L’Europa si è data strumenti per tutelare i cittadini dai tentativi di limitare i diritti. Ne è un esempio il blocco di parte dei fondi di coesione destinati all’Ungheria. Il futuro delle politiche europee dipende anche dal rispetto dello stato di diritto.

Gli strumenti dell’Unione

Alcuni paesi europei sono ancora lontani da un pieno rispetto dello stato di diritto, della salvaguardia della dignità umana, dell’uguaglianza e della libertà. In uno stato di diritto, i poteri pubblici devono agire entro i limiti fissati dalla legge ed essere soggetti al controllo di organi giurisdizionali imparziali e indipendenti. Si tratta di un principio fondante dell’Ue, ma ciononostante lo stato di diritto viene progressivamente eroso in Ungheria e Polonia, dove si sono affermati governi populisti, con a capo nel primo caso Viktor Orban, premier da oltre dieci anni, e nel secondo da Andrzej Duda, presidente in carica dal 2015.

Tuttavia, l’Ue ha sviluppato alcuni “anticorpi”, ossia meccanismi che tutelano i cittadini dinanzi ai tentativi di limitare i diritti. Per esempio, il “Semestre europeo” è uno strumento di coordinamento che consente di allineare le politiche degli stati membri agli obiettivi strategici dell’Ue. Nel corso del Semestre europeo (prima parte dell’anno solare) vengono formulate raccomandazioni a ciascun paese sulle riforme da attuare (Csr – Country Specific Recommendations), in tempo per essere considerate nelle leggi di bilancio che vengono definite nella seconda parte dell’anno, ossia nel corso del “Semestre nazionale”. Riforme della giustizia, contro la corruzione e per la difesa dei diritti sono spesso suggerite nelle Csr.

Nel 2020, poi, durante il processo di adozione del budget pluriennale 2021-2027 e di Next Generation EU – lo strumento per la ripresa e per contrastare gli effetti socio-economici della pandemia – è stato introdotto un regolamento (Rule of law conditionality regulation) che consente alla Commissione di sospendere i pagamenti dei fondi europei ai paesi che violano lo stato di diritto, se le violazioni compromettono la sana gestione finanziaria o incidono sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Si tratta di una novità significativa, promossa dagli stati del nord Europa (per esempio, Olanda e Svezia).

Su questa base, a causa degli scarsi progressi fatti dall’Ungheria nelle riforme relative allo stato di diritto, alla corruzione, alla trasparenza e agli appalti, verso la fine dello scorso anno, la Commissione europea ha proposto di congelare 7,5 miliardi di fondi di coesione relativi al periodo 2021-2027 e 5,8 miliardi di Pnrr destinati al paese.

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Dinanzi al rischio del taglio dei fondi, Budapest ha usato come strumento di contrattazione (o se vogliamo di ricatto) il veto su un pacchetto di aiuti da 18 miliardi destinati all’Ucraina e su una tassa minima globale del 15 per cento sulle multinazionali. Dopo un tira e molla, a metà dicembre 2022 è stato raggiunto un accordo per l’approvazione del Pnrr ungherese e lo sblocco parziale dei fondi di coesione a condizione di realizzare le riforme previste nelle Csr del periodo 2019-2022. In cambio, l’Ungheria ha tolto il veto al pacchetto di aiuti all’Ucraina e alla global tax. Lo scontro non è finito qui, poiché continuano le proteste magiare su altri tagli, per esempio alle università che rischiano i fondi Erasmus+ e Horizon Europe, mentre proseguono le ritorsioni. Alcuni fattori hanno dato all’Ungheria sufficiente potere contrattuale, tra questi il sistema europeo che richiede l’unanimità su molte decisioni importanti e la volontà dell’Ue di restare unita dinanzi alla guerra ai propri confini. Ad ogni modo, la condizionalità legata allo stato di diritto è stata applicata e l’Ungheria otterrà lo sblocco dei fondi solo al raggiungimento di 27 obiettivi inerenti lo stato di diritto (cosiddetti “super milestones”).

Per quanto riguarda la Polonia, la Commissione aveva approvato il suo Pnrr lo scorso giugno, ma aveva condizionato gli esborsi a una riforma della giustizia tesa a renderla più indipendente. Per soddisfare le richieste europee e sbloccare i fondi, Varsavia ha recentemente approvato un disegno di legge in proposito, pur se permangono molti dubbi sul fatto che risolva il problema della politicizzazione della magistratura.  

La revisione delle politiche di coesione

Sul caso dei paesi che insidiano lo stato di diritto si gioca una partita importante per il futuro delle politiche europee. Nelle istituzioni comunitarie sono stati sollevati forti dubbi sulla loro efficacia se si continuano a destinare molti soldi a questi paesi – che sono tra i maggiori beneficiari dei fondi strutturali e del recovery fund (figure 1 e 2) – e alle regioni meno sviluppate, caratterizzate da limitata capacità istituzionale e di spesa (come, per esempio, il Sud Italia). Da un lato, la disponibilità degli stati più ricchi a pagare diminuisce, dall’altro, dopo le crisi internazionali che si sono susseguite negli ultimi quindici anni (la grande recessione dopo il 2008, la pandemia e poi la guerra), vi è un’attenzione crescente alle sfide comuni e alle politiche comunitarie in grado di affrontarle, come il recovery fund, più che alle questioni regionali. Il dibattito in corso verte, dunque, sull’opportunità di mantenere la politica di coesione così com’è, oppure riorganizzarla sul modello Next Generation EU, ossia con la centralizzazione della gestione, il riorientamento su temi trasversali e la revisione della governance multilivello in cui i programmi regionali giocano un ruolo di primo piano, per seguire invece il modello del Pnrr.

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È presto per dire cosa succederà, ma il confronto è vivo tra chi è contrario alla politica di coesione attuale e chi la difende sottolineando che tutte le sfide, anche quelle globali, richiedono una risposta regionale.

Anche l’efficacia delle misure prese nei confronti dei paesi che minano lo stato di diritto influenzerà il dibattito ma, indipendentemente dagli esiti e dalla futura governance delle politiche, l’esempio ungherese mostra come l’Ue sia non solo una fondamentale fonte di finanziamento per la crescita, lo sviluppo, l’occupazione, l’inclusione sociale, la transizione verde, la ripresa da crisi come il Covid e la guerra, ma anche un baluardo a difesa dei diritti. 

Figura 1 – Budget della politica di coesione 2021-2027 (miliardi di euro) per stato membro e fondo (totale=518 miliardi)

Nota: totale dei fondi che include i finanziamenti europei e le risorse nazionali.
Fonte: EU Open data (aggiornati al 20/1/2023)

Figura 2 – Dispositivo di ripresa e resilienza (miliardi di euro) per paese (aiuti e prestiti) (totale=508.3 miliardi)

Fonte: Commissione europea

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