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Una garanzia europea per i giovani

L’Unione Europea ha lanciato un programma per garantire ai giovani senza lavoro un percorso personalizzato che dia loro effettive possibilità di trovarne uno. Un ruolo fondamentale è affidato ai servizi per l’impiego. Quelli italiani saranno capaci di riformarsi? La questione dei costi.
COS’È LA EUROPEAN YOUTH GUARANTEE
L’istituzione di una European Youth Guarantee (garanzia per i giovani europei) è stata lanciata nel 2011 dalla Commissione europea e ribadita nelle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea il 22 aprile 2013. Rientra nell’iniziativa-faro Youth on the Move, a sua volta parte della strategia Europa 2020.
La Commissione europea ha anche redatto una bozza di raccomandazione chiamata On Establishing a Youth Guarantee, con la quale mette a disposizione degli Stati membri consulenze specifiche in materia e soprattutto finanziamenti, in particolare dedicando a questa priorità la programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e la coda degli attuali fondi. (1)
La “garanzia per i giovani” consiste nel fatto che entro un periodo di quattro mesi dall’inizio del loro episodio di disoccupazione o dall’uscita dal sistema di d’istruzione formale devono ricevere un’offerta qualitativamente valida di lavoro ovvero, nel caso ciò non accada, un’occasione per proseguire gli studi oppure avviare l’apprendistato, un tirocinio o un corso di formazione professionale. Insomma, nelle intenzioni della Commissione europea, lo Youth Guarantee non è un parcheggio in formazione professionale, ma un percorso definito che immette il giovane in una prospettiva di lavoro. (2) Nei paesi dove già esiste (Scandinavia e alcuni paesi dell’Europa continentale, come Germania, Austria, Olanda e Polonia), il programma ha prodotto risultati interessanti, anche se oggi è messo a dura prova dall’aumento vertiginoso della domanda di interventi causato dalla crisi.
IL RUOLO CHIAVE DEI CENTRI PER L’IMPIEGO
Per rendere effettivo lo Youth Guarantee, le linee guida comunitarie assegnano ai servizi per l’impiego (pubblici e privati accreditati) il ruolo di interfaccia e di coordinamento con le istituzioni formative e il mondo del lavoro.
Basta leggere la tabella seguente per porsi il dubbio: come può una struttura come quella dei Centri per l’impiego italiani, che media circa il 3 per cento (con una varianza che va dal 10 allo 0 frizionale) delle richieste provenienti dalla imprese, collocare il 100 per cento dei giovani disoccupati?
Tabella 1 – Imprese secondo la principale modalità utilizzata per la selezione di personale e per classe dimensionale (percentuale).
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Fonte: Elaborazioni dati Unioncamere – ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior, 2012.
Chiunque conosca i servizi per l’impiego converrà che, allo stato, è “impossibile” che ciò possa avvenire. Innanzitutto, manca la materia prima: ovvero un numero abbastanza alto di imprese da poter creare una rete di contatti in grado di collocare tutti i disoccupati. A questo si aggiunga che le strutture dispongono di analisi e monitoraggi limitati alla propria provincia (in alcuni casi la mobilità occupazionale dei propri residenti verso altri territori è superiore al 50 per cento); infine, il numero di dipendenti è troppo basso e i compiti amministrativi sono preponderanti.
Sono problemi ben conosciuti. Tuttavia, per migliorare almeno in parte i nostri servizi pubblici per l’impiego basterebbe seguire le raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea dell’aprile 2013, che si possono riassumere in quattro pilastri:
1. elaborazione di strategie basate sulla partnership con i servizi privati;
2. intervento tempestivo e attivazione (operare perché i servizi per l’impiego siano in grado di fornire un orientamento personalizzato e una progettazione individuale);
3. elaborazione di misure di sostegno per l’integrazione nel mercato del lavoro (ridurre i costi non salariali della manodopera al fine di migliorare le prospettive di assunzione; utilizzare incentivi salariali; promuovere la mobilità del lavoro; rendere disponibili più servizi di sostegno all’avviamento; migliorare i meccanismi di riattivazione);
4. attuare una valutazione degli interventi (monitorare a valutare tutte le misure messe in pratica garantendo un uso efficiente delle risorse, promuovere le attività di apprendimento reciproco a livello nazionale, regionale e locale tra tutti i soggetti coinvolti).
Il primo punto funzionerà molto bene nel Centro-Nord, mentre al Sud rischia di risultare ininfluente data l’assenza di domanda di lavoro. Per il secondo punto, è necessario attrezzarsi con esperti in grado di realizzare bilanci di competenze per tutta Italia. Il terzo punto è quello più oneroso, ma proprio perché si raccolgono raccomandazioni dell’Unione Europea, dovrebbe essere possibile coprire parte di questi costi tramite le risorse europee, che dovrebbero essere tutte concentrate nella realizzazione dello Youth Guarantee.
I FONDI COMUNITARI
Quest’ultimo punto è oggi il vero problema: i servizi pubblici per l’impiego sono in grado di accedere ai finanziamenti comunitari stanziati dall’Unione Europea (6 miliardi dal 2014-2020 in tutta Europa)? Se guardiamo al passato non si direbbe. Spesso i bandi si vincono (ad eccezione di situazioni straordinarie come la Cig in deroga) attraverso innovativi progetti, portati avanti da strutture in eccellente situazione economica, presentati con partner europei e soprattutto co-finanziati da risorse proprie o da soggetti privati. Insomma, il successo dello Youth Guarantee potrebbe dipendere da un problema di absorption capacity.
Se effettivamente i Centri per l’impiego verranno attrezzati con altri 3-4 mila dipendenti, è fondamentale che la priorità venga data a coloro che sono in grado di scrivere progetti europei, per sfruttare al meglio l’unica risorse economica disponibile per le politiche attive del lavoro di domani. Nell’immediato, però, se davvero si vuole attuare lo Youth Guarantee, bisogna rinunciare, almeno per un certo periodo di tempo, al meccanismo complesso dell’assegnazione dei fondi europei tramite progetti individuali e autorizzarne l’uso per l’attuazione del programma.
(1) Brussels, 5.12.2012 COM – 729 final.
(2) Si veda: Rosolen, G. La via italiana alla Youth Guarantee, www.bolletinoadapt.it, 13 maggio 2013.

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  1. Alessio Breviglieri

    Interessante, aggiungo un’idea. Dal momento che si tratta anche e soprattutto di disoccupazione giovanile, sarebbe interessante creare forme di collaborazione più efficaci coi servizi di placement delle università, o degli istituti secondari, tecnici, professionali, etc. Le condizioni più critiche della disoccupazione si possono in parte prevenire in quell’età critica di passaggio dall’istruzione al lavoro, orientando i ragazzi e dotandoli di tutti gli strumenti necessari ad affrontare le mille possibilità che avranno di fronte.

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