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La strage di Viareggio tra giustizia e rancore

Per la strage di Viareggio del 2009 sono stati condannati i vertici delle Ferrovie dello stato. Eppure, sulla sicurezza era stato profuso uno sforzo rilevante negli anni Novanta. L’incidente si colloca in una zona grigia del processo di liberalizzazione.

Un problema di scarsa sicurezza?

Le Ferrovie dello stato sono state condannate per la strage di Viareggio: cinque anni di detenzione per Mauro Moretti (allora amministratore delegato di Fs), quattro anni due mesi e venti giorni per Michele Mario Elia, ex Ad di Rfi, e per Vincenzo Soprano, ex Ad Trenitalia, e quattro anni a Mario Castaldo, che era direttore divisione cargo di Trenitalia. Da quel terribile incidente, con trentadue vittime, sono passati tredici anni.

Entro i prossimi novanta giorni sarà disponibile il dispositivo della sentenza del processo d’Appello bis, e solo allora si potranno commentare più compiutamente le considerazioni giuridiche alla base della sentenza. Tuttavia, qualche riflessione di carattere tecnico ed economico può essere già formulata.

Quando tutti i massimi vertici di un gruppo subiscono condanne penali per un gravissimo incidente ferroviario, è il gruppo nella sua interezza che viene chiamato in causa, quasi che fosse una organizzazione a delinquere. Per paradosso, a essere condannato per la strage di Viareggio è proprio il gruppo dirigente delle ferrovie che ha più investito sulla sicurezza, introducendo tecnologie all’avanguardia nelle modalità di organizzazione della circolazione e dell’esercizio. Il piano di ristrutturazione della rete italiana ha comportato investimenti per 1,5 miliardi di euro. Lo sforzo profuso è stato talmente rilevante, negli anni Novanta del secolo passato, da essere stato considerato da taluni persino eccessivo. L’Italia si era così posta all’avanguardia, in Europa e nel mondo, nelle innovazioni per la sicurezza.

Nella zona grigia della liberalizzazione

Chi conosce come funziona tecnicamente il sistema ferroviario, sa che la sicurezza è l’architrave della filosofia aziendale, in modo ossessivo. E chi ha dovuto analizzare per professione gli incidenti ferroviari sa che solo una serie di cause convergenti determinano un esito fatale. Nel caso di Viareggio, il fattore scatenante fu la rottura di un assile di uno dei 14 carri cisterna del convoglio, il primo in sequenza immediatamente dopo il locomotore: il cedimento strutturale determinò il deragliamento del treno merci 50325; in seconda battuta, la cisterna si sganciò dal carro. Nessuno dei due eventi, anche in sequenza, avrebbe generato quello che poi è accaduto. Saranno altre due circostanze convergenti a provocare la strage.

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All’origine dell’incidente sta la manutenzione del tutto inadeguata del carro merci, il cui assile venne ritrovato con un logoramento nella struttura portante che risaliva a un periodo significativamente precedente. Il carro era stato immatricolato negli anni Settanta in Germania Est, era stato immesso sul mercato da una società internazionale di noleggio (Gatx), mentre le operazioni manutentive portavano traccia nel libretto solo a partire dal 2002, con interventi sempre effettuati in Germania. Ma come era possibile che circolasse in Italia un carro merci con caratteristiche così carenti dal punto di vista della sicurezza?

Nel processo di liberalizzazione ferroviaria, certamente opportuno e positivo, esisteva all’epoca ancora qualche area grigia, dai contorni non ben definiti: il trasporto ferroviario delle merci in Europa era stato aperto alla competizione su scala comunitaria solo due anni prima dell’incidente e le regole sulla sicurezza e sulla interoperabilità erano ancora in fase di completamento. La direttiva 49 sulla sicurezza ferroviaria, emanata dalla Unione europea nel 2004, assegnava il ruolo di unici pilastri del sistema di controllo ai gestori delle infrastrutture e alle imprese ferroviarie. L’Agenzia europea per la sicurezza ferroviaria era di là da venire. Nessuno degli altri attori che concorrevano all’esercizio portava responsabilità, né gli organi di controllo amministrativo, né gli altri protagonisti del processo operativo, a cominciare dalle società di noleggio del materiale rotabile e dagli operatori di manutenzione, terzi rispetto al perimetro della gestione ferroviaria. L’incidente di Viareggio accadde proprio in questa delicata fase di transizione

Verso la catastrofe 

Per giungere alla catastrofe, bisogna riprendere il filo di quello che accade dopo il deragliamento. La cisterna, nel suo rotolamento, finì contro un picchetto di regolazione, che storicamente serviva agli interventi di manutenzione sulla infrastruttura, o contro la zampa di lepre di uno scambio. Parrebbe più probabile la prima ipotesi, considerata la lunghezza e la profondità del taglio che squarcia la cisterna. Il picchetto di regolazione era un componente tradizionale, ormai non più necessario: con le nuove tecnologie era un oggetto ormai superfluo. Mauro Moretti (allora amministratore delegato di Rfi), qualche anno prima aveva dato disposizione di eliminare i picchetti in tutta Italia, proprio perché non più funzionali alle operazioni. Era una attività molto diffusa e articolata sulla intera rete e non era stata completata quando a Viareggio intervenne la collisione tra il picchetto e la cisterna, che determinò la fuoriuscita di carburante. L’innesco della esplosione a quel punto fu fatale. Una delle ipotesi dice che fu la messa in moto di un motorino che passava dalle parti della stazione di Viareggio a determinare la detonazione. Qualunque altro innesco, purtroppo, avrebbe determinato lo stesso effetto. A quel punto, l’irreversibile si era compiuto.

