La riduzione delle accise significa la disponibilità della politica a sospendere l’azione climatica per evitare la stagflazione. È un messaggio negativo. La riforma fiscale annunciata dal governo dovrebbe invece aumentare la tassazione sule fonti fossili.
Segnali sbagliati ai consumatori
Anche questa volta il tema della speculazione sui prezzi dei carburanti è ritornato con sconcertante regolarità. E come in passato si avvia a una rapida archiviazione. Mentre in altri tempi si è trattato dei rialzi del costo della materia prima, il petrolio, questa volta l’occasione è stata fornita dal rialzo delle accise. L’impatto negativo sulle imprese e, soprattutto, sulle famiglie è pesante, visto anche l’effetto amplificatore dell’Iva, che va a gravare su una base più ampia di prima.
Gli effetti negativi sono di tipo distributivo sui redditi delle famiglie meno abbienti e di tipo macroeconomico, visto il rischio recessivo sull’attività economica e allo stesso tempo quello inflattivo su tutti i prezzi in generale.
La decisione del governo Draghi di tagliare le accise era stata dettata dall’urgenza di evitare precisamente questi effetti.
Ma vi era un altro effetto non sufficientemente sottolineato su un problema sicuramente non percepito come impellente, e tuttavia non per questo meno rilevante e pressante. La riduzione della tassazione dell’energia, che nel caso dei carburanti è di origine quasi esclusivamente fossile, mandava ai consumatori un segnale opposto a quello della necessità di ridurre le emissioni per contrastare i cambiamenti del clima. La crisi energetica ha imposto, in altre parole, una pausa alla lotta al cambiamento climatico. Si dirà che i prezzi dell’energia hanno continuato a lievitare, fatto sicuramente vero. Ma la riduzione delle accise portava con sé la disponibilità della politica a sospendere l’azione climatica per evitare la stagflazione. Scelta sicuramente legittima, che la decisione del governo Meloni del 30 novembre scorso inverte, come stanno anche facendo altri paesi europei.
Invero la restaurazione delle accise non risponde a obiettivi di lotta al clima – un tema in questi giorni totalmente assente dal dibattito – quanto alla volontà di finanziare il sostegno delle fasce più deboli della popolazione. Secondo il governo, infatti, la scelta consente di aumentare i fondi alla sanità e aiutare famiglie e imprese e calmierare le bollette. Nelle intenzioni del governo vi sarebbe anzi un intervento organico sull’intera tassazione diretta e indiretta, come afferma il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin.
La possibile riforma fiscale
Se la vera preoccupazione del governo resta l’impatto sull’inflazione, è bene richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che lo strumento di prezzo è tuttora considerato l’arma più efficace per lottare contro i cambiamenti climatici riducendo le emissioni di CO2. Poiché i nostri consumi energetici sono ancora largamente basati sulle fonti fossili, specialmente quando parliamo di trasporti e mobilità, sono i prezzi elevati che inducono una riduzione dei consumi e quindi delle stesse emissioni. Certo, se pensiamo all’impatto sul nostro reddito e sul nostro benessere della crisi energetica siamo portati a dire che tutto il resto – compreso il clima – può attendere. Ma le montagne senza neve e un inverno mai prima così caldo sono lì a ricordarci che con grande probabilità tutto ciò si ripeterà l’anno prossimo e quello dopo e dopo ancora, quando sperabilmente la guerra sarà finita, l’inflazione domata e l’economia avrà ripreso a girare.
La lotta ai cambiamenti climatici non pare essere nelle corde delle forze politiche che sostengono questo governo, a giudicare dalla loro storia e dai programmi elettorali. La marcia indietro dell’esecutivo con l’introduzione della cosiddetta accisa mobile (si veda nello specifico questo articolo di Gilberto Turati) mostra un governo ondivago: di sicuro mandare messaggi di incertezza in tema di tassazione dell’energia non è produttivo dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico. La strada maestra resta quella di mantenere una tassazione dell’energia di fonte fossile elevata e compensare la regressività dello strumento con integrazioni dei redditi più bassi, di quelli dei pendolari e dei servizi di comunicazione (a partire dai treni) a loro offerti.
Staremo a vedere se davvero il governo Meloni metterà mano a una riforma complessiva del sistema fiscale. In ogni caso, sarà meglio che sia una riforma fiscale ambientale, improntata ad aumentare – non a ridurre – l’imposizione sui consumi derivanti dalle fonti fossili di energia e a diminuire la tassazione del lavoro a saldo di bilancio invariato. C’è da augurarsi vi sia una assunzione di responsabilità del governo su questi temi, altrimenti di tratterà di un’occasione fatalmente mancata.
E infine una proposta semiseria, che però è più “seria” che “semi”: il governo cessi di chiamare “accisa” questa parte di tassa, ricordandone sempre le molteplici occasioni in cui è stata ritoccata, e cominci da oggi in avanti a chiamarla “tassa sul carbonio”. Ricorderebbe a tutti il vero e ultimo motivo per cui oggi siamo tenuti a pagarla.
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Pier Giorgio Visintin
Sono completamente concorde con l’Autore. Semmai sarei stato più chiaramente incisivo. Il Cambiamento Climatico (CC) è molto ma molto più difficile da contrastare che non alzare/abbassare le tasse. Si pensa solo all’oggi, senza nessuna preoccupazione per quelli (i nostri figli e nipoti) che verranno domani.
Ci saranno molti testi CC ma questo mi ha particolarmente colpito:
“Sotto un cielo biamco, La natura del futuro” di Elizabeth Kolbert Ed. Neri Pozza
Rick
Manca tutto l’aspetto di political economy: Macron ci ha provato ad aumentare le accise sulla benzina, e si é trovato i gilet jaunes. Ovvero, ad aumentare le accise oggi si rischia di portare al governo con le prossime elezioni persone a cui non importa del cambiamento climatico.
Non ho la soluzione in tasca, e capisco che il policy maker cammini su una linea sottile, ma credo che una tassazione sul carbonio non possa non tener conto del reddito, e questo rende molto difficile usare a tal scopo le accise sulla benzina.
Marcello Romagnoli
Sono solo parzialmente d’accordo con l’articolo. Le accise dovrebbero essere usate per finanziare la sostituzione delle fonti fossili con altre. Ciò non viene in realtà fatto.
I motivi della necessità sono ben di più del cambiamento climatico di cui preferisco non parlare.
Queste sono le seguenti.
1. L’inquinamento dovuti all’uso di fonti fossili in aree cittadine nel campo dei trasporti e dello stazionario provoca più di 60.000 morti ogni anno solo in Italia (https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=100028)
2. Minore dipendenza geopolitica dalle fonti energetiche esterne. Se l’energia è autoprodotta saremo meno in balia delle variazioni del suo costo, con minori problemi economici e democratici.
3.Possibilità di creare PIL e posti di lavoro se sviluppiamo la produzione dei sistemi di produzione, stoccaggio e uso di tale energia. Questo andrebbe anche a ridurre le difficoltà dei redditi più bassi.