissimo, mentre ai giovani, secondo lo standard ormai consolidato, basterebbero le paghette per pagarsi i vizi e basterebbe lavorare per la gloria e non per il loro futuro, per formarsi una famiglia ed essere protagonisti della vita quotidiana.
Alex
Devo dire che sono sorpreso: il voto per delega ?!? Forse potrà andar bene per l’assemblea del condominio o per eleggere il cda del Consorzio di bonifica. Per altre consultazioni (es. politiche), mi sembra se non fantascientifico, almeno avveniristico. Se poi dobbiamo aspettare che il Parlamento riesca a raccogliere il testimone, direi qualcosa in più: “quasi utopistico!”.
Gianluca
Il voto in un seggio diverso dal proprio è un’idea interessante.
Il certificato elettorale (se proprio lo vogliamo tenere, può benissimo essere rimpiazzato dalla sola carta di identità elettronica), si può digitalizzare con un QR code e l’elettore deve poter votare in qualsiasi seggio legale sul territorio. Anche dal mare.
Al seggio l’elettore presenta il QR code insieme alla CI per l’identificazione e la registrazione dell’elettore al seggio è automatica. Dopodiché si procede a votare come sempre. Si possono anche eliminare carta e timbri ottocenteschi. Va gestito con attenzione il numero di schede per seggio, ma è un problema minore considerando che comunque resta una quota di astenuti naturale.
Questa soluzione funziona per le elezioni nazionali, presenta in realtà grossi problemi per le elezioni locali.
1- Lo studente di Bari potrà votare a Milano solo se anche a Milano sono in corso elezioni.
2 – Con quale scheda elettorale vota a Milano, visto che sarà certamente diversa da quella di Bari? E come viene conteggiato?
Piero Borla
Secondo l’art. 48 della costituzione il voto è “personale ed eguale, libero e segreto”. E’ molto difficile garantire tutte queste modalità insieme. Il precedente delle circoscrizioni estero non è tale da invogliare ad estenderne l’uso. Comunque si può lavorare in due direzioni : 1) implementare un sistema informatico che metta a disposizione, in ciascuna postazione di voto abilitata a tal fine, il fac-simile della scheda di tutte le circoscrizioni elettorali d’Italia e consenta di votare sul fac-simile (già questo porta ad escludere le elezioni comunali al di sotto di una soglia da stabilire); 2) moltiplicare le postazioni di voto elettronico, tali da garantire la segretezza del voto. Se ne può istituire una, o più, in ciascun comune di una certa dimensione (raggruppando i comuni-polvere); all’estero, oltre che alla rete consolare, ci si può appoggiare a figure di pubblico ufficiale, quali i notai o simili. Il tutto richiede tempo, quindi il voto a distanza deve svolgersi con qualche anticipo rispetto ai tempi normali; fortunatamente, sotto questo profilo non emergono impedimenti di rilievo. Con l’occasione segnalo la crescente necessità di assicurare la rappresentanza in sede politica degli interessi dei minori, anche se non abbiano raggiunto la maturità che occorre per esprimerli di persona; propongo che si riconosca loro un diritto di voto, da esercitarsi dai rispettivi genitori con criteri da determinare (sono naturalmente favorevole all’estensione ai sedicenni)