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Da una comunicazione arrogante al rancore

Gli esponenti di vertice delle Ferrovie (e Mauro Moretti su tutti) hanno certamente commesso un errore grave: la reazione nelle ore e nelle giornate successive al disastro fu molto difensiva, riducendosi a respingere ogni responsabilità. Non fu avvertibile quell’empatia e quella solidarietà che appartengono alla storia delle ferrovie italiane dopo le tragedie. Una gestione arrogante della comunicazione, insensibile alla tragedia che era accaduta, ha contribuito a spostare l’attenzione dalla dinamica dei fatti alla componente emotiva della vicenda, gonfiando il rancore. Quell’atteggiamento è stato duramente pagato poi nello svolgimento di tutti i processi.

Nel merito dei fatti tecnici, che si è cercato di raccontare, non sembra che le Ferrovie dello stato italiane possano essere descritte come una associazione a delinquere. Quando leggeremo il dispositivo della sentenza, sarà più chiaro, dal punto di vista giuridico, quali siano le ragioni che hanno condotto alle condanne.

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  1. Savino

    Resta che Mauro Moretti è stato il peggiore AD della storia delle ferrovie italiane, verrà ricordato anche per aver detto agli utenti di portare le coperte da casa visto i guasti dei riscaldamenti sui treni.
    Senza appartenenza politico-sindacale non sarebbe mai stato nominato in certi ruoli.

    • Alberto

      Il peggiore dice? Andreotti diceva che c’erano due tipi di matti in manicomio: chi si crede Napoleone e chi pensa di risanare le ferrovie dello Stato. Forse Moretti si credeva un po’ Napoleone, ma in aggiunta, però, è quello che le ferrovie le ha risanate per davvero. Di sicuro uno dei migliori manager di Stato degli ultimi 30 anni, che non meritava certo una condanna di questo tipo per un disastro di cui non ha alcuna responsabilità diretta.

    • Emanuele Nicosia

      Dici peste e corna di Moretti; forse hai dimenticato un certo ingegner Cimoli anche lui AD delle Ferrovie (solo per un anno, fortunatamente).- Liquidò in blocco Moretti per una sua frase che esortava i viaggiatori a munirsi di coperte. La frase fu certamente infelice e assurda. Ma vogliamo ricordare anche che Moretti è stato il padre della Frecciarossa? E quello è un fatto, non una (assurda) battuta.

  2. Fabri

    Non capisco perchè, seguendo la stessa logica, non si rinviino a giudizio gli amministratori delegati, i progettisti e gli operai che costruiscono automobili intrinsecamente insicure, che sono sistematicamente coinvolte in incidenti stradali assolutamnete evitabili. E’ legendaria la fragilità dei braccetti dello sterzo di una nota utilitaria e della guarnizione della testata di una famosa ammiraglia. Per non parlare di comandi delle luci nascosti dietro lo sterzo che fanno distrarre il conducente o di angoli ciechi che talvoltano superano i 20 gradi.

  3. Leonardo Bargigli

    Capisco che la sentenza non sia piaciuta all’autore, ma l’articolo non contiene argomenti significativi per arrivare a una conclusione diversa da quella del giudice. Vale come attestato di fiducia incondizionata nei confronti dei vertici di ferrovie e niente più.

  4. Rocco

    Prima di commentare la sentenza, aspetto di leggerla! Comunque sono certo che la sentenza
    definitiva dellaCorte di Cassazione sarà di assoluzione!

    • Emanuele Nicosia

      Se la pronuncia della Cassazione va a correggere sentenze sbagliate, ben venga; sia essa di assoluzione o di condanna. La tragedia di Viareggio è stata terribile, così come il crollo del ponte Morandi. In casi come questi l’opinione pubblica vorrebbe trovare subito il colpevole, anzi “un” colpevole (anche se non lo è), da impiccare sulla pubblica piazza. Umanamente è comprensibile; ma questa sarebbe vendetta, non giustizia.

  5. franco miscia

    Il problema è che bisogna prima costruire il quadro normativo di contorno nella sua interezza e poi aprire alla liberalizzazione. Non il contrario, andando a mettere toppe man mano che si presentano i buchi. Questo modo di procedere ostacolerebbe le privatizzazioni? Pazienza. E’ inutile rammaricarsi di quel che si sarebbe potuto fare, facciamolo e basta. Ora e subito.

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